HENRI ROUSSEAU – Vita e opere

Io, ritratto-paesaggio (Autoritratto) (1889-1890)
Henri Rousseau (1844–1910)
Národní Galerie di Praga
Olio su tela cm 146 x113

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Henri Rousseau nacque a Laval nel 1844 da una famiglia della media borghesia. Nel 1869 sposò Clémence Boitard da cui ebbe ben nove figli dei quali solo uno sopravvisse. Grazie a un parente della moglie ottenne un posto al dazio (e non alla dogana come lascia intendere il suo soprannome), impiego che abbandonò nel 1885 per dedicarsi esclusivamente alla pittura. Alla morte della moglie egli si risposò con Rosalie Nourry che morì solo dopo quattro anni.
Intorno al 1880 Rousseau incominciò a frequentare assiduamente il Louvre, visite appassionanti che lo convinsero che il suo desiderio era quello di dedicarsi alla pittura, tanto che cominciò a copiare sistematicamente i grandi capolavori del passato, in particolare Paolo Uccello e Piero della Francesca, e a frequentare i corsi di pittura tenuti da Gérôme e Clément.
Le sue prime apparizioni al Salon des Indépendants furono accolte con derisione dalla critica. I primi a capire quanto quelle visioni fantastiche esprimessero una genialità fuori dal comune e la purezza della sua pittura, furono alcuni giovani artisti, Redon, Picasso, Gauguin e Apollinaire.
Suo appassionato sostenitore, nel 1908 Picasso organizzò in onore dell’amico un banchetto, rimasto memorabile nella storia, a cui parteciparono gran parte degli artisti e degli intellettuali che vivevano e operavano a Parigi.

Oltre la pittura Rousseau amava la musica e la letteratura e spesso organizzava a casa sua serate durante le quali si parlava di questi argomenti.
Implicato in un fallimento nel 1909 l’artista fu condannato a due anni di detenzione e proprio in carcere morì di cancrena nel 1910.

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Il giudizio dei surrealisti

Il gruppo dei surrealisti che faceva capo a André Breton apprezzava moltissimo la pittura di Rousseau il Doganiere. Tristan Tzara, fondatore del movimento d’avanguardia Dada poi in parte confluito in quello surrealista, nel 1962 pubblicò un saggio sulla rivista “Art de France”, in cui spiegava le ragioni del suo giudizio positivo. Prima di tutto Tzara riconosceva a Rousseau il merito di aver impostato i suoi quadri secondo una nuova prospettiva, certo diversa da quella rinascimentale, ma non meno rivoluzionaria.
Inoltre il critico sottolineava la novità dell’aspetto statico delle immagini di Rousseau: la rigidità formale derivava dal considerare l’azione come susseguirsi meccanico di porzioni di tempo in cui l’artista poteva inserirsi per cogliere una visione istantanea e fissa della vita che si svolgeva. Infine Tzara diceva di stimare l’opera di Rousseau in ragione dell’amore di questo artista per l’uomo e la natura.

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