I VITELLONI – Federico Fellini

I VITELLONI 

PREMESSA

“I vitelloni è un viaggio nel tempo amaro e assurdo della giovinezza – ha detto Ennio Flaiano, co-sceneggiatore del film con Federico Fellini -. Mi sembra che il colpo sia riuscito, se non altro per me e riuscito l’incontro con un regista che io considero tra i più forniti di idee e di coscienza artistica, e il più sfornito di retorica e di presunzione”. Il film è stato scritto, anche con la collaborazione di Tullio Pinelli, con intimo divertimento. “Il fatto che ci siamo divertiti scrivendolo non deve essere giudicato un affronto alla serietà del cinema, ma un segno che le cose vere nascono anche felicemente e una amabile collaborazione le rafforza”. E questa maniera del “fare” di Fellini, quanto più possibile con intimo divertimento, si rivela subito come una delle caratteristiche permanenti del suo lavoro.
“Vitellone” è una parola inventata, o accettata, dal regista per designate il giovane perdigiorno, già abbastanza stagionato, che ha qualcuno che bene o male lo mantiene. Chi? “Un padre, una madre – spiega Federico -, una sorella, una zia; una famiglia insomma, e in famiglia si mangia, si dorme, si e vestiti e si riesce anche a scroccare un po’ di soldi per le sigarette e il cinematografo. Nessuno di loro sa bene che cosa vorrebbe fare. I piccoli lavori, le piccole occupazioni che la cittadina di provincia potrebbe offrire alla loro scarsa preparazione, li disdegnano. Hanno fatto qualche studio ma non sono andati fino in fondo. Non hanno attitudini per nessuna cosa in modo speciale; aspettano sempre una lettera, un’offerta, una combinazione che li porti a Roma o a Milano per qualche incarico generico onorifico e redditizio; e aspettando sono giunti, chi più chi meno, verso i trent’anni, passano la giornata a fare discorsi e scherzetti da ragazzini del ginnasio; e brillano nei tre mesi della stagione balneare la cui attesa e i cui ricordi occupano tutto il resto dell’anno. Sono i disoccupati della borghesia, i figli di mamma, i vitelloni”.

TRAMA

Chi sono i “vitelloni” di Fellini? Moraldo (Franco Interlenghi) è il più inquieto e sensibile del gruppo, Riccardo (Riccardo Fellini) un fanciullone con una bella voce da cantante, Leopoldo (Leopoldo Trieste) è un sognatore che insegue una irraggiungibile gloria letteraria, Alberto (Alberto Sordi) ama la burla, non manca di piccole vigliaccherie ed è attaccato alla mamma, Fausto (Franco Fabrizi) si considera il più affascinante del gruppo, e un latin lover, non privo di infantilismi. I cinque passano gran parte della giornata al caffè, giuocano al biliardo, non sanno che organizzare scherzi e beffe, parlare di donne, sognare viaggi e avventure. Poi, a notte avanzata, dopo aver fatto a spinte e aver saltato i colonnini della piazzetta, non riescono a fare altro che tornare a casa, un po’ divertiti, un po’ immalinconiti, come tutte le sere. Dice Leopoldo: “Io di temperamento non sono portato ad un legame preciso come il matrimonio… Ma se dovessi unirmi in una donna farei un viaggio… non so, in Africa… come Hemingway… con una jeep… libero… a contatto con la natura…”. Riccardo, invece: “Ma tu, se adesso venisse Jean Russell e ti dicesse: Dai pianta tutto e vieni con me, ci andresti?”. E tutto questo “niente” li fa sentire a modo loro felici, appagati. Un giorno, la brigata dei cinque vitelloni minaccia di disintegrarsi perché è accaduto un fatto del tutto imprevisto. Fausto deve sposarsi. Sandra, la sorella di Moraldo, attende un figlio e il seduttore, benché riluttante, deve assumere le proprie responsabilità: si trova in tal modo, improvvisamente, ad avere suo malgrado una moglie, una famiglia, un lavoro. Ma i nuovi impegni non impediscono che rimanga un vitellone incallito. Niente in lui é cambiato: in segreto continua come prima a sognare l’avventura misteriosa, la trasgressione amorosa. Al cinema, una sera, abbandona Sandra, seduta accanto a lui, per seguire una affascinante e ambigua signora. Sandra, in lacrime, constata l’inaflidabilità di Fausto, che però presto riesce a rassicurarla, perché a modo suo le vuol bene: e la sposina perdona.

Fausto lavora presso un commerciante di arredi sacri. Non passa molto tempo che si mette a corteggiare la moglie del suo principale, dopo averla conosciuta al veglione di carnevale. Ma la nuova avventura non si conclude felicemente e Fausto viene scoperto e licenziato. Dopo una nuova crisi matrimoniale Sandra perdona ancora una volta Fausto, che promette di cambiar vita. Ma il ritorno con gli amici è anche ritorno alle serate passate al caffè, al biliardo, alle lunghe estenuanti passeggiate per le vie deserte di Rimini. Tutto è come prima, come se nulla fosse accaduto: i spettacoli di varietà, cene con ballerine stanche e affamate, avventurette notturne con qualche soubrette di modesto calibro, ingenua e sentimentale. Sandra non ne può più dei continui tradimenti e decide di scappare di casa con il bambino. Soltanto ora Fausto comprende, infine, il male che ha fatto.
Cerca disperatamente la moglie e recatosi dal proprio padre la trova con il bambino. Il padre, incollerito, prende a botte il figlio e Sandra spaventata interviene. Tra pianti e promesse i due si riconciliano. Sandra ha capito che a Fausto, più che una moglie, serve una donna materna che lo guidi.

Per gli altri vitelloni la vita continua: giocare, fare progetti di partenza. Leopoldo sogna ancora la letteratura, anche se un vecchio attore, fingendosi interessato ai suoi scritti, ha tentato un approccio di natura non strettamente artistica. Infine, l’unico che parte davvero è Moraldo. Se ne va una mattina alla stazione, senza dir niente a nessuno, col cuore pieno di speranze e di rimpianti.

COMMENTO

Tra le sequenze più ricordevoli spicca quella del veglione, con le mascherature, le ubriacature, i tentativi di approccio sentimentale, la conclusione squallida con un Alberto piagnucolante, che ha per un momento la lucidità dei suoi fallimenti. Le passeggiate sulla spiaggia, d’inverno, in un deserto che corrisponde anche alla loro realtà spirituale, i quadri insistiti di una provincia chiusa e immobile, da cui sentono il bisogno di fuggire, senza averne la forza. La noia, la futilità, lo spreco di tempo e della vita stessa, sono descritti con acume, e ironia, ma anche con malinconia e affetto.

Questo film, che sembra preannunciare tutti gli amarcord di Fellini, é dorato di freschi sapori giovanili, schiettamente esposti. Presentato alla Mostra di Venezia nel 1953 non si può dire che piacque a tutti, anche se il pubblico mostro di gradirlo (la giuria gli assegnò il Leone d’argento). “Con I vitelloni – dice Mario Gromo – il cinema italiano acquistava un regista in più. Può sembrare opera non compatta perchè, per scelta di Fellini, – e può essere anche una conseguenza della sua collaborazione con Rossellini, “episodico” per tendenza – procede per scene intrecciate e variamente articolate; e le molte notazioni psicologiche e di atmosfera finiscono per puntualizzare un clima e si compongono in unità. La personalità del regista, secondo i pareri di molti recensori, fa prevedere un sicuro avvenire”. E così sarà…………

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