L’ATTENTATO A TOGLIATTI (Testo di Marino Piazza)

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L’ATTENTATO A TOGLIATTI

Autore testo: Marino Piazza 

 

Alle ore undici del quattordici luglio
dalla Camera usciva Togliatti,
quattro colpi gli furono sparati
da uno studente vile e senza cuor.
 
L’onorevole, a terra colpito,
soccorso venne immediatamente,
grida e lutto ovunque si sente,
corron subito deputati e dottor.
 
L’assassino è stato arrestato
dai carabinieri di Montecitorio
e davanti all’interrogatorio
ha confessato dicendo così:
 
“Già  da tempo io meditavo
di riuscire a questo delitto,
appartengo a nessun partito,
è uno scopo mio personal”.
 
Rita Montagnana, che è al Senato,
coi dottori e tutto il personale,
han condotto il marito all’ospedale
sottoposto alla operazion.
 
L’onorato chirurgo Valdoni,
con i ferri che sa adoperare,
ha saputo la pallottola levare
e la vita potergli salvare.
 
Il gesto insano, brutale e crudele
al deputato dei lavoratori,
protestino contro gli attentatori
della pace e della libertà .
 
L’onorevole Togliatti auguriamo
che ben presto ritorni al suo posto,
a difendere al paese nostro,
l’interesse di noi lavorator.

Fonte video: YouTube – InChanto DelMar – Cesare Bermani – L’attentato a Togliatti

L’ATTENTATO A TOGLIATTI

Canzone da cantastorie di Marino Piazza, scritta in occasione del grave attentato compiuto da Antonio Pallante (giovane siciliano di Randazzo, ex-seminarista, studente di Legge fuori corso) il 14 luglio 1948.
La canzone fornisce una cronaca fedele dell’avvenimento, in seguito al quale scosse l’Italia uno sciopero spontaneo di eccezionale vigore, che non si trasformò in insurrezione solo per la diversa scelta operata dai dirigenti nazionali del PCI e della CGIL. La paura che il potere borghese provò, nel vedere la grande capacità di mobilitazione spontanea dei militanti proletari armati fu scontata negli anni successivi dal movimento con centinaia di morti sulle piazze, migliaia di feriti, arrestati, condannati, con la repressione generalizzata degli anni cinquanta.
Il testo originale della canzone (da un foglio volante stampato) era Il criminale attentato al tenace difensore del popolo lavoratore.
Divenuta di largo uso popolare, è stata in seguito più volte raccolta da Cesare Bermani e Franco Coggiola. Testo, note, documentazione sono nel volumetto Il bosco degli alberi; nell’antologia discografica allegata ce n’è un’esecuzione del Nuovo Canzoniere Milanese.
Cesare Bermani ha inciso una sua esecuzione, ricalcata da una lezione da lui raccolta a Suno nel 196), nel LP L’ordine nuovo.
Una lezione in parte diversa, ma che trae lo spunto dalla canzone di Piazza, registrata a Trino Vercellese nel 1968 da Franco Coggiola, è incisa nel disco 33/17 d€ei Dischi del Sole Palmiro Togliatti (DS 61).
Una versione in parte rimaneggiata, con l’aggiunta di alcune strofe, è incisa in un LP de La Comune (Dario Fo) sotto il titolo Canto popolare da cantastorie dal tagico evento (Canzoni sui momenti di lotta 1945-71; DR LC 7).
Queste le strofe aggiunte:
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“Gli operai che credettero al detto 
che s’abbatte sto potere 
stan riempiendo ancora galere 
ché vendetta fa il capital. 
Fa vendetta pel troppo spavento
che ha provato proprio al momento
che in piazza è sceso riarmato 
tutto il popolo per la libertà. 
Libertà che non si conquista 
sol facendo la ribellione, 
ma se il partito non è alla direzione 
sempre morte pel popol sarà”.
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Nello stesso LP è incisa una canzone più recente di Dario Fo, spiritosa e significativa; il titolo è Giro d’ltalia, rivolusion.

