DOTTRINE ECONOMICHE – WILLIAM PETTY – Padre dell’economia politica

.

STORIA DELLE IDEE ECONOMICHE
WILLIAM PETTY
Padre dell’economia politica

.

William Petty (Romsey, 27 maggio 1623 – Londra, 16 dicembre 1687) è stato un filosofo, medico ed economista inglese. È noto soprattutto per essere stato il fondatore dell’aritmetica politica, disciplina che pone le basi dell’economia politica e della demografia, proponendo l’uso della statistica in materia di gestione pubblica. Gli si attribuisce anche l’enunciazione della teoria del laissez-faire in materia di politica economica. Al di là delle competenze settoriali, Petty può essere considerato un uomo universale nel senso rinascimentale del termine.

Le considerazioni dei primi economisti sulla natura della ricchezza condussero necessariamente i loro immediati successori ad affrontare il problema fondamentale dell’economia politica, ossia il problema del valore. Infatti una volta affermato che la ricchezza d’un dato paese è costituita non dall’oro e dall’argento, ma dalle merci e quindi dalle risorse umane (il lavoro) e naturali (la terra) disponibili, una volta sottolineato che l’oro e l’argento monetari svolgono la duplice funzione di meno di pagamento e di misura dei valori, resta evidentemente da sapere che cosa sia questo ‘valore cui continuamente si fa riferimento.
I primi accenni ad una vera e propria teoria del valore si trovano, verso la fine del XVII secolo, sparsi nelle opere di William Petty, il medico-economista che Karl Marx definì “padre dell’economia politica”. Il fatto che tali accenni sembrino in certo qual modo accidentali, nulla toglie al loro interesse, dato il nesso organico da cui sono legati e che dà loro il carattere unitario d’una teoria.
Ed ecco come William Petty definisce, nel suo Treatise on Taxes and Contributions (1679), il valore – o come egli dice, il “prezzo naturale” – delle merci: “Supponiamo che, per estrarre dalle miniere del Perù e recare a Londra un’oncia d’oro, un uomo metta tanto tempo quanto è necessario per la produzione d’uno staio di grano: l’oncia d’oro sarà il prezzo naturale del grano. Supponiamo ora che, in seguito alla aumentata produttività della miniera, due once d’oro richiedano lo stesso tempo già necessario per una sola: ne deriva che, a parità di condizioni, il grano non costerà in realtà più caro, ora che il suo prezzo è di 10 scellini lo staio, di quanto non costasse prima, a 5”.
In sostanza si dice (e il Petty più volte ritorna sulla questione) che il valore delle merci è dato dal lavoro necessario a produrle e che lo stesso si mistura in quantità di tempo.
Quanto poi al “prezzo naturale” del lavoro, egli si esprimeva nei seguenti termini, dai quali è facile comprendere che per lui il valore del lavoro è dato dai mezzi di sussistenza necessari:
“La legge non dovrebbe accordare all’operaio che quanto gli è necessario per vivere: se gli si accorcia il doppio, egli non esegue che la metà del lavoro di cui è capace e che senza ciò avrebbe fornito. Ne risulta quindi per la società la perdita di un’eguale somma di lavoro”.
Sulla base di queste due premesse era inevitabile che la rendita della terra apparisse al Petty in forma non molto dissimile da quello che il socialismo scientifico chiamerà “plusvalore”. Si prenda il caso di una terra coltivata a grano: il valore del grano è determinato dal tempo di lavoro richiesto per produrlo. Ora se vi è una rendita, essa deve esser eguale al prodotto totale meno i salari e le sementi (se la si vuole esprimere in termini di prodotto); uguale alla quantità totale di lavoro meno quello che corrisponde al valore del lavoro e delle sementi (se la si vuole esprimere in termini di lavoro, anzi, come direbbe Marx, di “sopralavoro”).

Ma ascoltiamo ora William Petty stesso:
“Supponiamo che un individuo possa eseguire con le sue stesse mani, su una terra di grandezza data, tutti i lavori agricoli indispensabili e che disponga delle sementi necessarie. Quando egli avrà dedotto dal raccolto il grano per le sementi, per il suo consumo, nonché quanto egli spende per procurarsi dei vestiti e soddisfare gli altri suoi bisogni naturali, il resto del grano costituisce, per l’anno in corso, la rendita fondiaria…”.

Avverto subito il lettore che il Petty considera la rendita come la forma tipica di ogni plusvalore e che ad essa riconduce anche l’interesse del capitale. È questo un punto di vista che, come vedremo in seguito. ha avuto molta importanza nel pensiero economico del secolo successivo, soprattutto presso
i Fisiocrati.
Tralascio qui gli altri numerosissimi spunti che si possono rintracciare nelle opere del Petty su questioni di vario interesse, per soffermarmi invece su una questione di metodo.
Il Petty infatti, non solo ha il merito di aver affrontato il problema del valore con rara coerenza, ma ha anche il grandissimo pregio di aver concepito l’economia politica come una scienza vera e propria, sul tipo delle scienze naturali: egli infatti introduce nello studio dei fatti economici quella che egli chiama “l’aritmetica politica”, ossia l’analisi quantitativa dei fenomeni sociali. Da questo punto di vista egli è anche il precursore della statistica. Ma quel che soprattutto conta è il fatto che nei suoi scritti i fatti economici sono considerati al di fuori di ogni preconcetto metafisico e che d’altro canto ci si eleva al di sopra del mero empirismo dei pratici. Quindi anche sotto questo profilo, il Petty merita l’appellativo di “padre dell’economia politica”.

Sir William Petty (1650 circa)

.