RITRATTO DI NAPOLEONE

Bonaparte al ponte di Arcole (1796) – Antoine-Jean Gros
.

Ritratto del generale Bonaparte

.
Piccolo, di gambe corte, abbastanza muscoloso, sanguigno e ancora magro a trent’anni, ha un corpo resistente e sempre pronto, una sensibilità e una resistenza di nervi meravigliose, reazioni d’una prontezza fulminea, illimitata capacità di lavoro; il sonno gli viene a comando.
Ma ecco il rovescio: il freddo umido gli provoca oppressione, tosse, disuria; la contrarietà gli suscita collere spaventose; lo strapazzo, nonostante i bagni caldi e prolungati, e nonostante l’estrema sobrietà e l’uso moderato ma costante del caffè e del tabacco, gli produce talvolta brevi languori che arrivano fino al pianto. Il cervello è uno dei più perfetti che siano mai esistiti: l’attenzione, sempre sveglia, afferra a volo infaticabilmente i fatti e le idee; la memoria li registra e li classifica; l’immaginazione li rielabora liberamente e, con una tensione permanente e segreta, inventa, senza stancarsi, i temi politici e strategici che si manifestano in improvvisi lampi, paragonabili a quelli del matematico e del poeta – di preferenza la notte, in un improvviso risveglio, ciò che lui stesso chiama “la scintilla morale”, “la prontezza di spirito di dopo la mezzanotte”.
Attraverso gli occhi folgoranti codesto ardore spirituale illumina il viso – un viso ancora “sulfureo” quando il “Corso dai capelli lisci” sale al potere. E’ questo ardore a renderlo insocievole, e non già, come volle far credere Taine, una non si sa quale brutalità di condottiero un po’ tarato, selvaggiamente scatenato per il mondo.
Egli si rendeva giustizia: “Sono anche abbastanza bonaccione”; ed è vero: si mostrò generoso e perfino amabile con coloro che gli stavano vicini. Ma fra gli uomini ordinari, che sbrigano al più presto il loro compito per abbandonarsi al riposo e allo svago, e Napoleone Bonaparte, che era tutto tensione e concentrazione, non esisteva metro comune né alcun vero rapporto. Una costituzione fisica e cerebrale, la sua, onde scaturisce quell’irresistibile impulso all’azione e alla potenza che si chiama ambizione.
Egli vide chiaro in se stesso: “Si dice che io sia ambizioso, ma è un errore: non lo sono o, almeno, la mia ambizione è così intimamente unita al mio essere, da non potersene distinguere”.
Come si poteva dir meglio?
Anzitutto, Napoleone è un temperamento.
.
Sin da Brienne, ancora ragazzo, straniero povero e deriso, ardente e timido, egli si appoggiò sull’orgoglio di sé e il disprezzo degli altri. Ma facendo di lui un ufficiale, il destino favorì meravigliosamente il suo istinto, che era di comandare senza dovere discutere.
Se il capo militare può farsi illuminare o perfino può cercare consigli, è lui a volerlo, ed è sempre lui a decidere.
L’inclinazione naturale di Bonaparte per la dittatura divenne un’abitudine del mestiere. In Italia e
in Egitto questa abitudine egli la trasportò nella maniera di governate.
In Francia, volle spacciarsi per un civile; ma l’impronta era incancellabile: se è vero che consultò molto gli altri, non poté tuttavia sopportare una franca opposizione; per meglio dire, davanti a un gruppo di uomini abituati alla discussione, si smarriva, e perciò perseguitò gli “ideologi” con odio tanto feroce; la folla, confusa e indisciplinata, e nondimeno temibile, gli ispirò sempre tanto timore quanto disprezzo.
Fu il generale Bonaparte a conquistare il potere, e come tale lo esercitò: i costumi e i titoli non mutarono nulla.
.

Un uomo del XVIII secolo

Giovane ufficiale, era un lettore e un raccoglitore di notizie infaticabile, e anche scrittore, ed è chiaro che, se non fosse passato per Brienne, avrebbe potuto diventare un letterato. Entrato nella vita d’azione, restò un cerebrale; quest’uomo di guerra non sarà mai tanto felice come nel silenzio del suo studio, in mezzo alle sue schede e alle sue cartelle.
Il tratto s’è addolcito, il pensiero è divenuto pratico ed egli si vanta di avere studiato “l’ideologia”; nondimeno egli è rimasto l’uomo del XVIII secolo razionalista e philosophe.
Lungi dall’affidarsi all’intuizione, fa assegnamento sul sapere e sullo sforzo metodico.
“Ho l’abitudine di prevedere tre o quattro mesi prima ciò che devo fare, e faccio calcolo del peggio”…,  “ogni operazione deve essere fatta secondo un sistema, perché il caso non fa riuscir nulla”…, nei suoi lampi di genio, vede il frutto naturale della sua pazienza.
È perfettamente classico nella sua concezione dello Stato unitario, fatto tutto d’un pezzo, secondo un piano semplice è simmetrico. In rari momenti, si rivela anche in lui l’intellettualismo con la sua caratteristica più spiccata: lo sdoppiamento della personalità, la capacità di guardarsi vivere e di riflettere malinconicamente sul proprio destino.
.

Napoleone e gli ideologi

Soldato venuto su dal nulla, discepolo dei philosophes, detestò il regime feudale, l’ineguaglianza civile, l’intolleranza religiosa; vedendo nel dispotismo illuminato una conciliazione tra l’autorità e la riforma politica e sociale, se ne fece l’ultimo e più illustre rappresentante: in questo senso egli fu l’uomo della Rivoluzione.
Il suo sfrenato individualismo non accettò tuttavia mai la democrazia e ripudiò quella grande speranza del XVIII secolo, che vivificava l’idealismo rivoluzionario: la speranza d’una umanità tanto incivilita da poter essere un giorno padrona di se stessa.
Neppure il pensiero della propria sicurezza lo richiamò alla prudenza, come accade agli altri uomini, poiché, nel significato volgare dell’espressione, egli era disinteressato, non sognando che la grandezza eroica e pericolosa.
Restava il freno morale; ma i suoi rapporti con gli altri uomini non si svolgevano sul piano della vita spirituale: s’egli bene conosceva le loro passioni e le volgeva meravigliosamente ai propri fini, faceva conto unicamente di quelle che permettono di asservirli e spregiò tutto ciò che li eleva al sacrificio: la fede religiosa, la virtù civica, l’amore della libertà, perché in queste sentiva degli ostacoli per sé. Non che fosse impenetrabile a codesti sentimenti, almeno al tempo della sua giovinezza, poiché essi si confanno benissimo all’azione eroica; ma le circostanze lo orientarono diversamente e lo murarono in se stesso.
Nello splendido e terribile isolamento della volontà di potenza, la misura non ha senso.
Gli ideologi lo credevano dei loro e non sospettavano in lui l’impulso romantico. Il solo modo forse di frenare tale impulso sarebbe stato di tenerlo in una posizione subordinata, al servizio di un governo forte. Spingendolo al supremo potere, gli uomini di brumaio avevano appunto scartato ogni precauzione del genere.
.
.