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Documentazione

 Renzo Del Carria
 È, in questo quadro che scocca “la scintilla” del 14 luglio 1948 che vedrà ancora una volta scendere le classi subordinate italiane in sciopero pre-insurrezionale in tutta la penisola. Sarà, nella loro storia, l’ennesima esplosione imprevista, spontanea e non diretta dal partito di classe. Dopo tutte le teorizzazioni del partito, dopo I’esperienza avanzata compiuta con la guerra di liberazione, le classi subalterne, senza guida e senza obiettivi, combatteranno ancora una volta, come nel 1904 e nel 1914, come nel 1919 e 7920, col vecchio sistema della sommossa che non riesce a divenire rivoluzione perché manca un partito che la guidi…
Come dirige il Partito questi vasti movimenti di massa? Come utilizza la carica rivoluzionaria degli operai e dei contadini e del ceto medio rivoluzionario? Nel narrarne la cronaca abbiamo la lampante conferma di non trovarci più di fronte ad un partito leninista: sembra di tornare agli episodi del ’14 e del ’19-’20, quando il partito nelle prime 24 ore si fa rimorchiare dalle masse e poi successivamente, quando l’ondata rallenta, opera per riportare il moto nell’alveo della legalità e frena con il peso del proprio apparato la spinta che sale dal basso.
Né si tratta di un movimento di massa limitato, se lo stesso Secchia, nell’analizzarlo mesi dopo e pur volendo dimostrarne i limitati scopi di sola protesta anti-governativa, ebbe a dichiarare testualmente:
“Nella storia del movimento operaio italiano non c’è mai stato uno sciopero generale, così spontaneo, così compatto, così esteso, come quello del 14-16 luglio 1948. Occorre tener conto che lo sciopero generale del 14 luglio non fu preparato e non fu preceduto da alcun lavoro di organizzazione. Fu il primo sciopero generale al quale parteciparono compatte tutte le categorie di lavoratori, compresi i ferrovieri e i postelegrafonici, compresi i negozianti, commercianti, artigiani, ecc.”.
L’ammissione viene da fonte non sospetta, anche se il porre l’accento sulla “spontaneità” e sulla mancanza di ogni “lavoro di organizzazione” mostra proprio la carenza di fondo del partito che, aggiunge il Secchia, “non parlò di sciopero insurrezionale, non invitò i cittadini ad armarsi disarmando il nemico, non disse di occupare gli edifici pubblici, le ferrovie, la radio, le centrali telefoniche, le caserme, i campi di aviazione, ecc.”.
Cioè il partito non fece e non volle fare quello che sarebbe stato il compito di un partito rivoluzionario. Il Centro del Partito non volle fare la rivoluzione, mentre le masse aspettavano proprio questa direttiva. Nelle prime ore succedute all’attentato “L’Unità“, che esce in varie edizioni straordinarie, invita alla lotta contro il “vile attentato a Togliatti” e pubblica un appello della Direzione dei partito che lancia la parola d’ordine: “Dimissioni del governo della discordia e della fame, del governo della guerra civile”; ma insieme a questo obiettivo afferma che trattasi di uno sciopero politico “di protesta” e aggiunge: “si levi in tutto il paese la indignata protesta dei lavoratori e di tutti gli uomini liberi” che serva a rivendicare “la pace interna, la  legalità repubblicana e la libertà dei cittadini”.
Come si vede il Partito nelle prime ore del pomeriggio del 14, sotto la spinta dell’enorme carica delle masse, lancia un appello ai milioni di lavoratori in lotta, da un lato affermando che trattasi di pura “protesta” nell’ambito della “legalità repubblicana”, ma dall’altro indicando il preciso obiettivo delle dimissioni del governo.
Non è una parola d’ordine decisiva, ma poteva costituire il primo passo. Senonché, dopo questo inizio, niente segue e per i due giorni successivi la Direzione del Partito cessa di fornire alcuna direttiva e non dà più alcun segno di vita. Da quel momento le poche direttive di lotta, che di lì a qualche ora saranno di resa, vengono dalla Confederazione Italiana del Lavoro (sembra di essere tornati al 1920 all’epoca di D’Aragona).
