L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA di Luigi Pirandello

L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA di Luigi Pirandello 

Dramma in un unico atto rappresentato per la prima volta al Teatro Manzoni a Milano il 24 febbraio 1922
PERSONAGGI 
L’uomo dal fiore in bocca
Un pacifico avventore
Una donna nell’ombra, che non entra mai in scena
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Si tratta di un “atto unico”, ossia di una commedia che si svolge in un solo atto. Il fiore di cui parla il titolo è, in realtà, un epitelioma.., cioè, un tumore maligno, che si è annidato sulle labbra di quest’uomo. Tutt’altro fiore, quindi: se Pirandello lo chiama così, è solo per esprimere quell’amara ironia che caratterizza spesso le sue creazioni.

La scena è molto semplice: i tavoli di un caffè, gli alberi di un viale.
E’ notte fonda: un viaggiatore ha perso il treno, e deve attendere il prossimo, che arriverà dopo diverse ore.
La sua attesa è interrotta dalla conversazione con uno sconosciuto (l’uomo “dal fiore in bocca”, appunto), che gli rivolge strani discorsi. Anzi, per la verità, quello che parla quasi ininterrottamente è proprio lo sconosciuto, mentre il viaggiatore si limita ad intervenire qua e là, dando parvenza di dialogo a quello che, in effetti, è quasi un monologo.
E’ chiaro che lo sconosciuto ha un enorme bisogno di parlare, di comunicare con qualcuno; ma soltanto alla fine il viaggiatore capirà perché, quando gli verrà rivelato il tragico destino dell’altro.
C’è anche un terzo personaggio, che costituisce una sorta di presenza muta ma (da un certo punto in avanti) continua: si tratta della moglie dello sconosciuto signore, che segue di nascosto le mosse del marito, senza lasciarlo solo un istante, per cercare di dimostrargli il proprio tenace affetto. Ma invano: lo sconosciuto rifiuta questa dedizione ostinata, che rappresenta per lui un ostacolo al continuo tentativo di dimenticare la propria condizione di uomo destinato a rapida morte. Come potrebbe egli dimenticare, quando legge ad ogni istante negli occhi di lei la verità?

Ma forse le cose non sono così semplici. In realtà, quello che l’uomo dal fiore in bocca cerca di evitare è proprio il fatto di dover comunicare con qualcuno. La sua speciale condizione lo isola dagli altri, lo chiude in una severa solitudine. Egli vorrebbe poter dimostrare a se stesso (così egli dice) che la vita è “sciocca e vana”, in modo da rendere meno duro il proprio distacco dal mondo; ma ad ogni istante egli non fa che scoprire la bellezza della vita che gli si mostra in tutte quelle infinite cose apparentemente insignificanti che riempiono ogni momento della nostra esistenza (si sente con quanto amore egli descrive i gesti delle commesse dei negozi, o il modo di mangiare le albicocche). Dunque, è proprio da questa disperazione che nasce la sua insofferenza nei confronti dell’unica persona (la moglie) che saprebbe dargli vero affetto e vera partecipazione alla sua sofferenza. Ed ecco allora che tutto il suo fitto colloquiare col viaggiatore si rivela per quello che è: una finta disposizione al dialogo, che nasconde in realtà la sua tenace ostilità a tutto e a tutti, ed il suo rifiuto ad instaurare col prossimo un rapporto autentico di comunicazione. La sua vivissima curiosità, l’apparente allegria con cui egli segue i più minuti fatti dell’esistenza quotidiana, non implicano una sua attiva partecipazione a quella gioia del vivere che si riflette in tutte le cose che lo circondano; al contrario, esse indicano solo il suo disperato e solitario tentativo di restare attaccato alla vita, “come un rampicante alle sbarre di una cancellata”.

La scrittura di Pirandello è molto discontinua. C’è una notevole fluidità di linguaggio, che vuole imitare lo stile parlato; con tutte quelle pause, quelle esitazioni, quei mutamenti improvvisi di rotta che sono tipici della viva conversazione. Ma c’è anche, qua e là, qualche caduta di tono verso il registro sentimentale, come se l’autore non sapesse resistere al desiderio di comunicarci la sua privata commozione; ed ecco allora comparire certe esclamazioni o certe interrogazioni, che suonano insistite e poco spontanee. C’è, del resto, una certa eccessiva ricchezza nell’aggettivazione (“fresca carezza”, “selvaggia voglia”), che accentua il carattere libresco e manierato della pagina, cioè appunto non sempre spontaneo; e questo traspare anche da tutti quei frequentissimi incisi, che spezzano innaturalmente il discorso (“Vorrebbe, capisce? ch’io me ne stessi a casa”…, “Se la morte, signor mio, fosse…”…, “Attaccarmi così – dico con l’immaginazione – alla vita”… ) e così via…
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Luigi Pirandello
Luigi Pirandello (1867-1936) è soprattutto ricordato come autore di teatro e come novelliere. È uno scrittore complesso, talvolta cervellotico nell’immaginare le situazioni in cui colloca i suoi personaggi, ma sempre ricco di inventiva e capace di sollecitare la partecipazione del lettore o dello spettatore. I temi su cui egli ha maggiormente insistito nei suoi lavori letterari sono quello della solitudine dell’uomo e quello dell’illusorietà e dell’instabilità dei rapporti interpersonali. Per Pirandello, ogni individuo presenta agli altri una fisionomia molteplice e cangiante, inafferrabile proprio per la sua continua mutevolezza. E’ come se ciascuno di noi avesse non una, ma molte personalità, tutte diverse. A Tizio appariamo in un certo modo, a Caio in un altro, a seconda dei nostri umori; ma anche a seconda del loro umore, che contribuisce a farci risultare in una luce diversa. Persino a noi stessi il nostro io manifesta, secondo i momenti, un volto differente: siamo capaci di bontà e di cattiveria, di generosità e di viltà, di affetto e di invidia.
Come si vede, Pirandello avverte acutamente una certa crisi di identità che il soggetto prova nei confronti di un mondo caotico e in continua trasformazione e di una società (quella industriale) che ha distrutto la stessa possibilità di un’autentica intesa tra le persone. Tutto ciò che rientra nel raggio della nostra esperienza non che un’apparenza illusoria; non ci sono certezze (tanto meno certezze scientifiche), ma solo dubbi, e una costante e convulsa ricerca di qualcosa che possa appagare il nostro desiderio di felicità. E si pensi che egli scriveva in un’epoca caratterizzata da grandi entusiasmi per le possibilità nuove offerte dalla scienza: ma a cosa servono le conoscenze scientifiche, se l’uomo stesso è così fragile e inafferrabile?

Quasi per reagire a questo perenne senso di incertezza, i personaggi teatrali di Pirandello dialogano fittamente tra di loro. Essi vivono interamente in questo dialogo, che è tutto intessuto di amare confessioni, di angosciose richieste, di finte indifferenze che celano in realtà il desiderio di sollecitare l’interessamento degli altri per i propri casi. Ma è un dialogare tra sordi, tra gente che non si comprende: il vero volto di ciascuno sembra continuamente sfuggirci, e quello che prima ci appariva uno strano burlone, magari un po’ folle, di colpo ci appare come un uomo disperato, che porta dentro di se una tragica esperienza. E’ in questo caso, per esempio, dell'”uomo dal fiore in bocca”, che è il protagonista di questa breve opera.

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