La guerra civile in Spagna e le manovre militari del 1937 in Germania

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LA GUERRA CIVILE DI SPAGNA 

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La primavera del 1936 vide il trionfo della spedizione italiana in Abissinia. Il 5 maggio il maresciallo Pietro Badoglio entrò nella capitale Addis Abeba, l’8 il generale Rodolfo Graziani occupò Harrar e il 9 maggio fu proclamata la sovranità italiana. Vittorio Emanuele III assunse il titolo di imperatore di Etiopia. Mussolini fu da allora in poi chiamato fondatore dell’impero.

La Società delle Nazioni accettò il fatto compiuto e, su proposta inglese, il 4 luglio abolì le sanzioni.
Dovunque, in Europa, le forze di desta rialzavano la testa. In molte nazioni avevano il potere. Dove non lo avevano esse si apprestavano a conquistarlo, anche con la forza.
In Spagna, ad esempio, i partiti reazionari avevano sperato d’impadronirsi del governo coi metodi parlamentari, ma la vittoria elettorale del Fronte popolare, avvenuta nel febbraio e nel marzo 1936, aveva deluso le loro aspettative.
Allora i partiti reazionari ricorsero alla forza. Il 17 luglio scoppiò nel Marocco spagnolo una rivolta militare, capitanata dal generale Francisco Franco, comandante delle isole Canarie.
Il moto si estese anche al territorio metropolitano, a Siviglia, Cordoba, Granada, Toledo, Burgos, Saragozza e altre città del sud e del nord della Spagna.
In aiuto del governo repubblicano si mobilitarono tutti i partiti di sinistra e gli operai, armatisi, affrontarono i reggimenti ribelli, decisi a difendere con ogni mezzo la libertà e la democrazia.
Nella capitale e in Catalogna la ribellione fu domata e nelle altre città contenuta. Franco allora domandò all’Italia e alla Germania l’aiuto delle loro flotte e dell’aviazione per poter trasportare il suo esercito dal Marocco in Spagna. L’ottenne.
Hitler, per camuffare il suo intervento, diede l’ordine che fosse creata in Marocco una società di trasporti alla quale Goering assegnò molti aerei militari Junkers da trasporto.
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Anche l’Italia, più apertamente, impegnò un certo numero di navi e di aeroplani.
Franco poté così passare in Spagna. A Burgos venne costituita una giunta che presentò il moto reazionario come una lotta contro le forze dell’Internazionale comunista.
Il 30 settembre la giunta di Burgos nominò Franco capo dello Stato spagnolo e si sciolse.
Il 1° agosto il governo francese, d’accordo con l’Inghilterra, propose alle altre nazioni europee un patto di non intervento nella guerra civile spagnola. I vari governi accettarono, ma mentre la Francia e l’Inghilterra rispettarono il patto e non aiutarono i repubblicani, sostenuti solo dall’Unione Sovietica, la Germania e specialmente l’Italia appoggiarono apertamente Franco. L’Italia mandò un vero esercito, gabellato come volontario, la Germania si limitò ad una squadra aerea, detta Legione Condor, che servì ad addestrare i piloti tedeschi alle operazioni di guerra.
Neanche il massiccio intervento italiano riuscì a smuovere i franco-inglesi, i cui ceti dirigenti, sostanzialmente reazionari, anche se con l’etichetta democratica, non desideravano la vittoria repubblicana. Franco ebbe così patita vinta. Ciò rialzò ancor più il prestigio dei dittatori e Hitler fu confermato nell’idea che poteva impunemente osare tutto.
Hitler aveva dalla parte sua la grande maggioranza del popolo tedesco, ma voleva guadagnare prestigio anche presso gli alti popoli. Un’occasione gli venne offerta dalle Olimpiadi del 1936, che si svolsero a Berlino. Egli mise a disposizione del Comitato olimpico somme ingenti, Goebbels si impegnò con tutta la sua abilità propagandistica e i Giochi olimpici si risolsero in un vero e proprio trionfo della Germania nazionalsocialista. Milioni di partecipanti e di spettatori tornarono in patria convinti che la Germania camminasse, sotto la guida di Hitler, sulla via del progresso e della pace.
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Le truppe del generale Francisco Franco a Barcellona durante la Guerra Civile Spagnola
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LA PRESSIONE NAZISTA

