1 – LUIGI PIRANDELLO – La vita

Busto di Pirandello in un parco di Palermo, il “Giardino Inglese”.
Il busto si trova vicino all’ingresso di via Libertà.
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LUIGI PIRANDELLO

Nato a Girgenti il 26 giugno 1867

Morto a Roma il 10 dicembre 1936
Premio Nobel per la letterata nel 1934
Fu un drammaturgo, scrittore e poeta italiano

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Giunto al successo tardi lo scrittore seppe meritare il riconoscimento del Nobel. Autore tra i più moderni del secolo egli riesce a darci sempre una rappresentazione grandiosa e cosciente dell’alienazione umana.
La vicenda di Pirandello è certamente fra le più singolari della nostra letteratura. Egli, che era nato il 28 giugno del 1867, dovette aspettare il periodo successivo alla prima guerra mondiale per raggiungere quel successo che aveva inseguito per oltre cinquant’anni. Ma c’è di più. Egli che doveva essere considerato uno degli scrittori più moderni del nostro secolo, fu, per tutta la vita, sostanzialmente un isolato. È facile nelle scarse recensioni dedicategli nel periodo che precedette l’esplosione del suo successo teatrale trovare il nome del futuro premio Nobel accanto a quello di Luciano Zuccoli, di Nino Martoglio e di qualche naturalista minore. Benedetto Croce poteva scrivere che a lui mancava “originalità di sentimento e di stile” e che le sue opere potevano considerarsi “una prosecuzione alquanto in ritardo della scuola veristica italiana”.
I suoi amici si trovavano più nel raggio dei letterati tradizionali, che in quello dei nuovi gruppi di intellettuali che allora si venivano formando (e che obiettivamente avrebbero dovuto essergli più vicini): erano i Fleres, gli Ojetti, i Mantica, i Cesareo, i Romagnoli, i Martoglio. E prima Capuana e solo più tardi Bontempelli.
La sua carriera letteraria lo aveva visto passare dalla poesia e dalla filologia della prima giovinezza, cioè da interessi culturali tipicamente carducciani, alla novella e al romanzo: e solo intorno ai cinquant’anni si era accostato al teatro, alla sua vera vocazione. Ma aveva dovuto per anni tenere le sue opere nei cassetti e poi gli si erano aperte le porte delle riviste meno d’avanguardia, o esclusivamente letterarie o eccessivamente conservatrici: alludo alla “Vita Nuova” o al “Marzocco”, alla “Nuova Antologia” e al “Corriere della Sera”. Pirandello, insomma, era uno sconosciuto o quasi, estraneo a quel fermento d’idee, a quel moto di rinnovamento, a quel raggrupparsi di intellettuali intorno a tendenze e a giornali che caratterizza il primo decennio del secolo.

L’arco del suo sviluppo – come narratore prima, come drammaturgo poi – non dà luogo ad equivoci: è lo sviluppo dal verismo al decadentismo, dal regionalismo al cosmopolitismo che caratterizza in quel periodo tutta la nostra letteratura, tutta la nostra cultura. Ma egli non può essere assimilato a nessuna delle correnti ideali che allora si manifestavano. Passa silenziosamente e quasi ignoto, per un trentennio, in mezzo a quel fermento: finché, già alle soglie della vecchiaia e sull’onda del successo conseguito anche all’estero, il suo teatro non lo rende famoso.

