ENERGIA ALTERNATIVA – ENERGIA NUCLEARE

ENERGIA NUCLEARE

Come è stato possibile liberare e controllare la tremenda energia dell’atomo

1939: la grande scoperta

La scoperta che consentì di sprigionare in modo controllato l’energia dell`atomo, e condusse alla fabbricazione della prima bomba nucleare, fu annunciata nel 1939 da Otto Hahn, un chimico tedesco, e dall’austriaca Lise Meitner.
Lavorando insieme a Berlino, Hahn e Meitner avevano studiato le reazioni dell’uranio, sottoposto in un acceleratore di particelle al bombardamento di quelle particelle atomiche chiamate neutroni. Tentativi precedenti erano stati compiuti dal fisico italiano Enrico Fermi, però con risultati incerti. Hahn capi che il nucleo dell’atomo dell’uranio – il piú pesante che esista in natura – si scinde in due. Meitner, che aveva abbandonato la Germania per sfuggire alle persecuzioni naziste, pubblicò i risultati dell’esperimento nella rivista scientifica inglese Nature.
Due fatti rendevano la fissione, cioè la scissione dell’atomo, di straordinaria importanza. Il primo, scoperto nel 1939 da Irene Curie e da Frédéric Joliot, a Parigi, è che questa reazione nucleare si autosostenta: quando un nucleo di uranio si scinde, produce vari neutroni, i quali possono a loro volta provocare la scissione di altri nuclei, che a loro volta liberano altri neutroni, e così via. Potendo disporre di sufficienti quantità di uranio, si può ottenere una reazione a catena sempre piú ampia.
Il secondo fattore riguarda la straordinaria energia sviluppata nella fissione. Durante le prime ricerche si scopri che, quando un unico nucleo pesante di uranio si scinde in due nuclei piú leggeri, la massa nel suo insieme risulta leggermente minore del nucleo originale di uranio. Forse che la massa era semplicemente svanita? I fisici dichiararono che ciò era impossibile. Era invece successo che la massa era stata trasformata in energia, secondo la legge formulata da Albert Einstein trent’anni prima:
E =  mc2, dove E sta per energia, m è la massa, c è la velocità della luce, vale a dire un valore altissimo. Un piccolo quantitativo di massa – sosteneva Einstein – equivale a un enorme quantitativo di energia. La fissione nucleare dimostrò che aveva ragione.
La scoperta della fissione ebbe enormi conseguenze. Nel 1939, con la Seconda Guerra Mondiale alle porte, i fisici si resero immediatamente conto che la fissione rendeva possibile la fabbricazione di bombe dall’enorme potenziale distruttivo. Ma la situazione non era del tutto chiara.
Nell’uranio allo stato di natura, soltanto una piccola porzione, inferiore all’1%, risulta fissile. L’altro 99% consiste di uranio 238, un isotopo, ovvero una varietà identica in tutti gli aspetti fuorché nella sua massa, che non si scinde facilmente. I calcoli dimostravano che una reazione a catena autosostentata non poteva essere prodotta in un quantitativo di uranio naturale, per quanto elevato. Ciò lasciava aperte due possibilità. Una consisteva nell’escogitare un procedimento che accrescesse la proporzione dell’isotopo fissile, l`uranio 235, secondo il processo oggi noto come arricchimento.
La seconda possibilità, che portò alla creazione dei primi reattori nucleari, consisteva nell’aumentare la capacità dei neutroni di procurare la fissione, rallentandoli. I neutroni prodotti nella fissione hanno infatti un’energia elevatissima, e quindi si spostano rapidamente, tendendo a sfuggire prima di provocare ulteriori scissioni. Riuscendo a rallentarli, si possono incrementare le probabilità che hanno di colpire altri nuclei di uranio, provocandone la scissione. Un neutrone rapido può essere rallentato, facendolo balzare ripetutamente sugli atomi di un elemento piú leggero, detto moderatore. Il primo moderatore a essere sperimentato fu il carbonio.