E questa convinzione fu confermata dal fatto che proprio in quel periodo Hitler firmò un trattato con l’Austria, che si presentò come un modello di moderazione. Il governo tedesco riconosceva la piena sovranità dello Stato austriaco e proclamava la sua volontà di non annetterlo né di incorporarlo. Ciascuno dei due governi dichiarava di considerare la vita politica interna dell’altro Stato, compresa la questione del nazionalsocialismo austriaco, come un fatto interno sul quale non avrebbe esercitato alcuna azione, né diretta né indiretta.
L’Austria, alla fine, riconosceva se stessa come uno stato tedesco e a questo riconoscimento avrebbe conformato la sua politica.
Il trattato, però, comportava due clausole segrete. L’Austria si impegnava ad amnistiare tutti i nazionalsocialisti che erano in carcere per delitti politici; e ad ammettere nel suo governo alcuni rappresentanti del partito nazionalsocialista. Ma queste clausole il pubblico europeo non
le conobbe.
Mussolini avrebbe dovuto essere contrario all’accordo fra l’Austria e la Germania. Ma, impegnato nella guerra di Spagna, egli aveva bisogno di avere amica la Germania per contrastare Francia e Inghilterra. Perciò, alla fine dell’ottobre 1936, egli mandò in Germania Galeazzo Ciano, suo genero e ministro degli esteri. Questi, dopo aver avuto colloqui a Berlino col ministro degli esteri tedesco von Neurath, fu poi ricevuto da Hitler a Berchtesgaden, località delle montagne bavaresi dove il Führer si era fatto costruire una magnifica villa.
Hitler dichiarò a Ciano che Mussolini era il primo uomo politico del mondo, al quale nessuno poteva paragonarsi. Unite, l’Italia e la Germania sarebbero state in grado di vincere il bolscevismo e di imporre la propria volontà alle altre due potenze occidentali. Gli comunicò che il riarmo tedesco procedeva rapidamente e che entro tre anni la Germania sarebbe stata pronta a fare la guerra.
Al termine delle conversazioni furono emessi due comunicati. Con uno la Germania riconosceva l’impero italiano d’Abissinia; con l’altro si constatava la concordanza di vedute fra i due governi e il proposito di svolgere un’azione comune.
Seguì a questo incontro un discorso che Mussolini fece a Milano il 1° novembre 1936. Egli sottolineò l’intesa manifestatasi fra Italia e Germania e proclamò che la verticale Berlino-Roma non era un diaframma, ma piuttosto un’asse, attorno al quale potevano collaborare tutti gli Stati europei animati da volontà di collaborazione e di pace.
Nacque così l’espressione Asse Roma-Berlino, che servì ad indicare la formazione di un’alleanza sempre più stretta fra Italia e Germania.
Il 18 novembre 1936 l’Italia e la Germania riconobbero ufficialmente il governo di Franco.
Hitler aveva detto a Ciano che entro tre anni la Germania sarebbe stata pronta a entrare in guerra. Egli, infatti, mentre in pubblico parlava di pace, coi suoi collaboratori e i suoi alleati non faceva mistero che si preparava alla guerra.
Subito dopo la sua assunzione al potere ne parlò ai generali.
Il 28 febbraio 1934, ad esempio, in un rapporto agli ufficiali superiori dell’esercito confermò il suo intento di scendere in guerra al momento designato. In linea generale i capi militari e i gerarchi politici erano d’accordo con lui e lavoravano in questo senso.
Il 30 settembre 1934 il presidente della Reichsbank e ministro dell’economia nazionale dottor Schacht presentò a Hitler un memorandum sull’andamento dei lavori per la mobilitazione economica, dove era detto che il Consiglio di difesa del Reich lo aveva incaricato di preparare la guerra sul piano economico.
E appunto per realizzare l’economia di guerra fu varato nel 1936 un piano quadriennale per l’autarchia.
Le istruzioni di Hitler a questo proposito furono:
“Entro quattro anni l’esercito tedesco deve essere pronto a battersi; per quattro anni l’economia tedesca dovrà essere orientata verso la guerra”.
Il 24 agosto 1936 il servizio di leva fu portato a due anni.
 Il 24 giugno 1937 il generale Werner von Blomberg diramò una Direttiva sull’unificazione della preparazione alla guerra della Wermacht, nel cui preambolo era detto che la Wermacht doveva essere costantemente pronta alla guerra.
Il 5 novembre, dopo aver convocato nel suo studio il ministro della guerra, i capi delle tre armi, esercito, marina e aviazione, e il ministro degli esteri, Hitler, dopo un vasto giro d’orizzonte, indicò come prossimo obiettivo i paesi confinanti con la Germania ad est, Austria e Cecoslovacchia.
Gli interlocutori non sollevarono valide contestazioni.
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Officine Krupp costruiscono i Panzer per il riarmo del Reich
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LE NUOVE TEORIE MILITARI