L’ISOLAMENTO DI PIRANDELLO 

Le ragioni di tale isolamento sono molteplici. Una delle principali va cercata nel fatto che, durante gli stessi trent’anni – dall’ultimo decennio dell’Ottocento sino alla conclusione della prima guerra mondiale – l’Italia era stata dominata dalla prestigiosa avventura letteraria di Gabriele D’Annunzio, del tutto repugnante dagli orientamenti ideali e di gusto di Pirandello… “Là uno stile di parole” – si potrebbe dire con le stesse espressioni che il nostro scrittore usava per indicare la differenza fra D’Annunzio e Verga – …”qua uno stile di cose. Li abbiamo fin dagli inizi della nostra letteratura questi due stili opposti: Dante e Petrarca, e possiamo seguirli a mano a mano fino a noi, Machiavelli e Guicciardini, l’Ariosto e il Tasso, il Manzoni e il Monti, il Verga e il d’Annunzio. Negli uni la parola che pone la cosa e per parola non può valere se non in quanto esprime la cosa… Negli altri, la cosa che non vale tanto per sé, quanto per com’è detta”.
Tuttavia l’isolamento di Pirandello non può essere spiegato soltanto con la sua opposizione netta e senza compromessi all’arte dannunziana; egli non era il solo, anche in quegli anni, a rifiutarla almeno nei suoi aspetti più pacchiani e provinciali, chiassosi e nazionalistici. Il fatto è che egli si trova all’opposizione dello stesso movimento intellettuale che costituisce l’episodio culturale più cospicuo di quegli anni e che attraverso la liquidazione del positivismo approdava a un idealismo ottimistico, a uno spiritualismo sospiroso e dolciastro, o a uno scetticismo e pessimismo di maniera, ovattato e crepuscolare. Egli partecipa certamente alla dissoluzione del positivismo e all’affermarsi di esigenze spiritualistiche ed idealistiche. Ma ripugna profondamente dal modo come l’idealismo e lo spiritualismo venivano affermandosi in Italia, persino nella forma che apparve più valida e suggestiva: quella dello storicismo crociano. Non solo, evidentemente, per ragioni di polemica sulla propria arte (egli in un’intervista, definì il Croce il più imbecille dei suoi critici), e nemmeno per il modo diverso di concepire l’arte. Ma io credo che in Croce era un gusto classico, di composizione esteriore e interiore, di accordo logicamente ordinato e in Pirandello è un gusto umoristico e quindi un gusto che “per lo specialissimo contrasto essenziale in esso, inevitabilmente scompone, disordina, discorda”. E per la concezione generale del mondo, ottimistica nel Croce, fondata sulla fiducia nel pensiero, sulla creatività dello spirito, e su una considerazione positiva e soddisfatta della società liberale e borghese, pessimistica in Pirandello, priva di ogni fiducia, sostanzialmente irrazionalistica nella sua apparente razionalità.

Irrazionalistica, ho detto: e forse conviene indirizzare la ricerca verso quelle correnti di pensiero che, in nome anch’esse di una rivolta idealistica contro il positivismo, aprivano le porte del nostro Paese alle esperienze europee più vivaci e moderne. Con cautela però. Perché come è troppo semplice far risalire la problematica intellettuale di Pirandello alla sua giovanile residenza in Germania e quindi al suo incontro con la filosofia tedesca (quella residenza durò solo due anni e fu dedicata essenzialmente agli studi di filologia e alla poesia), così può essere avventato l’accostamento ai futuristi o all’attività culturale del gruppo fiorentino di Papini e di Prezzolini e del Leonardo e della Voce. Può darsi che la loro problematica e soprattutto gli autori da essi introdotti in Italia abbiano avuto una qualche influenza su Pirandello: anche se non ne abbiamo una documentazione diretta. Ma è certo che Pirandello non ebbe nessun collegamento con il gruppo fiorentino ed è certo che i nomi di James, Bergson, Blondel, Sorel sono stati fatti dai critici in mode del tutto superficiale.

    
    