1942: l’avvento dell’èra nucleare

Nel 1942, nell’Università di Chicago, negli Stati Uniti, Enrico Fermi, riparato laggiù dall’Italia fascista, realizzò un apparecchio, detto pila atomica, perché costituito da blocchi sovrapposti di grafite – minerale di carbonio – uranio e ossido di uranio. L`uranio 235 cominciò a produrre spontaneamente dei neutroni. La pila presentava però alcuni fori, che consentivano l’inserimento di barre di cadmio, un metallo capace di assorbire neutroni. Quando fu completata, Fermi estrasse a una a una le barre, riducendo gradatamente i neutroni assorbiti, in modo da renderne altri sempre piú disponibili per la fissione.
Il 2 dicembre 1942, alle ore 15.45, giunse il momento tanto atteso: la reazione a catena cominciò ad autoalimentarsi. Fermi arrestò lo sprigionamento dell’energia, prima che se ne perdesse il controllo, col rischio di provocare un’esplosione nucleare, inserendo di nuovo le barre di cadmio. Le persone al corrente dell’esperimento ricevettero un curioso telegramma in codice: “Il navigatore italiano è entrato nel nuovo mondo”. In questo modo fu annunciata la riuscita della prima reazione nucleare a catena, controllata, della storia.
Il successo di Fermi sortì due risultati. Rese possibile la costruzione di una pila atomica piú grande, in grado di produrre maggiore energia, sotto forma di calore, da usare per trasformare acqua in vapore e generare elettricità in una centrale elettrica. Il secondo risultato, tanto piú importante in un periodo di guerra come erano quegli anni, fu una conseguenza di ciò che accadde alla massa di uranio 238, non fissile, all’interno della pila. Bombardato dai neutroni prodotti dalla fissione dell’uranio 235, l’uranio 238 venne convertito in un elemento totalmente nuovo, non esistente in natura, il plutonio 239. E questo elemento era fissile, poteva cioè essere usato per realizzare bombe nucleari.
Si presentarono allora due strade per riuscire a fabbricarle: l’arricchimento dell’uranio per estrarne l’isotopo fissile 235, oppure la costruzione di una pila atomica piú grande, da cui ottenere chimicamente il plutonio 239. La prima via condusse alla produzione della bomba atomica sganciata su Hiroshima; la seconda portò alla fabbricazione dell’ordigno nucleare sganciato su Nagasaki.

1954: dall’energia nucleare all’elettricità

Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’altra possibilità implicita nella pila atomica di Fermi, la produzione di elettricità, venne approfondita. Il primo reattore nucleare, come erano ormai chiamate le pile, impiegate per la produzione di energia elettrica, fu costruito a Obninsk, una località a 80 km da Mosca, in Russia, ed entrò in attività nel giugno 1954.
La quantità di elettricità prodotta (5 MW) era modesta, sufficiente a soddisfare il fabbisogno di una cittadina di circa 5.000 abitanti. Il calore generato dal nocciolo – la zona in cui avviene la fissione – del reattore, veniva sfruttato facendo circolare acqua refrigerante, sottoposta a forte pressione, attraverso tubature contigue. L’acqua assorbiva il calore dal nocciolo, ma a motivo dell’alta pressione non bolliva.
Veniva quindi spinta attraverso degli scambiatori di calore – speciali congegni che trasferiscono il calore da un fluido all’altro – dove cedeva il calore assorbito a un altro circuito, in cui circolava acqua non in pressione. L’acqua di questo circuito poteva quindi bollire, trasformandosi nel vapore necessario a mettere in funzione un generatore d’elettricità.

1956: un reattore inglese raffreddato a gas

Nell’agosto 1956, la prima centrale nucleare di grosse dimensioni fu inaugurata a Calder Hall, in Inghilterra. Il reattore usava come moderatore grafite, e come refrigerante anidride carbonica in pressione. Il combustibile d’uranio naturale, non arricchito, era contenuto in barre rivestite di una lega al magnesio, detta magnox. Queste erano mantenute in sede mediante una grata, in modo che il gas, circolandovi, ne assorbisse il calore prodotto durante la fissione. Il gas incandescente passava quindi attraverso bollitori d’acqua, producendo il vapore necessario a generare elettricità. L’Inghilterra optò per un reattore raffreddato a gas per una serie di ragioni, non ultima la paura, ancora oggi viva, che i reattori raffreddati ad acqua possano costituire un costante pericolo.
Se l’acqua nel reattore si mette a bollire, per un incidente qualsiasi, trasformandosi in vapore, le barre combustibili rimangono prive di un adeguato raffreddamento. Surriscaldandosi, si fondono, distruggendo il reattore e consentendo a radiazioni nocive di diffondersi nell’ambiente. Ciò è impossibile quando si usi come refrigerante il gas, il cui stato fisico rimane immutato a qualsiasi temperatura. Seguendo questa stessa logica, anche la Francia scelse inizialmente di costruire reattori raffreddati a gas, usando la grafite come moderatore.

