IL CORVO DI MIZZARO
Un corvo dispettoso, che volteggia nell’aria con una campanellina, di bronzo legata al collo, porta via, per tre giorni di seguito, la mezza pagnotta dal tascapane di Cichè, lasciandovi solo la cipolla. Cichè non sa spiegarsi l’origine della sparizione, ma, poiché crede agli spiriti, rimane zitto, chiuso nel suo terrore, e soffre la fame. Quando finalmente scopre che il ladro è quel corvo beffardo, che continuava a volare nel cielo col suo allegro dindin, vuole proprio vendicarsi. Questo suo proposito, però, porta l’infelice a finire sfracellato in fondo ad un burrone mentre il corvo di Mizzaro, nero nell’azzurro della bella mattinata, continuerà ancora a suonare per i cieli la sua campanella “libero e beato”.
Nel racconto, che procede rapido e secondo il canone verista della descrizione oggettiva, il motivo grottesco si risolve nel tragico: il corvo trionfa sull’uomo; ma è proprio il corvo che trionfa o non é piuttosto il beffardo destino che si serve dell’animale per ridurre Cichè e il suo asino ad “un carnaio che fuma sotto il sole tra un nugolo di mosche?”. Pirandello osserva sempre con un sorriso amaro i casi della vita, cosi grotteschi e insieme cosi tragici.
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