CAPTAIN BEEFHEART

Captain Beefheart, pseudonimo di Don Van Vliet (Glendale, 15 gennaio 1941 – Arcata, 17 dicembre 2010), è stato un musicista, cantautore e pittore statunitense.

Più famoso che popolare, più chiacchierato che effettivamente conosciuto, Captain Beefheart è uno dei personaggi chiave di certo rock inteso come paradosso, come eccesso, come gioco provocatorio.
Beefheart si chiama in verità Don Van Vliet, è nativo di Glendale, California. Il famoso soprannome (“Capitan Cuordibue”) glielo affibbiò un celebre amido d’infanzia, Frank Zappa, conosciuto all’Antelope High School, nei dintorni di Los Angeles dove entrambi vivevano, al principio degli anni ’60. Zappa capeggiava a quei tempi piccole bande di rock e R&B provinciali; in una di quelle, 1 Soots, fece la sua comparsa il giovane Beefheart, già dotato di vocione irregolare e irrefrenabile grinta. Le strade dei due, peraltro, si divisero presto: Zappa andò a far fortuna a Los Angeles e poi altrove mentre a Beefheart toccò una dura gavetta nell’ambito della scena del rock e blues. È del 1964 il primo complesso “ufficiale” dell’artista, un quartetto naturalmente specializzato in versioni di blues moderno, da Muddy Waters a Bo Diddley; e dell’anno successivo sono i due primi 45 giri, incisi per la A&M.
Il contratto discografico scade presto e gli ingaggi stentano ad arrivare. A prestare orecchio alle prime incisioni live di Beefheart (Mirror Man, 1965) si capisce il perché: il blues dell’artista è quanto di più ostico si possa immaginare, sporco e oltraggioso, pesante, in una parola: “non consumabile”. Se ne accorge però qualcuno, e Richard Perry e Bob Krasnow, due giovani produttori californiani, nel 1966 portano Beefheart alla Buddah, per un ellepi. Il disco, Safe As Milk, è in qualche modo il più “normale” e assennato della intera produzione beefheartiana, riconducibile a certi schemi rock-blues; la voce è comunque di quelle fuori dall’ordinario. A livello commerciale e di popolarità, Safe As Milk si rivela comunque un prodotto perdente.
Passeranno due anni prima che un’altra casa discografica si fidi ancora del Capitano; nel frattempo, per tutto il 1967, Beefheart cercherò invano di gestire il complesso, (che nel frattempo ha trovato nome: Magic Band).
La storia riprende col 1968 e con Strictly Personal, album a lungo meditato e infine messo in atto nel caos organizzativo più feroce: Beefheart lo disconoscerà di lì a poco, accusando il produttore Bob Krasnow di avere apportato aggiustamenti e tagli tali da snaturare l’opera. Anche senza l’approvazione dell’autore, peraltro, l’album ha una sua validità e una forza originale da lasciare allibiti, con gli stupefacenti cori del Capitano e i pesanti giochi rock-blues del suo quartetto. È l’inizio del mito beefheartiano che di lì a qualche tempo si accrescerà più ancora con la pubblicazione di Trout Mask Replica, eccezionale album doppio realizzato con la supervisione e l’aiuto del vecchio amico Frank Zappa.

Salutato dai botti di soddisfazione della critica e del pubblico, Beefheart diventa l’uomo del giorno. Zappa se ne serve come voce solista per una celebre performance su Hot Rats (Willie The Pimp) e non sono pochi i concerti della Magic Band in quel periodo, con discreto seguito di fedeli. Tra il 1969 e il 1971 Beefheart vive la sua stagione più felice, acclamato come “re del dada rock ”, insigne anarchico e sovversivo.
La fortuna però declina in fretta. Un litigio clamoroso con Frank Zappa segna l’inizio di un periodo di grande turbolenza; di lì a poco sarà la casa discografica, la Warner, a rompere i ponti, delusa dalle scarse vendite.

Beefheart emigra intorno al 1973 in Gran Bretagna, trovando asilo presso la neonata etichetta Virgin. Un paio d’anni scarsi dura il suo stage, per un totale di due ellepi deludenti: Beefheart pare confuso e forse allettato da certe lusinghe commerciali, e a nulla gli vale ingaggiare in epoche successive, forse per dispetto, ex collaboratori del nemico Zappa (Art
Tripp, Roy Estrada, Bruce Fowler).
Tanto nemico, peraltro, Zappa non è; se è vero che nel 1975 i due si rappacificano e incidono addirittura un ellepì insieme, Bongo Fury. Anni prima i fans avrebbero fatto carte false per un incontro del genere; a quel punto invece la magia si è perduta e sia Beefheart sia Zappa paiono al punto più basso della loro creatività.
Con Bongo Fury termina in qualche modo la carriera “ufficiale” di Beefheart. I suoi album, tranne l’ottimo Shiny Beast, sono strane “colluttazioni sonore” fra la sua voce, sempre grande, sempre suggestiva, e il rock incerto dei vari collaboratori.

DISCOGRAFIA

Mirror Man (1965, pubblicato nel 1970, Buddah)
Saie As Milk (1966, Buddah)
Strictly Personal (Blue Thumb, 1968)
Trout Mask Replica (doppio, 1969 Straight)
Lick My Decals Off, Baby (1970 Straight)
The Spotlight Kid (1972, Reprise)
Clear Spot (1973, Reprise)
Unconditionally Guaranteed (1974, Virgin)
Moonbeams & Bluejeans (1974, Virgin)
Bongo Fury (con Frank Zappa, 1975, DìscReet)
Shiny Beast (1979, Reprise)
Doc At The Radar Station ( 1980, Virgin)
Ice Cream For Crow (1982, Virgin).

Riccardo Bertoncelli (Novara, 21 marzo 1952) è un giornalista, critico musicale e conduttore radiofonico italiano, tra i primi a occuparsi attivamente di rock in Italia. Ha poi svolto l’attività di traduttore per diverse case editrici di settore.

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