1957: reattore ad acqua in pressione

Nonostante le garanzie offerte dal reattore raffreddato a gas, il mercato mondiale degli impianti nucleari venne presto dominato da un reattore diverso, di progettazione americana, che usa come combustibile elementi di uranio arricchito, immersi in acqua in pressione. L’acqua agisce simultaneamente sia da moderatore sia da refrigerante. Come nel caso della centrale nucleare di Obninsk, l’acqua in pressione non bolle e, passando attraverso uno scambiatore di calore, genera vapore. L’impianto, relativamente semplice, consente di produrre notevoli quantitativi di energia da un reattore piuttosto piccolo, i cui costi di realizzazione sono contenuti.
Il primo reattore ad acqua in pressione per la generazione di elettricità entrò in funzione a Shippingport, una località della Pennsylvania, negli Stati Uniti, nel 1957. Da allora questo tipo di reattore si è affermato e viene venduto sotto licenza in numerose parti del mondo. Ma gli svantaggi dei reattori raffreddati ad acqua permangono, e obbligano a ricorrere a un complesso sistema ausiliario di sicurezza, che entri in funzione non appena il normale circuito si sia guastato. E sono proprio questi sistemi di sicurezza a essere attualmente oggetto di vivaci e preoccupati dibattiti.

1959-1983: reattori veloci autofertilizzanti

Durante il normale funzionamento, tutti i reattori nucleari producono plutonio 239. In un reattore, alimentato da un combustibile misto di plutonio e uranio, il plutonio si scinde, generando neutroni che bombardano l’uranio 238, producendo così altro plutonio. In questo modo il reattore consuma plutonio ma al tempo stesso lo produce. Se è progettato in modo corretto, un reattore del genere può persino produrre piú combustibile di quanto non ne consumi e viene perciò definito in gergo tecnico autofertilizzante.
Parecchi neutroni occorrono per mantenere la reazione a catena di fissione e per convertire l’uranio 238 nel plutonio 239. Questo tipo di reattore impiega quindi neutroni veloci, non rallentati da un moderatore, giacché questi, quando provocano la fissione, producono un numero maggiore di nuovi neutroni di quanto non facciano i neutroni rallentati.
Il primo reattore veloce autofertilizzante, impiegato per la produzione di elettricità, entrò in funzione a Dounreay, sulle coste del Mare del Nord, nell’Inghilterra settentrionale, nel 1959. Al reattore di Dounreay è subentrato un impianto piú grande, in grado di produrre 250 MW – la stessa energia prodotta dal reattore francese Phoenix, installato a Marcoule, sul Rodano – pari al fabbisogno di elettricità di una cittadina di 300.000 abitanti. Il Superphénix, un reattore autofertilizzante veloce, capace di una produzione di elettricità cinque volte superiore, verrà ultimato nei pressi di Lione, in Francia, nel 1984.
I reattori autofertilizzanti offrono l’innegabile vantaggio della veloce conversione dell’uranio 238 – altrimenti inutilizzabile – nel plutonio 239 fissile. Il che significa la possibilità di ottenere molta piú energia, da 50 a 60 volte superiore a quella che può essere prodotta sfruttando le riserve mondiali di uranio.

In alto a sinistra, è schematizzato il contenitore di un reattore ad acqua in pressione, progettato negli Stati Uniti nel 1957, e da allora affermatosi e venduto in tutto il mondo, Alto 12 metri, può racchiudere circa 200 fasci di elementi combustibili, corrispondenti a 100 tonnellate d’uranio o plutonio, che costituiscono il nocciolo del reattore. Le barre di controllo della fusione sono inserite nel coperchio superiore del reattore, che può essere rimorso per sostituire il combustibile. Fasci di barre di controllo scorrono attraverso ogni fascio di elementi combustibili (in alto a destra), costituito da circa 250 “grappoli” di barre lunghe 3,5 metri. Il combustibile vi è stipato sotto forma di pastiglie.

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