IL TEATRO GRECO – LA TRAGEDIA

Dioniso attorniato da satiri

.

IL TEATRO GRECO

LA TRAGEDIA

Le più antiche forme di rappresentazione teatrale sono la tragedia e la commedia, che nacquero nell’antica Grecia.
La tragedia si sviluppò probabilmente da un canto corale in onore del dio Dioniso (questo canto era chiamato ditirambo).
Ben presto colui che intonava il canto (il capocoro) si staccò dal coro dando vita ad un dialogo con i componenti del coro. Nel 536 a.C. venne organizzato il primo concorso drammatico ad Atene in occasione della 61a Olimpiade. Questo concorso venne vinto da Tespi (autore di tragedie e attore) che contribuì allo sviluppo della tragedia introducendo il prologo e definendo il dialogo fra il coro e un attore che interpretava più personaggi. A questo concorso tragico ne seguirono molti altri che si svolgevano in occasione di precise festività religiose in cui venivano presentate al pubblico le tragedie dei vari autori in gara. Con il passare del tempo la rappresentazione della tragedia fu organizzata in tre giornate, durante le quali si rappresentavano tre drammi strettamente collegati.
Argomenti delle tragedie erano le gesta e le vicissitudini degli dei e degli eroi della mitologia. Secondo il filosofo Aristotele la tragedia era la forma d’arte più completa ed aveva una funzione purificatrice poiché il pubblico, vedendo rappresentate sulla scena le proprie passioni, se ne liberava (questo processo è chiamato da Aristotele catarsi, che significa purgazione). Aristotele distinse anche gli elementi essenziali della tragedia: il mito (che fornisce al poeta il soggetto), i caratteri (devono essere rappresentati sempre coerentemente), il pensiero (deve essere espresso non solo dalle parole, ma anche dalle azioni dei personaggi), la elocuzione (stile dei personaggi e del coro), lo spettacolo scenico e l’accompagnamento musicale. La tragedia era basata su tre regole, dette unità: unità d’azione (ovvero coerenza interna della composizione, imperniata su un’unica azione compiuta), unità di tempo (l’azione non doveva superare di molto la durata di una giornata; quest’unità era probabilmente dovuta ad esigenze di spettacolo dato che le rappresentazioni avvenivano all’aperto e duravano dall’alba al tramonto, sfruttando la luce del sole); unità di luogo (l’azione doveva svolgersi in un unico luogo e quanto avveniva al di fuori veniva raccontato dagli attori).
La tragedia si divideva in quattro parti: la scena iniziale o prologo, il canto del coro (pãrodos), gli atti (episodi) che erano divisi dai canti del coro chiamati stàsimi, e l’esodo o scena finale. Il drammaturgo a cui si deve la definizione di questa struttura che rimarrà costante, è Eschilo (525-456 a.C.). Questo grande drammaturgo e poeta, di cui ci restano solo sette tragedie (Le Supplici, 490 a.C.; I Persiani, 472 a.C.; I Sette contro Tebe, 467 a.C.; Agamennone, Coefore, Eumenidi, che compongono la trilogia Orestiade (458 a.C.); Prometeo Incatenato (467 a.C.), determinò un’evoluzione in senso drammatico della tragedia.
Eschilo introdusse un secondo attore, creando cosi una situazione di conflitto. Capolavoro della sua produzione, dove sono perfezionati e rinnovati i procedimenti tragici, è la trilogia dell’Orestiade, in cui è narrato l’omicidio di Agamennone da parte della moglie Clitennestra (Agamennone), la vendetta di Oreste che istigato dalla sorella Elettra uccide la madre (Coefore) e il dramma di Oreste, tormentato dal rimorso, che viene alla fine assolto e perdonato (Eumenidí).
In questa vicenda sono contenuti alcuni dei motivi che diventeranno ricorrenti nel genere tragico: ineluttabilità delle leggi del destino, contrasto fra la voce della natura e un ordine superiore, adempimento di una legge di giustizia nelle vicende umane.
Anche i personaggi sono trattati in modo nuovo: non sono più in balia di forze che non riescono a dominare, ma sono consapevoli delle proprie azioni ed operano delle scelte.
Eschilo rinnovò la sua tecnica teatrale perché in competizione con un autore più giovane che aveva già introdotto il terzo personaggio nelle sue tragedie. Questo drammaturgo era Sofocle (circa 497 a.C. – 406 a.C.). Anche di Sofocle ci restano solo sette tragedie (Antigone, 442; Filottete, 409; Aiace, Edipo re, 429; Le Trachinie, Elettra, 413; Edipo a Colono, 407), molto importanti non solo per le innovazioni tecniche (terzo attore e ampliamento del coro), ma anche e soprattutto per l’evoluzione della psicologia dei personaggi che nel corso del dramma subiscono un processo di maturazione. Inoltre la tragedia non è più solo una parte della trilogia, ma costituisce un’opera compiuta e indipendente. Nelle sue opere Sofocle affronta i grandi problemi della vita umana e sociale (il conflitto fra la legge degli uomini e quella divina in Antigone; l’amore che porta sventura nelle Trachinie; l’ineluttabilità del Destino, il fatto che conoscere il proprio destino non vuol dire poi poterlo evitare e l’arrivo dell’eroe alla conoscenza di sé stesso in Edipo re ed Edipo a Colono) ed esprime una concezione pessimistica basata sulla consapevolezza del1’infelicità umana.
Ultimo grande tragediografo greco è Euripide (485 a.C. – 406 a.C.) di cui ci sono pervenute solo 17 tragedie e un dramma satiresco: il Ciclope. Le più importanti sono: Medea (431 a.C.), Elettra (413 a.C.), Ifigenia in Tauride (414 a.C.), Le Baccanti e Ifigenia in Aulide (postume entrambe).
I drammi di Euripide non presentano alcuna innovazione tecnica: gli attori sono tre, il coro commenta l’azione, il prologo espone l’antefatto, alla fine dell’opera la situazione si risolve con l’intervento di un dio (deus ex machina), ma sono profondamente nuovi per l’attenzione rivolta ai personaggi che sono ricondotti ad una dimensione umana. I temi affrontati da Euripide sono 1’amore, la politica, la guerra, il caso.

