ENRICO IV – Luigi Pirandello

ENRICO IV

Commedia in prosa in tre atti di Luigi Pirandello. Composta tra settembre e novembre 1921, venne rappresentata al Teatro Manzoni di Milano il 24 febbraio 1922 e pubblicata a Firenze nel 1922. Considerato il capolavoro teatrale di Pirandello insieme a Sei personaggi in cerca d’autore, Enrico IV è uno studio sul significato della pazzia e sul tema caro all’autore del rapporto, complesso e alla fine inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità.

ATTO I

Una serie di personaggi in abiti moderni (fra i quali la marchesa Matilde Spina, il suo amante, il barone Belcredi, e un dottore) si aggirano nel salone di una villa che simula la sala del trono di Enrico IV. Dai lunghi dialoghi emerge un antefatto drammatico che risale a una ventina d’anni prima. Durante una cavalcata in costume il protagonista (di cui non ci è detto il nome), travestito da Enrico IV, cade da cavallo e impazzisce. Crede di essere davvero Enrico IV e la sorella trasforma la villa nella reggia medievale dell’imperatore tedesco, mettendo quattro finti consiglieri segreti e altro personale a sua disposizione. Morta l’affettuosa sorella, l’impegno e assunto dal di lei figlio, il marchese Di Nolli, che conduce in visita il dottore, nella speranza di una possibile guarigione dello zio. La parte finale dell’atto vede un incontro fra Enrico IV e alcuni dei visitatori (Matilde, Belcredi, il dottore, in abiti medievali).

ATTO II

Dopo un secondo incontro con Matilde e il dottore, Enrico IV svela ai propri consiglieri di non essere più pazzo, ma di aver preferito simulate, per anni, la pazzia, in una sorta di enigmatico rifiuto del mondo.

ATTO III

Il dottore ha escogitato il suo rimedio per strappate Enrico IV alla pazzia, per ridargli il senso del tempo: fargli apparire dinanzi agli occhi Matilde (la donna amata in passato) nello stesso abito di Matilde di Toscana della cavalcata di vent’anni prima, nonché una coppia di doppi, costituiti dal Di Nolli e da Frida, figlia di Matilde e fidanzata del giovane. Nel frattempo i finti consiglieri hanno svelato che Enrico non é più pazzo. Sentendosi braccato e deriso, Enrico uccide con un colpo di spada Belcredi e torna a chiudersi nella sua dorata prigione, chiamando intorno a sé i propri consiglieri segreti.

COMMENTO

Secondo alcuni critici, al ciclo del “teatro nel teatro” si collega per certi aspetti un altro grande capolavoro di questo periodo, Enrico IV (1922), che si stacca dal “grottesco” per un’ambizione alla “tragedia” (cosi definisce il testo Pirandello stesso).
In una villa solitaria nella campagna umbra vive rinchiuso da vent’anni un uomo che, impazzito per una caduta da cavallo durante una mascherata in costume, si è fissato nella parte che vi rappresentava, quella dell’imperatore medievale Enrico IV. Da allora continua a restare immerso in quella lontana vicenda storica, assecondato da tutti quelli che lo circondano. Nella villa si introduce la donna che un tempo egli amava, Matilde, con l’amante Tito Belcredi e la figlia Frida. Un dottore, attraverso una specie di psicodramma, mascherando la figlia come era un tempo la madre durante la cavalcata storica, vuol provocare nel pazzo uno choc che lo riconduca alla ragione.
Ma “Enrico IV” rivela di essere rinsavito da molti anni e di essersi chiuso nella sua parte per disgusto di una società corrotta e vile. Cosi facendo, però, e anche rimasto escluso dalla vita, e la vita gli e sfuggita, a poco a poco. Ora vorrebbe riappropriarsene, vivere ciò che non ha Vissuto, possedendo la donna che non aveva potuto avere, nella forma di allora, cioè non Matilde ormai vecchia ma la giovane Frida. Belcredi interviene per difendere la fanciulla, ma “Enrico IV” lo uccide con la sua spada. Cosi, da quel momento, sarà costretto a chiudersi di nuovo, per sempre, nella sua pazzia.
È stato detto che il dramma si collega al ciclo del “teatro nel teatro” perché anche qui avviene una recita in scena, quella di “Enrico IV” (il nome vero del personaggio non è mai rivelato: egli si identifica totalmente con la sua parte), definito appunto “il grande Mascherato”. Gli altri personaggi del dramma dicono di lui che già prima dell’incidente, nelle rappresentazioni di beneficenza, “recitava benissimo”, e ora “è diventato, con la pazzia, un attore magnifico e terribile”. Non solo, ma così fissato nella sua parte, divenuto Enrico IV per sempre, è davvero come un personaggio, immutabile, perciò diverso dagli uomini in carne ed ossa, che mutano e si trasformano.
La finzione dell’eroe non è che la prosecuzione cosciente, rigorosa, portata all’estremo, della finzione che e di tutti, costretti dal meccanismo sociale ad indossare delle maschere a recitare una parte. Verso la sua maschera l’eroe ha un atteggiamento ambivalente: da un lato ne prova fastidio, sentendo la nostalgia della vita vera, perché la parte assunta lo fissa e lo imprigiona in una forma immutabile; dall’altro però la commedia sociale lo disgusta, e la maschera che lo isola dal mondo costituisce una sorta di rifugio, di protezione, sicché il gesto finale che lo costringe a chiudersi definitivamente nella parte si può anche intendere dettato da una volontà di fuggire da quella realtà intollerabile.

Con Enrico IV ricompare la grande figura, cara a Pirandello, dell’eroe estraniato dalla vita, dotato di superiore consapevolezza, che guarda dall’alto la miseria della commedia mondana. Ma, come tutti i grandi personaggi pirandelliani, anch’egli é doppio, scisso, non é un eroe disumano nella sua purezza intellettuale: é turbato anch’egli da passioni, appetiti, rimpianti che lo legano alla vita. Il gesto finale, che lo chiude nuovamente nel guscio protettivo della follia, pub essere allora letto come la manifestazione di una debolezza, la confessione di un’incapacità di vivere.

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