MARIE CURIE

Maria Salomea Sklodowska, più conosciuta come Marie Curie (Varsavia, 7 novembre 1867 – Passy, 4 luglio 1934), è stata una fisica, chimica e matematica polacca naturalizzata francese.

I miei piani per l’avvenire? Non ne ho, o, piuttosto, sono così ordinari e così semplici che non vale la pena di parlarne. Levarmi d’impiccio sin che potrò e, quando non ne potrò più, dire addio a questo basso mondo: il danno sarà piccolo, i rimpianti che lascerò saranno corti… corti come per tanti altri.”
Così nel dicembre del 1886 scrive Maria Sklodowska, una diciannovenne polacca dai capelli biondo cenere, dal volto espressivo e dalla fronte alta. Parole tristi, espressioni scettiche, amare, quasi da innamorata delusa. Infatti Maria è un’innamorata delusa, anche se si sforza di non ammetterlo, anche se non vuole confessarlo apertamente. Sotto un certo aspetto, il suo non è altro che il comune romanzetto d’amore di una semplice istitutrice con il fratello maggiore della propria allieva: sotterfugi, rossori improvvisi, sogni al lume di candela, furtivi sguardi, promesse, progetti…
Ma al primo timido accenno del giovane, i genitori di questo scattano come molle: le loro reazioni, però, sono diverse, anche se tutti e due inorridiscono: l’uno grida, l’altra smania. E il giovane, spaventato, indeciso, fa marcia indietro mostrando così la propria natura di vigliacco.
Tutto ciò è piuttosto volgare e Maria lo capisce, anzi se ne rattrista. E, come se la sua esistenza si fosse di colpo svuotata di ogni ideale futuro, parla di un avvenire banale, semplice, piatto.

UNA CREATURA NON COMUNE

Eppure nella medesima lettera, dove da ogni riga trapela tanto sconforto, la giovane afferma con disinvoltura: “In questo momento sto leggendo “La fisica” di Daniell, la “Sociologia” di Spencer, in lingua francese e le “Lezioni di anatomia e fisiologia” di Bert in lingua russa. Quando tali letture mi stancano, mi diverto a risolvere qualche complicato problema di algebra o di geometria…”.
Cosi vasti interessi scientifici non possono certo essere in armonia con l’amoruccio per un giovane, le cui letture, forse, non si spingono al di là di un breve romanzetto d’amore.
Non è una creatura comune. dunque, questa Maria Sklodowska.
Nata a Varsavia il 7 novembre 1867, Maria ebbe un’infanzia felice. Ultima di sei figli, vide sempre attorno a sé visi sereni e sorridenti. Il padre, Vladislao, era professore di fisica e matematica, mentre la madre aveva diretto per lungo tempo un Istituto di educazione. Unico punto nero in tanta felicità: i mezzi economici molto limitati. Non era facile a quei tempi la vita degli intellettuali polacchi sotto i russi: angherie, persecuzioni, sospetti. Con un padre sorridente, però, una madre serena e cinque fratelli, e sorelle sempre pronti al frizzo e ai giochi turbolenti, una bambina non poteva essere che felice.

Maria Sklodowska a sedici anni

LA PICCOLA ISTITUTRICE

Maria era dotata di un’intelligenza eccezionale e di una memoria sorprendente. Non aveva un eccessivo amore per lo studio, ma nutriva una curiosità morbosa per le materie di studio. C’era in lei, si può dire, l’animo indomito dell’esploratrice: voleva scoprire, capire, impossessarsi degli argomenti che man mano studiava. Per ogni materia impiegava il medesimo ardore, la medesima vivacità che poneva nei turbolenti giochi con i fratelli.
Ma nel 1878 il filo di tanta felicità si spezza: la madre muore di tubercolosi. Per Maria fu uno schianto terribile, un vuoto immenso. Il suo forte carattere, però, non le permise di abbandonarsi al dolore. Si immerse nello studio, lavorò, si sacrificò balzando di colpo dall’infanzia spensierata a una irrequieta adolescenza.
Il 12 giugno del 1883 concludeva gli studi secondari riportando il massimo dei voti. Negli ultimi cinque anni aveva imparato a lottare. a farsi strada nella vita e, soprattutto, a comprendere la profonda tristezza del popolo polacco avvilito e umiliato.
Adesso bisognava pensare agli studi superiori. Ma come fare se in Polonia, per una vecchia legge, erano ammessi all’Università so1o gli studenti maschi? Dove andare per conseguire la laurea? Parigi, la Sorbona: ecco il grande miraggio.
Ma come fare a mantenersi?

