SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE – Luigi Pirandello

SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE

Sei personaggi in cerca d’autore è l’opera teatrale più conosciuta del premio Nobel siciliano Luigi Pirandello. Con la sua opera Pirandello si rivoltò contro il teatro dell’illusione e creò così le basi per il dramma moderno.

Personaggi
Il padre
La madre
La figliastra
Il figlio
Il giovinetto (non parla)
La bambina (non parla)
Madama Pace
Il direttore-capocomico
La prima attrice
Il primo attore
La seconda donna
L’attrice giovane
L’attor giovane
Altri attori e attrici
Il direttore di scena
Il suggeritore
Il trovarobe
Il macchinista
Il segretario del capocomico
L’usciere del teatro
Apparatori e servi di scena

Ho scelto Sei personaggi in cerca d’autore, uno dei drammi più significativi e certamente il più rappresentato, non soltanto peri temi da esso dibattuti, ma anche per gli espedienti tecnici sui quali si sorregge, tra i più originali e teatralmente validi. Sono pagine indubbiamente complesse; ma tutto il teatro del Pirandello è complesso e solo affrontandone le complessità se ne possono gustare le suggestioni più profonde.

Nei Sei personaggi in cerca d’autore (1921) Pirandello compì una radicale scomposizione di quelli che sono gli elementi fondamentali della finzione scenica. Il dramma si apre infatti su un palcoscenico spoglio, dove un gruppo di attori, sotto la guida del loro capocomico, sta provando una già nota commedia dello stesso autore, Il gioco delle parti. Il sipario è quindi già aperto, poche luci sono accese, il suggeritore è fuori della sua buca, gli attori vestono i panni di ogni giorno; non stanno insomma recitando, ma vivendo un momento qualsiasi della loro giornata di lavoro, su un piano che vuol essere quello della cosiddetta “realtà”. Quand’ecco avanzare, dalla platea, un gruppo di sei personaggi in vesti di lutto. Essi si qualificano allo sbigottito capocomico come personaggi pensati dall’autore, creati dalla sua fantasia, ma non realizzati da lui in dramma scritto, in opera d’arte; creati tuttavia così vivi e palpitanti, che per quanto l’autore abbia fatto, non è più riuscito a liberarsene né a cancellarli dalla sua mente, sicché, ormai vivi di vita propria, vanno in cerca di un altro autore che si decida a realizzarli. Alle obiezioni del capocomico, essi rispondono che un personaggio, anche se soltanto pensato, può essere assai più vivo di una persona viva: don Abbondio, per esempio, che non è mai esistito, per il solo fatto di essere stato dal Manzoni pensato e realizzato nei Promessi sposi, e più vivo di tanti realmente vissuti e poi morti e dimenticati, mentre lui, vive immortale nel romanzo. Ora anch’essi, i sei personaggi, vogliono essere realizzati; il loro autore non se l’è sentita per la crudezza della vicenda nella quale li ha immaginati e fatti vivere, e quindi cercano un altro autore che dia loro la vita immortale della poesia.

L’intenzione del Pirandello (e non soltanto in questo dramma) era di porre in luce il problema dei rapporti del poeta di teatro con la realtà che è oggetto della sua poesia: in sostanza, il problema stesso dell’arte, che è di fissare in forme stabili ed eterne quanto è di labile nelle nostre passioni, ambizioni, credenze, nel nostro stesso io, che ci sembra sempre il medesimo ed è invece continuamente cangiante e dalle molte facce. Ne derivava una critica paradossale, ma acuta, a ciò che noi riteniamo comunemente come “reale”, uno smascheramento di ciò che noi reputiamo stabile ed è invece effimero; quindi non soltanto dei nostri pregiudizi (sociali, morali, ecc. ), ma addirittura delle nostre più radicate convinzioni, del nostro stesso esistere come unità individuali in un preciso contesto di rapporti con gli altri.

Nei Sei personaggi, questa critica – che nelle altre opere pirandelliane può apparire talvolta troppo cerebrale e capziosa – è particolarmente esaltata dalla continua confusione tra i due piani del reale e della finzione: quello degli attori che stanno esercitando il loro mestiere (il piano del reale, ma che in effetti è anch’esso finzione, perché siamo pur sempre in teatro), e quello dei sei personaggi che presentandosi come pure creazioni della fantasia, fisse e immutabili, pretendono di appartenere ad una sfera superiore, ma sono anch’essi, ovviamente, finzione; quindi, finzione nella finzione, quello in sostanza che fu detto “teatro nel teatro”, che non era una novità (anche in Shakespeare, nell’Amleto, nel Sogno di una notte di mezza estate, sono inserite, nel contesto dell’opera, intere scene di altre opere teatrali), ma che nei Sei personaggi ha un sapore nuovo e non è più gioco scenico, ma voluta sovrapposizione di piani diversi, allo scopo di esprimere intera e traumatizzante, fino allo scandalo e alla confusione, l’inquietudine dell’uomo moderno di fronte alla realtà.

Il dramma dei sei personaggi, ciò che essi chiedono al capocomico che venga realizzato in opera d’arte poiché, per la sua crudezza l’autore vero s’è rifiutato di farlo, è quello che si dice un “caso penoso”, tolto di peso dalla vita grigia di una famiglia medio-borghese. Ha un antefatto di molti anni prima, un momento centrale e una soluzione drammatica. Ciò che distingue il “caso” dagli altri mille analoghi di ogni giorno, è che questo è stato soltanto pensato e vive coi suoi personaggi in quanto viene realizzandosi sulla scena; ha quindi una sua forza inimitabile, poiché destinato a non placarsi col tempo come tutte le tragedie umane, ma ad essere rivissuto ogni volta che se ne tenti la realizzazione.

