LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ

LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ

La guerra del 1914-18 interrompe l’attività di ricerca e la epoca degli sperimentatori solitari tramonta. Non cessano però di lavorare i teorici e proprio nel 1915 Albert Einstein mette a punto la sua teoria della relatività generale. Obiettive difficoltà di traduzione in termini semplici e immediatamente accessibili dei concetti che sono alla base della teoria relativistica ci indurrebbero ad arrestarci alla semplice citazione di essa, quale pietra miliare della scienza e del pensiero umano. Tuttavia pensiamo che il brano qui di seguito riportato, anche se di non facilissima lettura, serva a fornire alcuni elementi atti a chiarire almeno i presupposti fondamentali del pensiero di Einstein. Si tratta di un passo della ottima “Storia della scienza” di John Bernal, il testo cui abbiamo fatto riferimento nei capitoli sinora dedicati a questa materia.

“Nonostante la sua popolarità, la teoria della relatività è tuttora una teoria difficile. Diciamo subito che la sua importanza scientifica dipende da due relazioni intimamente connesse: l’equivalenza di massa ed energia, e il particolare carattere limitativo della velocità della luce. La prima di queste due relazioni, espressa nella formula E = mc² , dove E sta per energia, m per massa e c per velocità della luce, fornì l’espressione teoretica dell’immensa energia racchiusa nell’atomo. Più tardi si vide che questa energia era la sorgente di tutta l’energia concentrata nell’universo, dell’energia di quelle prime pile atomiche naturali che sono il sole e le stelle. Infatti il sole ci scalda, a scapito di una continua diminuzione di peso, bruciando l’idrogeno e trasformandolo in elio, una specie di fuoco che i successori di Prometeo (1), immemori del suo fato, hanno strappato al cielo per racchiuderlo nella bomba all’idrogeno. Il carattere limitativo della velocità della luce è un fatto altrettanto significativo. Mostrando che tutte le velocità sono relative, Einstein spiegò perché nessuna particella, per quanto sottoposta ad accelerazione continua, può acquistare una velocità superiore alla velocità critica della luce; ciò deriva dal fatto che la sua energia e la sua massa aumentano simultaneamente in misura sempre più grande a mano a mano che la particella si avvicina alla velocità della luce, il che le rende sempre più difficile l‘aumento della velocità.
Le teorie einsteiniane, nonostante la loro astrattezza e pur avendo preso l’avvio da un profondo ripensamento delle teorie scientifiche precedenti, sono nate dagli esperimenti ed hanno dato luogo ad applicazioni pratiche. Punto di partenza della concezione di Einstein furono le difficoltà inerenti ad una branca della fisica ottocentesca: il tentativo di generalizzare la teoria elettromagnetica della luce attraverso la dimostrazione che la velocità apparente della luce dipende dalla velocità di spostamento dell’osservatore attraverso l’etere, supposto come fisso. Nacque da ciò il famoso esperimento di Michelson-Morley, il maggiore esperimento negativo della storia della scienza ( cioè un esperimento che dimostra l’impossibilità che un certo fenomeno di verifichi): per qualunque velocità e direzione dell’osservatore non si arrivò infatti a riscontrare alcuna variazione nella velocità della luce. Pochi anni dopo Joseph John Thomson (Manchester, 18 dicembre 1856 – Cambridge, 30 agosto 1940) dimostrò che in un forte campo elettrico gli elettroni non si spostano con la velocità che dovrebbero acquistare secondo le leggi della fisica newtoniana e che essi appaiono sempre più lenti e difficili a essere accelerati quanto più aumenta la loro velocità. La “teoria della relatività speciale” (1905) di Einstein spiegò entrambi questi effetti. La teoria della relatività generale va molto più lontano; con essa anche la gravità vien fatta rientrare nel quadro di misure di spazio e di tempo. La sua importanza particolare risiede nel fatto che essa non fa ricorso ad alcuna forza occulta come la forza-peso (gravità, in termini più dotti) agente a distanza. Al posto di queste forze essa postula che quando un corpo è libero, cioè non in contatto fisico con altri corpi, su di esso non si esercita alcuna forza, e il suo moto esprime semplicemente la qualità di spazio-tempo dei punti in cui viene a trovarsi. Deriva da tale teoria che la nostra geometria euclidea: (la geometria basata sui princìpi formulati da Euclide, matematico greco, nel III secolo a. C.) si applica solo agli spazi vuoti, mentre nelle vicinanze di corpi pesanti lo spazio è curvo.

Se Einstein si fosse limitato a trovare questa alternativa più accurata della gravitazione newtoniana, potremmo già solo per questo definirlo il Copernico dei nostri tempi, ma egli fece di più: dimostrò che il nuovo metodo dava risultati meglio collimanti con le conoscenze sperimentali. Egli, ad esempio, spiegò le cause della deviazione che appare nella posizione delle stelle vicino al sole, con la curvatura dei loro raggi nello spazio curvo e riuscì, basandosi sugli stessi principi, a render conto delle irregolarità che presenta il moto del pianeta Mercurio. La teoria newtoniana del sistema solare risultò in tal modo radicalmente rinnovata.

(1) cioè gli uomini. Prometeo, uno dei Titani, regalò agli uomini il fuoco dopo averlo rubato agli dei; Giove lo fece allora incatenare su una montagna dove un’aquila gli divorava, in eterno, il fegato.

Fonte video: YouTube – Amedeo Balbi

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