Qui sopra, skypos a figure rosse riproducente una scena teatrale. La provenienza del reperto è incerta, ma l’ipotesi più accreditata è quella che lo colloca a Cuma nel 350 a.C.

Il genere teatrale della tragedia venne definito da Aristotele nella Poetica e con il passare del tempo ha mantenuto quasi inalterate le caratteristiche individuate dal filosofo greco nel IV secolo a.C. Tali caratteristiche riguardano soprattutto la qualità dei personaggi che devono essere nobili o in ogni caso migliori dello spettatore, altrimenti il pubblico non ne condividerebbe le sofferenze e non resterebbe impressionato dai suoi errori e dal suo triste destino. La morte dell’eroe viene sentita dallo spettatore come inevitabile poiché il meccanismo innescato da quello (molto spesso una vendetta per dei torti subiti) si risolve sempre in una catastrofe finale che costituisce anche una sorta di purificazione e l’inaugurazione di un nuovo mondo in cui l’ordine viene restaurato. Con le sue azioni, infatti, l’eroe tragico porta scompiglio all’interno di un ordine prestabilito ed è necessaria la sua eliminazione, assieme a quella dei colpevoli, perché ritornino la pace e la tranquillità. Quanto è successo non verrà dimenticato perché esiste la fiducia in una legge morale che dà al male e alla sofferenza il valore di una esperienza molto significativa che costringe lo spettatore a riflettere sui valori per cui l’uomo vive. La tragedia diventa cosi espressione di una profonda riflessione sull’uomo e sul suo destino. Un’altra caratteristica essenziale della tragedia è la presenza di forze che l’eroe non può controllare: le divinità, il fato, il caso, la debolezza, una passione smodata che spinge all’azione. Queste forze hanno una natura irresistibile di cui però l’eroe non è cosciente: la sua crisi inizia nel momento in cui egli riconosce che non ha nessun potere su di loro.

VEDI ANCHE . . .

IL TEATRO GRECO – LA TRAGEDIA

IL TEATRO GRECO – LA COMMEDIA

IL TEATRO ROMANO

IL TEATRO NEL MEDIOEVO

IL TEATRO NEL RINASCIMENTO

LA COMMEDIA DELL’ARTE

TEATRO NEL XVI E XVII SECOLO – TEATRO CLASSICO FRANCESE

TEATRO NEL XVI E XVII SECOLO – IL SECOLO D’ORO SPAGNOLO

.