I personaggi, come s’è detto, sono componenti di una famiglia della media borghesia: il Padre, la Madre e quattro figli. Presentandosi al capocomico, il Padre racconta a modo suo l’antefatto, interrotto spesso dagli altri, perché la realtà ciascuno la vede naturalmente a suo modo. Oltre vent’anni prima, egli ha sposato la donna (la Madre), che gli sta accanto in gramaglie. Hanno avuto un figlio, quello che ora sta in disparte, sdegnoso. Poi la donna si è innamorata di un dipendente del marito, che stanco di lei l’ha spinta nelle braccia dell’altro. Cosi la Madre ha formato una sua nuova famiglia e ha avuto altri tre figli: la Figliastra che ora ha diciotto anni, un maschio, che ora è appena adolescente (il Giovinetto che non parla), e una Bambina, muta anch’essa e spaurita in mezzo a loro. Per qualche tempo il Padre ha seguito le loro vicende e ha cercato anche di aiutarli; poi la famigliola si è trasferita altrove e per parecchio tempo di loro non ha saputo più nulla. Due mesi prima, rimasta senza mezzi per la morte del suo compagno, la Madre è ritornata in città dove stenta la vita lavorando per un negozio di mode, tenuto da una Madama Pace. Ma il denaro è poco e Madama Pace convince la Figliastra a prostituirsi. Questo è l’antefatto.

Il dramma scoppia il giorno in cui la Figliastra è offerta da Madama Pace a un nuovo cliente anziano, il Padre. Essi non si conoscono, ma la Madre li sorprende insieme nel retrobottega della modista e con orrore riconosce nell’uomo l’antico marito. Il Padre, distrutto dalla propria vergogna, accoglie in casa sua la famiglia della moglie, generando una situazione insostenibile perchè il Figlio (il solo legittimo) non tollera la presenza dei tre bastardi. Si giunge così alla “catastrofe”: la Bambina, lasciata a sé, annega nella vasca del giardino; il fratellino, il Giovinetto, sconvolto da quanto ha intuito, non solo non fa nulla per salvare la sorellina, ma rinvenuta nella casa del padrigno una rivoltella, si uccide.

COMMENTO FINALE – Il dramma dei sei personaggi, nel suo tragico grigiore, potrebbe appartenere al teatro naturalista dei primi decenni del secolo; vicende del genere erano rappresentate allora in tutti i teatri. Ma qui non è tanto il “caso penoso” che conta, quanto il modo insolito con cui viene sviluppandosi a poco a poco sulla scena, vissuto dai sei personaggi come il loro modo d’essere, fuori del quale essi non hanno più senso. È la confusione dei diversi piani, di cui s’è detto, della realtà e della finzione, che dà all’opera un fascino profondo.

Si veda, per tutte, la scena dove il teatro pirandelliano dà intera la misura della sua magia, della sua forza creativa,. È la scena dell’apparizione di Madama Pace. I sei personaggi si sono presentati da poco al capocomico, hanno ottenuto di raccontare e rivivere la loro vicenda, perchè il capocomico possa trascriverla e ricavarne un dramma compiuto per la rappresentazione. Ed ecco che all’improvviso s’accorgono che per rivivere la scena fino in fondo, occorre non soltanto ricostruire il retrobottega di Madama Pace, ma far apparire in mezzo a loro anche la donna. E richiamata dal Padre, Madama Pace appare all’improviso, come per magia, con un effetto sconvolgente.

ALCUNE NOTE SU PIANDELLO

Di Luigi Pirandello (1867-1936) ho già detto tanto. La sua fama mondiale è tuttavia legata maggiormente al teatro, cui lo scrittore cominciò a dedicarsi piuttosto tardi, dal 1910 fino alla morte, con una serie di opere che ancor oggi sono tra le più rappresentate nei teatri europei e americani. Tra le più note citiamo Liolà, Pensaci Giacomino, Il piacere dell’onestà, Cosi è (se vi pare), Il gioco delle parti, scritte durante gli anni della prima guerra mondiale; quindi la trilogia cosiddetta del “teatro nel teatro”: Sei personaggi in cerca d’autore; Ciascuno a suo modo, Questa sera si recita a soggetto, rappresentate tra il 1921 e il 1929; infine Vestire gli ignudi, La vita che ti diedi, e l’ultima, incompiuta, I giganti della montagna; nonché una serie di atti unici, trai quali notissimo L’uomo dal fiore in bocca.

Tema centrale del teatro pirandelliano, che si muove sullo sfondo della società borghese del tempo, spesso della media e piccola borghesia, è una critica (il “teatro di pensiero”) non solo delle convenzioni, dei pregiudizi, dei fondamenti sui quali si reggono i rapporti familiari e sociali, ma addirittura della stessa realtà, sentita come apparenza e mistificazione: la maschera dietro la quale ciascuno nasconde le proprie miserie e inquietudini. Un teatro “difficile”, nel senso che ogni volta impone un esame di coscienza, una revisione radicale delle nostre certezze. Se è spesso provocatorio, è tuttavia sempre intriso di immensa pietà per la debolezza della natura umana.

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