Anche Bronia, la sorella maggiore, diplomatasi un anno prima di lei, sognava gli studi universitari. Il problema appariva sempre più irto di difficoltà.  Finalmente, dopo lunghe discussioni, si trovò una soluzione: Bronia sarebbe andata a Parigi e Maria avrebbe trovato un lavoro in Polonia, in modo da poter contribuire al suo mantenimento. Quando Bronia si fosse laureata, si sarebbe effettuato il cambio: Bronia avrebbe lavorato e Maria avrebbe studiato a Parigi. Idea semplice, entusiasmante!
Dopo pochi giorni infatti Bronia, tremante per l’emozione, partiva alla volta della Francia; Maria, attraverso un ufficio di collocamento, veniva sistemata in qualità di istitutrice presso una famiglia di Szczuki. Conosceva il russo, il tedesco, il francese, il polacco e l’inglese. Un fenomeno quella sedicenne: sicura di sé, spigliata, intraprendente.
Presso quella famiglia Maria rimase quattro anni e fece in tempo a innamorarsi di Casimiro, il figlio maggiore, a istituire un corso clandestino di lingua polacca e a conoscere le prime delusioni d’amore.
Unico grande conforto, come sempre, lo studio!

VITA DI STENTI

Maria aveva ventiquattro anni quando, invitata dalla sorella Bronia, che nel frattempo si era sposata con un medico polacco, partì alla volta di Parigi, la città dei suoi sogni. I corsi alla facoltà di Scienze quell’anno, 1891, ebbero inizio il 3 novembre. Maria fu puntuale all’appuntamento e, con un senso di sgomento misto a curiosità, varcò per la prima volta la soglia della Sorbona.
Ben presto si dimostrò una studentessa dalle qualità eccezionali. I suoi compagni di studi, dopo poco tempo di vicinanza, definivano così la giovane polacca: ” È bella, ma ha un nome impossibile. Ha più della contadina che della studiosa: è troppo selvatica”.
Effettivamente Maria sfuggiva tutti: era tutta casa e università, università e casa. Non tardò molto, però, ad accorgersi che l’abitazione di Bronia era eccessivamente rumorosa. Il cognato non concepiva il silenzio: vociava, gridava, cantava, riceveva i clienti a tutte le ore, soprattutto di notte. Bronia, poi, lo assecondava suonandoi1 piano e cantando.
Naturalmente non era possibile andare avanti così. Dopo un lungo consiglio di famiglia, si decise che Maria si sarebbe trasferita in una stanzetta per conto proprio.
Nel quartiere latino, nei pressi dell’Università, un abbaino freddo e umido fu la sua prima stanza da studentessa.
Riuscire a vivere a Parigi, sia pure nel 1892, con tre franchi al giorno, non era un problema facile. Eppure Maria riuscì a risolverlo: ridusse al minimo il cibo, ridusse a zero il riscaldamento, a poca cosa il mobilio. Niente mezzi di trasporto, niente svaghi, e un coraggio indomito. Studiava, studiava fino alle tre di notte con le dita intirizzite dal freddo, dormiva pochissimo, solo quattro ore, ma il suo sonno era agitato e disturbato dal ritmico suono di una goccia d’acqua che cadeva nell’acquaio della stanza vicina. Alle sette era di nuovo in piedi. Dopo pochi mesi di questa vita, Maria era irriconoscibile.
La stanchezza però non riusciva a piegarla: un demone interno l’esaltava. Stava ore e ore in laboratorio, avvolta nel suo rozzo grembiule. sempre attenta, sempre precisa.
Nel 1893 Maria risultò prima fra tutti nella licenza in Scienze fisiche e nel 1894 risultò prima in Scienze matematiche. Era veramente un piccolo genio quella giovane polacca!

