DOTTRINE ECONOMICHE – Inghilterra mercantile e Francia agricola

STORIA DELLE IDEE ECONOMICHE
Inghilterra mercantile e Francia agricola

 Scritti di Locke e North, Boisguillebert e Vauban

 

John Locke (Wrington, 29 agosto 1632 – High Laver, 28 ottobre 1704) è stato un filosofo e medico inglese, considerato il padre del liberalismo, dell’empirismo moderno e uno dei più influenti anticipatori dell’illuminismo e del criticismo.

William Petty (Romsey, 27 maggio 1623 – Londra, 16 dicembre 1687) è stato un filosofo, medico ed economista inglese. È noto soprattutto per essere stato il fondatore dell’aritmetica politica, disciplina che pone le basi dell’economia politica e della demografia, proponendo l’uso della statistica in materia di gestione pubblica.

Dudley North (Westminster, 16 maggio 1641 – Londra, 31 dicembre 1691) è stato un mercante, politico ed economista inglese, scrittore di libero scambio.

Sébastien Le Prestre, poi marchese di Vauban (marquis de Vauban), noto genericamente solo come Vauban (Saint-Léger-Vauban, 15 maggio 1633 – Parigi, 30 marzo 1707), è stato un militare francese, uno dei più grandi ingegneri militari di tutti i tempi, e una delle maggiori figure della Francia del Re Sole.

Pierre le Pesant, sieur de Boisguilbert o Boisguillebert (17 febbraio 1646 – 10 ottobre 1714) è stato un legislatore francese e giansenista, uno degli inventori della nozione di mercato economico.

Jean-Baptiste Colbert (Reims, 29 agosto 1619 – Parigi, 6 settembre 1683) è stato un politico ed economista francese.

La teoria del valore che già abbiamo vista abbozzala negli scritti di William Petty, ritorna nelle opere economiche e politiche d’uno dei massimi filosofi inglesi, John Locke, opere di poco posteriori a quelle del Petty. Ciò che particolarmente qui interessa rilevare è il fatto che la teoria del valore, oltre ad analizzare il fenomeno dello scambio, è anche, in modo particolarmente esplicito, una teoria dei rapporti sociali. Si comprende quindi per qual motivo essa meglio si rintracci negli scritti di carattere politico, là dove si analizzano le caratteristiche della società umana ed in particolare della proprietà.

Quale è secondo Locke, il fondamento della proprietà privata? La risposta la troviamo nel V capitolo del secondo dei “Two Treatises of Governement” (1690): “Sebbene la terra e tutte le creature inferiori siano comuni a tutti gli uomini, nondimeno ogni uomo ha la proprietà della propria persona, alla quale ha diritto nessun altro che lui. Il lavoro del suo corpo e l’opera delle sue mani possiamo dire che sono propriamente suoi. Quindi dal momento in cui l’uomo trasforma un’opera qualunque della natura, egli vi immette il suo lavoro, qualcosa di cui è padrone: ne fa così la sua proprietà”.
Dunque, il fondamento naturale della proprietà, è il lavoro. Ma la proprietà conosce un limite, anch`esso naturale: “Di quanto si può far uso, prima che vada perduto, a vantaggio della propria vita, di tanto si può con il proprio lavoro istituire la proprietà: tutto ciò che oltrepassa questo limite eccede la parte di ciascuno e spetta ad altri”.

Tale limite è però superato dalla “invenzione della moneta” che permette al singolo di accumulare più di quanto gli è necessario, in quanto per mezzo della moneta è possibile rendere pressoché imperituri i beni della natura. Chi accumula moneta, dice Locke, non viola il diritto altrui, “dal momento che l’eccedere i limiti della giusta proprietà non sia nell’estensione del possesso, ma nel fatto che qualcosa vada in rovina inutilizzate nel possesso di alcuno”.
Locke sanziona quindi così la disuguaglianza nei possessi.

Quel che è particolarmente evidente è come il Locke, filosofo militante della borghesia mercantile inglese, abbia invertito la conclusione egualitaria cui tradizionalmente conducevano le premesse del ragionamento. Egli da un lato conduce l’attacco contro la tradizionale proprietà terriera (fondamento della proprietà è il lavoro e dalla natura non si può prendere più di quanto è necessario al sostentamento dell’uomo); dall’altro difende la nuova proprietà mobiliare borghese, l’unica che (in quanto basata sul lavoro) possa superare i limiti naturali senza recar danno ad alcuno (in altri termini, senza ostacolare con la “manomorta” lo sviluppo della produzione).