L’ESPERIENZA RELIGIOSA 

Non è dunque nell’ambiente culturale che dobbiamo ricercare le ragioni della modernità di Pirandello (abbiamo visto, infatti, che è un isolato), ma in una concordanza di esperienze personali, storiche e poetiche che gli permettono di raggiungere con le sue sole forze le posizioni più avanzate della cultura europea: e in questo consiste la singolarità della sua vicenda cui facevamo cenno all’inizio. Vi sono alcuni episodi della sua biografia che certamente rivelano un tratto fondamentale della sua personalità. Alludo, innanzi tutto, al distacco giovanile dalla religione e al modo di quel distacco. La famiglia di Luigi non frequentava la Chiesa (come ogni buona famiglia liberale dell’epoca) ma la cameriera Maria Stella riuscì a persuadere il ragazzo ad assistere a una funzione. Luigi ne provò una grande impressione e fu preso da una sorta d’infatuazione, per cui, di nascosto del padre, ogni mattina prestissimo si recava in chiesa. Questo fervore mistico fu stroncato per sempre dal parroco, per eccesso di zelo. Lo stesso Pirandello ci racconta l’episodio in una novella “La Madonnina” (cambiando naturalmente i nomi)…
“Guiduccio andò ogni giorno alla canonica, avido dei racconti della storia sacra. E il padre beneficiale Fiorica, vedendosi davanti spalancati e intenti quegli occhioni fervidi nel visetto pallido e ardito, tremava di commozione per la grazia che Dio gli concedeva di bearsi di quel meraviglioso fiorire della fede in quella candida anima infantile…
Nel mese di maggio, dedicate alla Vergine, si faceva il sorteggio fra i divoti d’una Madonnina di cera custodita in una campana di cristallo… Le polizzine della riffa costavano un soldo l’una… [Il padre beneficiale] avrebbe voluto che per un miracolo le sue dita indovinassero la polizzina che conteneva il nome [del fanciullo]. E quasi quasi era scontento della generosità del fanciullo, il quale potendo prendere dieci polizze con la mezza lira che ogni domenica gli dava la mamma, si contentava d’una sola per non avere alcun vantaggio sugli altri ragazzi, a cui anzi lui stesso con gli altri nove soldi comperava le polizzine… Così il diavolo tentava il padre beneficiale… e gli suggerì di leggere nella polizzina estratta il nome di Guiduccio Greli. Allo scoppio d’esultanza di tutti i divoti Guiduccio però, diventato in prima di bragia, si fece subito pallido pallido, aggrottò le ciglia sugli occhioni intorbidati, cominciò a tremar tutto convulso, nascose il volto tra le braccia e, guizzando per divincolarsi dalla ressa delle donne che volevano baciarlo per congratularsi, scappò via dalla chiesa, via, via, a rifugiarsi in casa, si buttò nelle braccia della madre e proruppe in un pianto frenetico.
… E difatti, perché a lui quella Madonnina, se nessuna polizza recava il suo nome, quell’ultima domenica?”
Il secondo episodio riguarda, invece, la scoperta dell’amore e il modo di quella scoperta.
L’episodio è raccontato da un biografo, sulla scorta di una conversazione avuta con Pirandello….
“Luigi a quel tempo non aveva ancora mai veduto un morto. Un giorno udì dalle chiacchere altrui che nella torre adibita a morgue c’era un tale… Un irragionevole desiderio d’entrar nel mistero colse il Nostro ch’era sulla via delle Falde, tutto solo. E benché quasi bambino, ardì saltar giù dal ciglio e premere colle sue piccole braccia la gran porta grigia. Passato nell’interno e guidandosi sopra la lista azzurra della feritoia venne avanti fino a inciampare nella panca funebre. E vide all’improvviso il corpo giacente. Portava due grosse scarpacce. Dimostrava, all’aspetto, forse quarant’anni… Nel tacito della chiusa atmosfera tuttavia Luigi percepì un piccolo rumore, quasi un frullo… Trattenne il respiro. Quel frullo tornò a farsi udire, non d’ali, non d’aria. Un frullo strambo, continuo e vivo… In quei tempi e in quelle regioni le donne portavano sotto la gonna una sottoveste abbondante, terminata da un ricciolo insaldato coll’amido… Infatti, una donna. Gli occhi del piccolo abituati a1 buio distinguevano i corpi a poco a paco. Una donna. E un altro. Erano allacciati insieme “.
Il terzo episodio riguarda i rapporti con il padre, sempre difficili, fin dalla più tenera infanzia, per la completa diversità di carattere esistente fra questi e il figlio, ma che cessarono del tutto dopo che Luigi, nel cavalleresco intento di difendere la madre, lo sorprese con la sua amante…
“Era andato a sorprenderli – è sempre Pirandello che racconta nella novella “Ritorno” – una di quelle domeniche.
Il padre aveva fatto a tempo a nascondersi dietro una tenda verde che riparava a destra un usciolo; ma la tenda era corta, e sotto i péneri ancora mossi si vedevano bene le due grosse scarpe di coppale lisce e lustre; ella era rimasta a sedere davanti ai tavolino, col bicchierino ancora tra le dita, in atto di bere.
Le era andato di fronte e s’era tirato un po’ indietro col busto per scagliarle con più forza in faccia lo sputo. Il padre non s’era mosso dalla tenda. E a lui, poi, a casa, non aveva torto un capello né detto nulla”.

Se si guarda bene, al fondo di questi tre episodi vi è una caratteristica comune, una costante si potrebbe dire. E cioè il contrasto fra un modello ideale costruito dentro di sé da Pirandello e una realtà brutale che lo smentisce e lo manda in frantumi, fra una tendenza alla perfezione nutrita dal nostro scrittore e i mille compromessi della vita quotidiana che la avviliscono e la deturpano. Ideale e perfetto è il suo modello di religione, ideale e perfetto il suo concetto dell’amore, ideale e perfetta la sua immagine del padre: e brusco e doloroso il risveglio alla realtà con i1 piccolo imbroglio del parroco, l’accoppiamento sessuale realizzato in un luogo così sinistro dalla coppia clandestina, il tradimento paterno.