I coniugi Pierre e Marie Curie (1904)

LA SIGNORA CURIE

Nel 1893 a Maria capitò una .fortuna insperata: per interessamento di alcuni amici, ottenne la “borsa Alessandrovic”, destinata agli studenti polacchi meritevoli, che intendessero proseguire i propri studi all’estero. Seicento rubli! Una cifra sufficiente per vivere quindici mesi.
Per un puro caso, in quel tempo, Maria conobbe Pierre Curie (Parigi, 15 maggio 1859 – Parigi, 19 aprile 1906), uno scienziato francese.
Le loro affinità scientifiche, i loro comuni interessi, quel mondo meraviglioso, fatto di provette, acidi, resistenze, elementi chimici, li unirono. Man mano che la loro amicizia progrediva, Pierre, l’uomo che non si era mai soffermato a guardare una donna, non riusciva più a capire che cosa lo interessasse in Maria: la donna o la scienziata?
Quando durante l’estate Maria annunciò la sua partenza per Varsavia, egli temette che non sarebbe più tornata. E trovò il coraggio di dirle: “Lei non ha il diritto di abbandonare le scienze”. Forse avrebbe espresso meglio il proprio pensiero se avesse detto: “Lei non ha il diritto di abbandonarmi”.
Maria, come aveva promesso, fece ritorno in autunno, e ancora una volta incontrò Pierre. Fu un incontro semplice, quasi occasionale. Tutti e due, però, sapevano ciò che avrebbero voluto dire in luogo di semplici parole di cortesia.
Si sposarono il 26 luglio 1895.
Due grandi sentimenti li univano: l’amore e l’interesse per la scienza.
Affrontarono la vita con la massima semplicità.
Lui insegnava all’Istituto di Fisica e lei studiava per addottorarsi. Otto ore di ricerche scientifiche durante il giorno e, la sera, seduti a un tavolo in cucina, l’uno di fronte all’altra, tenendosi teneramente per mano, studiavano fin verso le tre di notte.
Nel silenzio s’udiva solo il fruscio delle pagine e lo scricchiolio delle penne, ma un rumore più costante, più preciso li univa: il battito dei loro cuori.

PICCOLE LUCCIOLE

Il secondo anno di matrimonio fu allietato dalla nascita della prima figlia, Irene. Maria non sapeva più come fare: il laboratorio, la casa, il marito, gli studi, la bimba… E i medici parlavano già di una lesione al polmone sinistro! Ma come occuparsene se proprio adesso qualche cosa di grande stava per accadere?
C’era infatti nei loro studi, da un certo tempo, un che di insoluto, di misterioso. Quale natura potevano avere quei raggi che erano emessi dai
sali di uranio? Altri ne avevano parlato; nessuno però aveva osato affrontare il problema. Si trattava di avventurarsi in un mondo sconosciuto e Maria, lo sappiamo, aveva l’animo dell’esploratrice. Il mistero la tentava. Ma dove trovare l’attrezzatura adatta per simili studi? Chi avrebbe potuto offrir loro un laboratorio, un vero laboratorio? Pietro e Maria Curie intuivano che c’era un nuovo elemento chimico da scoprire.
Finalmente riuscirono ad avere un umido capannone in Via Lhomond: il loro laboratorio. E per anni, con una costanza che ha dell’eroico, tentarono e ritentarono. Procedimenti nuovi, vie traverse, sottili calcoli.
Nulla!
Sì, ci doveva essere questo nuovo elemento, ma come trovarlo?
E ancora ore e ore di studio, di ansie, di prove, di delusioni: così trascorse la loro esistenza  dal 1898 al 1902. Furono anni inebrianti come quelli passati nella fredda soffitta del quartiere latino, furono ore di tormento, ma di intensa felicità.
Una sera rientrarono per la cena più stanchi del solito. Li attendeva, chiacchierina, Irene insieme al vecchio dottor Curie il quale, dopo la morte della moglie, si era unito a loro; Maria preparò la cena e, con insolita fretta, mise a letto la piccola. Il vecchio Curie si ritirò a sua volta e gli sposi rimasero soli. Erano come impacciati, non sapevano dire ciò che pensavano. Alla fine Maria ruppe il silenzio: “Andiamo ancora?” Pierre non rispose, ma si infilò il cappotto.
In strada, camminarono rasente ai muri, a testa bassa, senza scambiare una parola.
Quando furono nel cortile interno davanti al capannone, Maria strinse il braccio di Pierre, poi, quasi in punta di piedi, si avvicinò al finestrone del 1aboratorio. Si curvò appena, aguzzò la vista, e disse: “Guarda!”. Attraverso i vetri, videro delle “sagome fosforescenti, azzurrastre “, piccole lucciole nel buio della notte. Il sogno si era tramutato in realtà. Era il radio, il nuovo elemento chimico!