Hitler si occupava anche degli aspetti tecnici del riarmo. In quel momento si faceva strada negli ambienti dello stato maggiore una nuova teoria, sostenuta dagli ufficiali più giovani e combattuta dagli ufficiali tradizionalisti. Questa teoria riguardava i carri armati e il suo principale esponente era il generale Heinz Guderian.
Il carro armato, sosteneva quest’ultimo, sarà il protagonista della prossima guerra. Ma in luogo di adempiere al compito secondario di sostegno della fanteria, esso agirà in grandi formazioni indipendenti, che potranno da sole determinare l’esito della campagna.
I vecchi generali, legati ai concetti strategici e tattici della prima guerra mondiale, si opponevano a queste idee. Ma Guderian aveva dei potenti alleati. Uno era la grande industria, che vedeva nello sviluppo dei mezzi corazzati la possibilità di fare grandi guadagni. L’altro era lo stesso Hitler, che mal tollerava i dubbi e le esitazioni dei vecchi generali.
Così la fabbricazione dei carri armati fu accelerata e furono prodotti i tipi più moderni e più potenti, migliori di quelli d’ogni nazione europea. In una dimostrazione che si svolse a Münster nel 1935 essi ottennero dei risultati positivi e gli stessi più accaniti avversari dovettero piegare la testa. Ben presto fu possibile costituire tre divisioni di carri armati, detti in tedesco Panzer.
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LE GRANDI MANOVRE DEL SETTEMBRE 1937

Ma i carri armati dovevano essere ancora provati in una grande manovra, nella quale fossero impiegate insieme con essi tutte le altre specialità dell’esercito tedesco, fanteria, artiglieria, genio, aviazione. Questa manovra fu fissata per la fine del settembre 1937.
Hitler pensò che era una buona occasione per invitare Mussolini e fargli constatare da vicino quanto grande fosse ormai la potenza della Germania. Mussolini accettò e Hitler e Goebbels prepararono fin nei minimi dettagli la visita dell’ospite straniero, sul quale volevano fare la più grande impressione. Mussolini fu infatti accolto da grandi folle festanti e percorse le vie delle città tedesche tutte pavesate fino all’eccesso di bandiere italiane e di insegne fasciste.
Il 26 settembre egli e il maresciallo Badoglio assistettero alle grandi manovre nel Mecklemburgo e poterono rendersi conto della grande mobilità e della terrificante potenza di fuoco delle nuove Panzerdivisionen, comandate personalmente dal Guderian.
Il 27 fecero visita alle officine Krupp, che contribuivano al riarmo del Reich lavorando ventiquattro ore su ventiquattro. In ultimo fu loro mostrato il più potente pezzo d’artiglieria del mondò, un cannone da 580 mm, montato su un carro ferroviario.
In quell’occasione Mussolini dichiarò al Führer che lo ammirava.
Il 28 vi fu una spettacolare riunione nello Stadio olimpico di Berlino, con il concorso di una folla mai fino a quel momento vista, più di un milione di persone. Hitler additò in Mussolini uno di quegli uomini, unici nel corso dei secoli, che non sono fatti dalla storia, ma la fanno.
Aggiunse che dalle affinità tra rivoluzione fascista e rivoluzione nazionalsocialista era nata una comunanza non solo d’idee, ma di azione, che costituiva la più sicura garanzia per la conservazione dell’Europa contro gli elementi distruttori.
Mussolini, parlando in tedesco, affermò che nazional-socialismo e fascismo avevano gli stessi nemici, coloro che erano al servizio della Terza Internazionale. Terminò proclamando che il fascismo, quando si faceva un amico, marciava con lui fino in fondo.
Mussolini, poi, tornò in Italia. Qualche tempo dopo, il 6 novembre, Hitler mandò in Italia un inviato speciale, Gioacchino von Ribbentrop, perché proponesse a Mussolini di aderire al patto anti Comintern (contro il comunismo internazionale) stipulato col Giappone un anno prima. Mussolini firmò senza un secondo d’esitazione. Egli ormai si era completamente schierato con la Germania.
Il riarmo tedesco non si limitava ai carri armati e all’aviazione. Si pensava anche alla difesa e sulla frontiera franco-tedesca, di fronte alla linea fortificata francese, detta dal suo ideatore Maginot, stava sorgendo una linea fortificata tedesca, che ebbe il nome di Sigfrido.
Tutta la Germania era un grande cantiere per la guerra e Goering, capo del piano quadriennale di mobilitazione economica, dichiarava ai grandi industriali:
“Il piano è nato dalla convinzione che presto o tardi un conflitto con la Russia è inevitabile”.
I capi delle potenze occidentali non potevano ignorare la via sulla quale si era messo il nazionalsocialismo, ma facevano finta di nulla, perché una Germania potente che contrastasse e in futuro abbattesse l’Unione Sovietica era l’idea fondamentale che guidava la loro politica.
Specialmente gli inglesi prendevano per buone tutte le proteste di amicizia fatte da Hitler e alcuni loro personaggi di primo piano, come il duca di Windsor, l’ex re Edoardo VIII che aveva appena abdicato, lo visitavano spesso, esprimendogli la loro simpatia.
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PUBBLICHE RELAZIONI PER I LEADERS EUROPEI