Già nel pomeriggio del 14 il Comitato Esecutivo della CGIL lancia un appello, molto meno deciso di quello del partito, che invita i lavoratori ad “estendere lo sciopero generale a tutte le categorie e in tutto il paese a cominciare dalla mezzanotte” (dimentico che Io sciopero era già generalissimo di fatto in tutto il paese da varie ore), che preannuncia “nella giornata di oggi ulteriori disposizioni” e che invita a “difendere la democrazia, la libertà, la repubblica”.
Intanto, di fronte alla Camera riunita, Nenni per il PSI e Giancarlo Paietta per il PCI presentano una mozione nella quale si chiedono le dimissioni del governo; ma De Gasperi e Scelba non cedono e dichiarano che difenderanno la legalità e che la mozione di sfiducia verrà votata… tre giorni dopo.
Per tutta la lotte tra il 14 e il 15 e durante tutto il giorno 15 i milioni di lavoratori in lotta in tutto il paese non ricevono più alcuna direttiva né dal partito, né dalla CGIL, né ci risulta che sia uscita “L’Unità” durante tutta la giornata del 15 (erano invece uscite tre edizioni straordinarie nel solo pomeriggio del 14). Si seppe poi, alcuni giorni dopo, che alle ore 13,20 del 15 una delegazione formata da Di Vittorio, Bitossi e Santi si era recata dal Presidente del Consiglio De Gasperi per richiedere “un cambiamento di situazione per ristabilire un regime di libera convivenza”, come ebbe a dichiarare ai giornalisti lo stesso Di Vittorio intervistato.
Era stata cioè lasciata cadere la richiesta di dimissioni del governo! Al che De Gasperi rispose che la CGIL si era presa una grossa responsabilità ad andare contro il Governo, ma che “a sua volta il governo sarebbe andato contro la CGIL”.
Il quale Governo rimase in seduta permanente per tutto il giorno 15.
Si arriva così alla notte tra il 15 e il 16 durante la quale l’Esecutivo della CGIL decide di ordinare la ripresa del lavoro per l’indomani.
Ma l’Esecutivo Confederale, non pago di ciò, alle una di notte torna nuovamente a Canossa e, nelle persone di Di Vittorio, Bitossi, Santi.
Enrico Parri e Canini, dopo la riunione notturna, chiede di essere ricevuto ancora da De Gasperi; ma questi vuole ulteriormente umiliarli e incarica di riceverli il vicepresidente Piccioni ed il Ministro Fanfani in un colloquio che dura sino alle 2,10 della notte.
Interrogato dai giornalisti, Di Vittorio dichiara:
“Il Comitato  Esecutivo Confederale ha deciso la cessazione dello sciopero alle ore 12 di oggi. A quell’ora riprenderà il lavoro in tutta Italia… L’Esecutivo si è assunto la responsabilità di dichiarare la cessazione dello sciopero, pur sapendo che la maggior parte delle C.d.L. ne avevano chiesto la continuazione”…
Ma anche tali affermazioni di lealismo legalitario non saranno sufficienti ad impedire la repressione che il Governo, per mezzo del Ministro degli Interni Scelba, attuerà nei giorni e nei mesi successivi al 14 luglio.. La paura dei monopoli per lo slancio dimostrato dalle masse in quei giorni era stata troppo grande per non dover prendere drastici provvedimenti.
I due anni e mezzo che seguiranno, e cioè sino alla fine del 1950, vedranno 62 lavoratori uccisi quasi sempre in veri e propri eccidi, 3.126 lavoratori feriti e ben 92.169 proletari arrestati per motivi politici (di cui 19.306 condannati a complessivi 8.441 anni di carcere).
Per i soli fatti del 14 luglio risultavano alla metà di agosto denunciati o arrestati 7.000 lavoratori (tra cui 1.800 in Toscana, 992 nelle Puglie e 800 in Sicilia). Inoltre la Polizia e la Magistratura instaurano migliaia di processi per fatti avvenuti nell’epoca partigiana; e questo nei mesi in cui vengono scarcerati anche i più grossi dirigenti repubblichini.