LITTLE FEAT

I Little Feat sono un gruppo rock americano formato dal cantante e chitarrista Lowell George, dal tastierista Bill Payne, dal batterista Richie Hayward e dal bassista Roy Estrada nel 1969 a Los Angeles. La formazione classica della band, in vigore alla fine del 1972, comprendeva George, Payne, Hayward, il bassista Kenny Gradney, il chitarrista e cantante Paul Barrere e il percussionista Sam Clayton. George sciolse il gruppo a causa di divergenze creative poco prima della sua morte nel 1979. I membri sopravvissuti riformarono i Little Feat nel 1987 e la band è rimasta attiva fino ad oggi.

La gang di Burbank, California, è ben nota per i suoi teneri misfatti in materia di musica. Per gente come Bonnie Raitt, Ry Cooder, Van Dyke Parks, lo stesso Jackson Browne e Lowell George buon’anima, il mercantilismo discografico non è mai stato un fine: semmai un effetto secondario di certo “fun, fun, fun” e del gran piacere di far musica in combriccola. George, in particolare, ha modellato la sua “ carriera ” secondo gli umori del giorno e, proprio per questo, i suoi Little Feat non son mai finiti nei Top Ten delle classifiche di mezzo mondo. Negli anni ’70 diventarono loro la cult-band per eccellenza, lasciando che il leader “regalasse” ad un’intera schiera di colleghi una miniera di idee e di suggerimenti preziosi con cui afferrare d’un balzo fama e denaro.
Vero figlio di Hollywood, George non se ne curò mai. Frequentò la prestigiosa Hollywood High School e in breve mise su un complessino, The Factory. George accettò poi un breve ingaggio come vocalist con gli Standells. Non durò molto neppure la militanza nei Fraternity Of Man, coi quali scrisse il primo dei suoi classici, la tanto dibattuta Don’t Bogart That Joint. Venne poi chiamato da Franck Zappa per un paio di tournées e l’incisione di qualche disco (Rubens & The lets, Weasels Ripped My Flesh, Hot Rats). Fu a quell’epoca, sul finire degli anni ’60, che George cominciò a scriver canzoni, su tutte la celebre Willin’, ripresa da Linda Ronstadt, e la Truck Stop Girl ben presto affidata ai Byrds. I provini di questi brani e l’entusiasmo di Zappa, che lo esortò più volte a formare un “suo” gruppo, spinsero in breve il chitarrista a tentare la grande avventura, ma a modo suo. Con Payne, Hayward e l’ex-“bassman” delle Mothers Roy Estrada sotto la sigla di Little Feat, George riuscì a scucire un contratto alla Warner Brothers e nel ’70 apparve l’album d’esordio, Little Feat appunto. Ancor più preciso nel fissare la spicciola filosofia sonora del gruppo fu il successivo Sailin’ Shoes nel ’72: con la sua slide-guitar, George premeva l’acceleratore di un boogie fluido e sonnacchioso, ricco di riferimenti alla grande tradizione blues e r’n’r, e non privo di una gustosa vena di follia.

Nel ’73 Dixie Chicken consacrò l’edizione “ definitiva” dei Feat, col secondo chitarrista Paul Barrére, il percussionista Sam Clayton ed il nuovo bassista Kenny Gradney in aggiunta ai soliti Payne e Hayward; tuttavia un pugno di ottimi rockers (Roll Um Easy, Two Trains) e la blueseggiante On Your Way Down di Allen Toussaint non riuscirono a scuotere il grande pubblico dalla sua apatia. Portati ormai in palmo di mano dalla critica ma ignorati dalle classifiche, i sei parlarono addirittura di scioglimento, anche se in via del tutto temporanea.
Il gruppo si ritrovò infine al gran completo per le registrazioni di un disco di Kathy Dalton, e i tempi parvero maturi per una “reunion” in grande stile. I sei musicisti si chiusero nel loro studio di Hunt Valley, nel Maryland, e se ne uscirono con Feats Don’t Fail Me Now. Ormai al timone della produzione, George ne curò i minimi dettagli assieme al fido Van Dyke Parks, asfissiando i compagni con manie di perfezionismo (il nuovo maquillage di Cold, Cold, Cold/Tripe Face Boogie) ma scrivendo comunque nuove pagine di glorioso r’n’r (Rock’n’Roll Doctor, Oh Atlanta, la singolare Spanish Moon).

In netto conflitto con le direttive di George, il tastierista e Paul Barrére, in nome di un facile jazz-rock di routine, presero il potere. The Last Record Album volle essere prova di ritrovata democrazia nel gruppo (George v’infilò un sol brano, Long Distance Love), ma invano. Un attacco di epatite mise fuori gioco il chitarrista in occasione del successivo Time Loves A Hero (anche qui una sola canzone, Rocket In My Pocket) e apparve subito chiaro il crescente divario tra l’ironica verve di George e le sbandate formali degli altri. “Low” preferì allora dedicarsi ad altri artisti (la produzione di .
Shakedown Street dei Grateful Dead), progettando un disco “ solo”.
Nel ’78 Waiting For Columbus, l’inevitabile album doppio dal vivo, parve quasi testamento del gruppo, malgrado l’incontenibile energia sprigionata in scena. George si concentrò ancor più sul suo disco che finalmente apparve nel ’79 col titolo Thanks I’ll Eat It Here, eclettico collage di musiche “di confine”, New Orleans funk’n’roll, vecchi amori come Two Trains e una ballad di Rickie Lee Jones, Easy Money. Seguì un tour promozionale che vide “Low” nuovamente entusiasta della sua musica. Arrivò addirittura a riconciliarsi con gli amici e ad avviare le registrazioni d’un nuovo disco di studio, Down On The Farm, ma un infarto pose fine alla carriera sua e a quella dei Feat il 29 giugno ’79 all’Arlington  Hospital, in Virginia. Un’uscita di scena anonima, come da copione.

DISCOGRAFIA
Little Feat (’70)
Sailin’ Shoes (’72)
Dixie Chicken ( ’73)
Feats Don’t Fail Me Now (’74)
The Last Record Album (’75)
Time Loves A Hero (’77)
Waiting For Columbus, (’78, 2LP)
Down On The Farm (’79)
Hoy Hoy (’81, 2LP)
Lowell George: Thanks I’ll Eat It Here (’79)
Tutti i dischi sono su Warner Bros.
Guido Harari (Il Cairo, 28 dicembre 1952) è un fotografo e critico musicale italiano.

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