Il nuovo primo ministro inglese Neville Chamberlain, salito al potere nel maggio 1937, mandò subito in Germania il suo ministro degli esteri, lord Halifaz, e questi, rientrando a Londra dichiarò:
“Il cancelliere del Reich mi ha dato l’impressione esser poco probabile che egli s’imbarchi un giorno in un’avventura la quale necessiti della forza o conduca alla guerra”.
Moltissimi furono gli stranieri appartenenti agli strati alti della società europea che intervennero al congresso del partito nazista a Norimberga. Le gigantesche cerimonie, organizzate da Goebbels, si svolsero con una magnificenza e un’imponenza senza pari. Gli ospiti ne tornarono affascinati. Ormai la convinzione che le due potenze occidentali, Francia e Inghilterra, non potessero opporsi all’espansione delle tre potenze totalitarie, Germania, Italia e Giappone, era comune a tutti.
Ciascuno cercava di mettersi al sicuro.
Il Belgio aveva prevenuto i tempi fin dall’epoca della rimilitarizzazione della Renania, sciogliendosi dall’alleanza con la Francia e proclamando la sua neutralità.

Il 13 ottobre 1937 la Germania fece al Belgio una dichiarazione di rispetto della sua inviolabilità.

Coloro che circondavano Hitler sapevano, però, come egli non avesse rinunciato a nessuna delle sue idee di espansione e fra di essi ve ne erano alcuni che consideravano questa politica troppo audace e troppo pericolosa per una Germania non ancora completamente preparata. Uno di questi era il ministro degli esteri von Neurath, uomo timido e di vecchio stampo, che aveva assistito al rapporto di Hitler del 5 novembre 1937 e si era spaventato.
Nel gennaio 1938 egli parlò con Hitler e lo scongiurò di andare più cauto. Hitler, naturalmente, non gli diede retta. Allora il von Neurath presentò le dimissioni, che furono accolte con grande piacere dal capo del governo. Von Neurath fu eletto alla sinecura di presidente di un fantomatico Consiglio segreto di gabinetto, che avrebbe dovuto far da guida al Führer in materia di politica estera, ma che in realtà non funzionò mai.
A sostituire il von Neurath quale ministro degli esteri fu chiamato Gioacchino von Ribbentrop, un fervente nazista, che aveva intrapreso per caso la carriera diplomatica ed era ambasciatore a Londra.
Un altro che si dimise fu il dottor Schacht. Egli non tollerava che la direzione del piano quadriennale fosse stata affidata al Goering. Al suo posto, come ministro dell’economia, fu nominato Walter Funk, di scarso valore tecnico, ma pronto ad eseguire gli ordini senza discuterli.