IL CONTRASTO CON LA REALTÀ

Del resto tale contrasto fra ideale e reale non veniva sperimentato da Pirandello soltanto nella sua vita privata, ma era una caratteristica anche dell’orientamento degli intellettuali nel periodo della sua formazione. Nel quale orientamento predominava la consapevolezza di tre fallimenti collettivi: quello del Risorgimento come mota generale di rinnovamento del nostro Paese, quello dell’unità come strumento di liberazione e di sviluppo delle zone più arretrate e in particolare della Sicilia e dell’Italia meridionale, quello del socialismo che avrebbe potuto essere la ripresa del movimento risorgimentale, e invece si era perduto nelle secche della irresponsabile leggerezza dei dirigenti e della ignoranza e arretratezza delle masse.
Certo nel decennio fra il 1900 e la guerra di Libia poté sorgere la superficiale soddisfazione e l’ottimismo dell’Italia ufficiale giolittiana che offriva all’opinione pubblica un quadro idillico dell’epoca. Ma a contrasto sorgeva anche grandezza, per la sensazione d’impotenza, per i problemi gravissimi irrisolti. Di qui l’opposizione nazionalistica. nelle sue varie forme, l’opposizione cattolica, l’opposizione radicale. Di qui anche la polemica meridionalistica, il motivo del Mezzogiorno tradito, che rappresenta certamente uno degli elementi caratteristici della battaglia de]le idee e degli orientamenti delle coscienze in quel periodo.
In realtà all’idea che il Mezzogiorno fosse una terra barbara da civilizzare, con i mezzi tipici delle potenze coloniali in quegli anni si contrapponeva sempre di più la consapevolezza dei torti subiti dal Mezzogiorno dopo l’unità e della vera e propria spogliazione a cui era stato sottoposto. La formula di Giustino Fortunato che qualunque sacrificio, da parte del Mezzogiorno, “valeva bene il prezzo d’entrata nel mondo della civiltà” veniva respinta e si cercava di calcolare, invece, la reale entità di quel sacrificio e di quel prezzo. Per questo nel Mezzogiorno assumeva un carattere particolarmente netto e polemico il contrasto fra la generazione risorgimentale, cioè “una classe politica ideologicamente democratica e fanaticamente unitaria che si era mostrata generalmente estranea alle concrete questioni economiche”, e la generazione successiva, “che nutriva la propria mente di studi economici e finanziari e l’anima di aspirazioni di. progresso materiale, attraverso una azione atta a scavalcare le distanze che si frapponevano fra le reali condizioni del Mezzogiorno e le loro aspirazioni”.
Ugualmente caratteristico in quel periodo è il passaggio dell’opinione pubblica da una simpatia abbastanza spiccata verso il movimento socialista ad atteggiamenti del tutto diversi. Anche il motivo del fallimento del socialismo faceva parte del patrimonio comune almeno dei ceti intellettuali italiani, dopo i primi anni dell’esperienza giolittiana, sì che essi passarono dagli ideali di umanità, di giustizia e di libertà, dallo slancio verso le riforme più audaci, dalla comprensione per i bisogni e la miseria delle classi più umili, alla polemica antioperaia, all’esaltazione della rivincita borghese, all’ideale della forza e del prestigio della nazione, allo spirito di espansione, alla difesa dell’ordine costituito e ai sogni di grandi avventure guerresche.

Che Pirandello partecipi di tale orientamento degli intellettuali non può esservi dubbio perché nel romanzo “I vecchi e i giovani” egli rappresenta proprio quei tre fallimenti collettivi. Solo che Pirandello si differenzia sia dall’ottimismo ufficiale, sia dall’inquietudine e dall’insoddisfazione delle nuove generazioni. Con queste egli ha in comune i motivi del Risorgimento e della unità traditi e la delusione per il socialismo, ma di esse non condivide il tono fervido, l’attivismo frenetico e, nei migliori, la tensione intellettuale e lo slancio ideale. Il fallimento di quei tre miti in lui lascia un vuoto senza speranza: la rappresentazione del presente è cupa ed amara, senza luce ideale, senza possibilità di riscossa. Non a caso lo scrittore che Pirandello mostra di sentire particolarmente congeniale, tanto da porlo al di sopra degli altri, uguagliato soltanto da Machiavelli, è l’autore del Don Chisciotte. E Don Chisciotte, per lui, è lo stesso Miguel Cervantes de Saavedra il quale aveva imparato a sue spese l’inanità del segno di gloria, la vanità dei nobili ideali.