SOLA E TRISTE

Dopo la scoperta del radio, la vita dei due coniugi subì una profonda trasformazione. Riconoscimenti giunsero da ogni parte del mondo, da ogni Istituto scientifico e la Svezia assegnò loro il premio Nobel per la fisica (anno 1904).
In seguito, Pierre ebbe la cattedra alla Sorbona. Maria poteva ormai essere felice.
Ma venne il triste 19 aprile 1906. Quel giorno Pierre, mentre stava per attraversare una strada, fu investito da un grosso carro, trainato da enormi cavalli normanni, e morì all’istante.
Maria, sconvolta, voleva abbandonare ogni cosa; poi il suo carattere forte ebbe il sopravvento, e proseguì. Sola e triste.
Eccezionalmente, ebbe l’incarico di sostituire il marito ai corsi universitari. Fu la prima donna a tenere una cattedra universitaria.
Avrebbe desiderato vivere modestamente, nell’oscurità, come sempre era vissuta, ma alla quiete dei laboratori si era adesso aggiunto il clamore degli onori.
Nel 1911, fatto eccezionale nel mondo delle scienze, ottenne un secondo premio Nobel: questa volta per la chimica.

LA PRIMA VITTIMA DEL RADIO

Allo scoppio della prima guerra mondiale Maria non ebbe un attimo di esitazione: con piccole vetture radiologiche si avventurò su tutti i fronti! Non calcolò pericoli, non risparmiò energie. Quel misterioso raggio, che penetrava nei corpi martoriati, riuscì a salvare migliaia e migliaia di vite umane.
Alla fine del conflitto, Maria Curie si ritirò silenziosa come era venuta. Non ebbe medaglie, neppure la più modesta menzione.
Dopo la guerra affrontò altre battaglie: voleva creare un Istituto del radio, sia a Parigi che a Varsavia. Dove trovare i fondi? Allora si diede a fare conferenze, a girare il mondo. Modesta, silenziosa, lasciava stupiti i giornalisti di tutti i paesi. “Avete presente la vostra vecchia madre quando va al mercato a fare la spesa? Ecco, questa è Madame Curie. Semplice, umile, dimessa. Solo i suoi occhi hanno una luce particolare…”, così scriveva di lei un giornalista americano.
Ma il corpo ormai non reggeva più e il 4 luglio 1934 Maria Curie circondata dall’affetto di Irene e di Eva, la seconda figlia, morì, senza nemmeno sospettare che a ucciderla era stato proprio quel radio che le aveva dato la gloria.
Fu sepolta modestamente. Non ci furono discorsi, né grandi manifestazioni di omaggio: tutto si svolse così come avrebbe desiderato vivere, in francescana semplicità. La sua bara, deposta su quella di Pierre, fu inumata nel Cimitero di Sceaux. Sulla lapide furono scolpiti solo un nome e due date: il nome d’un genio e l’arco di un tempo che aveva segnato una grande svolta nella storia dell’umanità: “Marie Curie Sklodowska 1867-1934”.

Marie Curie con le due figlie Ève e Irène

VEDI ANCHE . . .

Spazio, tempo e gravitazione – La teoria della relatività generale

LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA DEL XX SECOLO

ENERGIA ALTERNATIVA – ENERGIA NUCLEARE

ERNEST RUTHERFORD – Padre della fisica nucleare

MARIE CURIE

MAX PLANCK e la fisica dei “Quanti”

ALBERT EINSTEIN

LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ

LA RADIOATTIVITÀ

LA FISICA NUCLEARE

.