LA GIARA
La comicità di questo racconto, il cui motivo fu ripreso da Pirandello in una commedia in un atto, dallo stesso titolo, è inesauribile. Siamo in Sicilia: la raccolta delle olive quell’anno era abbondantissima e don Lollò Zirafa aveva comprato una giara nuova, perché le cinque vecchie che aveva in cantina non sarebbero bastate.
Ma alla fine della terza giornata la bella giara nuova fu trovata spaccata in due. La disperazione di don Lollò è senza conforto. Viene alla fine deciso di chiamare il conciabrocche Zi’ Dima Licasi che ha inventato un mastice nuovo, veramente miracoloso, e avrebbe, perciò, potuto aggiustarla senza ricorrere ai punti di fil di ferro. Va bene, ma don Lollò vuole che si diano anche i punti, mastice e punti.
E proprio sfortunato Zi’ Dima, e incompreso: nessuno ha fiducia nel mastice che egli ha scoperto. Maledicendo la sua mala sorte, egli esegue il suo lavoro alla perfezione, ma cuce la giara standovi dentro. Poiché questa era larga di pancia, ma stretta di collo, alla fine il disgraziato non può più uscirne. Ora la giara deve essere rotta, inesorabilmente; ma don Lollò non vuole rimetterci tutto il denaro che vi ha speso. E, lasciando il conciabrocche in quell’infelice situazione, corre, secondo il suo solito, a chiedere consiglio all’avvocato. La posizione dei due protagonisti è questa: se don Lollò non fa uscire Zi’ Dima dalla giara cade nel sequestro di persona; ma per farlo uscire deve romperla; perciò la vuole pagata da Zi’ Dima; questi però non vuol saperne di pagare: vi sarebbe piuttosto rimasto dentro fine a farvi i vermi; ma in questo caso don Lollò lo avrebbe denunciato per alloggio abusive.
È uno dei tanti casi presentati dal Pirandello, dove all’elemento grottesco e comico, che nel racconto è predominante, si accompagna un sorriso amaro, appena accennato, di fronte alla squallida infelicità fisica e morale di Zi’ Dima, il quale si dibatte, anche lui, tra la realtà dura della vita e l’illusione: il suo mastice nuovo, miracoloso, non gli darà il benessere e la gloria sperata; ma finisce col premiere gusto anche lui alla sua bizzarra avventura, ridendone “con la gaiezza mala dei tristi”.
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