Descrizione di questa immagine, commentata anche di seguito
Luigi Pirandello (1932) Vedi qui file originale

IL SENTIMENTO DELLA TRAGEDIA UMANA 

E riso amaro del Don Chisciotte è quello che egli teorizza nel trattato “Sull’Umorismo” e che realizza poeticamente nelle sue opere. L’umorismo, infatti, scompone le illusioni di cui si nutrono gli uomini e scopre il gioco reale. Così ci fa constare che noi ci vediamo non quali siamo, ma quali vorremmo essere; che le convenzioni sociali non sono ispirate da sentimenti autentici ma sono invece “considerazioni di calcolo”; che al1a base della convivenza sociale c’è l’ipocrisia perché è più facile attraverso una comune menzogna conciliare tendenze contrastanti; che chi è debole cerca di simulare la forza; che la nostra stessa personalità è molteplice e sfuggente; che la logica apparentemente più rigorosa serve spesso a mascherare un impulso affettivo o un sentimento interessato; che la vita è un flusso continuo e noi ci fissiamo sempre in una forma che contraddice quel flusso; che gli avvenimenti della vita non hanno cause logiche, ma “la vita nuda, la materia senza ordine apparente, irta di contraddizioni, pare all’umorista lontanissima dal congegno ideale delle comuni concezioni artistiche, in cui tutti gli elementi, visibilmente, si tengono a vicenda e a vicenda cooperano”. Di qui l’amara consapevolezza della contraddittorietà del mondo che lo circonda e della stessa persona umana, del caotico intrecciarsi di forze e volontà individuali che finiscono per determinarsi fra loro in modo del tutto casuale. Vana è la veste organica e apparentemente logica di cui si copre la società, nella quale si celano le stesse singole individualità quando vengono in contatto con altre.
Il ritmo stesso della vita apre mille strappi in quella veste e ne mostra il contenuto caotico e irrazionale. Di qui, anche, l’elemento più importante del processo di creazione artistica del Pirandello: la scelta della vicenda, della situazione delle novelle o del dramma. Perché un sentimento del mondo così disgregato e contradditorio, una visione della vita in cui domina il caotico, il casuale e l’irrazionale, non può che cogliere nella realtà che lo circonda tutti gli aspetti più assurdi e contradditori e metterli a confronto con i dati del senso comune, della società costituita.
La vicenda narrativa o drammatica è, dunque, la caratteristica essenziale del suo stile: la vicenda che è poi uno dei mille casi che avvengono nella vita di ogni giorno e che non si presenta più come straordinario, eccezionale o inverosimile, ma come assolutamente normale in un mondo senza leggi né razionalità. Insomma al fondo delle esperienze pirandelliane (biografiche, storiche e stilistiche) c’è il sentimento della condizione anarchica in cui viene a vivere l’uomo moderno, della mancanza di un tessuto sociale organico che lo sostenga e lo colleghi agli altri uomini, del dominio sull’uomo delle cose che sono estranee alla sua volontà, della inevitabile sconfitta a cui è condannato l’uomo nella società in cui si trova a vivere. E, di riflesso, compare l’altro motivo, quello della natura, come luogo e condizione di vita che si contrappone alla società: quanto questa è caotica tanto quella è organica, quanto l’una è angosciata dalla propria consapevolezza, tanto l’altra è semplice ignara e felice. Vale a dire che si trovano in lui i due termini tra i quali si dibatte la crisi della coscienza contemporanea.
Da questo punto di vista bisogna guardare il complesso imponente della sua opera.
E verrà alla luce, certo, tutta la melma che un fiume così copioso di acqua si porta dietro: verrà alla luce il meccanismo di certe situazioni, la fretta con cui altre sono sviluppate, il mestiere di cui Pirandello spesso troppo si fida.
Ma verrà alla luce anche una umanità dolente, una pena sincera, una visione lucidamente disperata degli uomini delle cose.
Verranno alla luce le figure e le situazioni tragiche che animano le pagine dei romanzi e delle novelle e che s’incarnano nei grandi temi del suo teatro. Figure e situazioni che ritornano tenacemente, con mutate sembianze, nel complesso della sua opera come motivi di una sinfonia e che ci danno una rappresentazione grandiosa e cosciente (forse la più cosciente della nostra letteratura del Novecento) della alienazione umana nella società a noi contemporanea.

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