LA RESISTENZA, LA RICOSTRUZIONE – Canzoni italiane di protesta

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LA RESISTENZA, LA RICOSTRUZIONE 

Canzoni italiane di protesta

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Molte sono le canzoni nate nel periodo 1943-45, fra i partigiani impegnati nella lotta anti-fascista e anti-nazista, più volte pubblicate e facilmente reperibili. Per questa sezione mi sono limitato a riportare quelle più conosciute o ritenute più significative.
Non poteva, certo, mancare Bella ciao, popolarissima ancor oggi; Il bersagliere ha cento penne, da un canto della prima guerra mondiale; Pietà l’è morta …,  Dalle belle città…,   Quei briganti neri…,   La badoglieide …e Festa d’aprile, piene di tagliente sarcasmo.
Altre canzoni, anche molto conosciute (Fischia il vento…, Su comunisti della capitale…., Stornelli viterbesi), esprimono un anti-fascismo con contenuti sociali più accentuati.
A questo elenco ho ritenuto opportuno aggiungete Se il cielo fosse bianco di carta, di Ivan Della Mea, scritta in anni più recenti sul testo di una delle più commoventi lettere della Resistenza europea (quella di Chaïm), e Ma mi di Strehler e Carpi, anch’essa scritta in anni più recenti e molto conosciuta perché entrata stabilmente nel repertorio cabarettistico (Ornella Vanoni, Enzo Jannacci,..).
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Sent on po’, Gioan, te se ricordet fa patte di una serie di ballate scritte da Ivan Della Mea e dedicate a Gianni Bosio (Gioan), in cui si rievocano alcuni momenti fondamentali degli anni quaranta e cinquanta; questa prima canzone è dedicata alle elezioni del 1948, alle illusioni sul “Fronte popolare”, all’amarezza della sconfitta.
Sullo stesso tema Vi ricordate quel diciotto aprile, dal repertorio di Giovanna Daffini.
Dedicata al grave avvenimento del 14 luglio dello stesso anno è L’attentato a Togliatti, di Marino Piazza, una cronaca da cantastorie divenuta molto popolare.
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Degli anni seguenti sono Mo’ che pure, fortemente anti-americana, Ha detto De Gaspere a tatti i divoti e Con De Gasperi non se magna, espressioni di quadri di base dei partiti operai, nel momento in cui la classe sta subendo la storica sconfitta che sola può garantire al padronato la possibilità di “ricostruire” e “ristrutturare” il proprio sistema di dominio.
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Diversi episodi di quegli anni sono ricordati in Te se ricordet, Gioan, de me fradel, di Ivan Della Mea (ancora l’attentato a Togliatti e la spontanea insurrezione proletaria, l’Anno santo e la crociata anticomunista di papa Pacelli, il suicidio di Cesare Pavese); mentre dure testimonianze della condizione contadina e operaia troviamo in All’alba se ne va e in Guarda che vita fa, quest’ultima di Giuseppe Ganduscio; e un richiamo a Scelba, che è al governo, offre una dimensione storica definita al clima amaro di Anche per quest’anno, del repertorio della Daffini.
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Le due canzoni che seguono (Son la mondina, son la sfruttata e Noi siamo la classe operaia, scritta da Pietro Besate la prima, rielaborata da un canto precedente la seconda) sono però testimonianza di una classe certo piegata, ma tutt’altro che domata e rassegnata.
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Vengono poi pubblicate tre altre ballate della serie di Ivan Della Mea: El diluvi sulle alluvioni in Polesine (1951-52); Che cosa voglion dire gli occhi tristi sulle elezioni del 1951 e la lotta vittoriosa contro la legge-truffa; Mangia el carbon e tira l’ultim fiaa sul disastro di Marcinelle e l’incontro di Pralognan fra Saragat e Nenni (1956), tappa importante sulla strada che avrebbe portato il PSI fino al centro-sinistra.
Al disastro di Marcinelle, e in genere all’emigrazione meridionale, si riferisce anche Lu trenu di lu suli di Ignazio Buttitta.
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Del 1958 sono le ultime due canzoni della sezione, composte e interpretate dal gruppo dei Cantacronache: Dove vola l’avvoltoio? di Italo Calvino e Sergio Liberovici e La zolfara (sul disastro della miniera di Gessolungo) di Fausto Amodei e dello stesso Liberovici.
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