Non è quindi un caso che il Locke sia favorevole all’abolizione di ogni ostacolo al commercio e sostenga il principio dell’imposta unica sui terreni.
Interessante è quindi pure vedere come il Locke affronti il problema della natura della rendita e dell’interesse: per lui sia la rendita (fondiaria), che l’interesse sono appropriazione del guadagno di terzi, appropriazione che egli giustifica semplicemente in base alla distribuzione ineguale della proprietà.
Vale la pena anche qui di sottolineare la portata rivoluzionaria dell’equiparazione di rendita e interesse, in un’epoca in cui la nobiltà terriera è minacciata dall’onnipotenza del capitale mobiliare, dal mercante e dal banchiere. ln ogni parte d’Europa al mercante e al banchiere è precluso l’ingresso nell’aristocrazia, ma in ogni parte d’Europa l’aristocrazia, per fronteggiare le sue spese suntuarie, di lusso, deve ricorrere al prestito di denaro presso il mercante e il banchiere e quindi, con frequenza sempre maggiore, è costretta a spossessarsi dei suoi averi per coprire i debiti contratti. È quindi naturale che il Locke (come William Petty) sia energicamente contrario al tasso legale dell’interesse e ad ogni disposizione restrittiva in materia.

A completare il Petty e il Locke, l’Inghilterra della fine del XVII secolo ha dato un terzo economista: Dudley North. autore dei “Discourses upon Trade” (1691).
Il North ribadisce con particolare vigore i concetti del Petty e del Locke: “Non esiste differenza fra il proprietario terriero (landlord) e il capitalista (stocklord). Il solo vantaggio del primo è che il suo fittavolo non può asportare la terra, mentre il beneficiario d’un prestito può far sparire il denaro. Poiché corre maggiori rischi, è naturale che il capitale produca un interesse più elevato”.
Ma il contributo più interessante del North è forse quello relativo alla distinzione fra denaro e capitale: “Cosa necessita alla gente che reclama a gran voce denaro? Cominciamo dal mendicante: egli chiede denaro. Per farne che? Comprare pane ecc. Dunque, quel che gli abbisogna non è denaro. ma pane e altri alimenti. A sua volta, il contadino si lamenta della mancanza di denaro. Le sue ragioni non sono certo quelle del mendicante…
Egli si immagina che se vi fosse più denaro nel paese, i suoi prodotti si venderebbero a maggior prezzo. Dunque egli ha bisogno, non di denaro, ma d’un buon prezzo del grano e del bestiame per i quali certa e non trova l’acquirente. Ora, l’acquirente può mancare per tre ragioni: sovrapproduzione di grano e bestiame; ostruzione degli sbocchi abituali per causa, ad esempio, di guerra; consumo insufficiente a causa dell’eccessiva miseria”.
Quindi la ricchezza, dice il North, non consiste nella tesaurizzazione dei metalli preziosi: “tutti vogliono aver denaro, ma quasi nessuno vuole conservarlo. Tutti sanno infatti che bisogna impiegarlo il più presto possibile, perchè il denaro che dorme non dà profitto e determina quindi una perdita secca”. ln conclusione, il denaro diviene capitale e quindi forza propulsiva solo allorché è investito in una attività industriale o commerciale.

Mentre l’Inghilterra commerciante difende e sostiene il capitale mobiliare per bocca di William Petty, John Locke e Dudley North, la Francia agricola denuncia, per bocca di Pierre le Pesant de Boisguillebert e del Maresciallo di Francia Sebastian de Vauban, la tragica condizione delle classi agricole. Il regno di Luigi XIV, il Rc Sole, aveva infatti imposto nel paese spese militari e suntuarie enormi: quindi, soprattutto per opera di Jean-Baptiste Colbert, si era esteso l’uso di tassare i contribuenti in moneta, mentre per contrasto l’economia francese riposava ancora in buona parte su una struttura agricola arretrata e la circolazione del denaro non aveva assunto lo sviluppo dei più progrediti Paesi Bassi e Inghilterra.
Il Boisguillebert  e il Vauban rivolgono quindi il loro interesse soprattutto verso il sistema finanziario e contro il protezionismo mercantile e industriale di Colbert che vorrebbero sostituito da misure intese a risollevare lo stato dell’agricoltura. Che le loro idee fossero largamente condivise dai Francesi, lo conferma questo significativo passo dei “Caratteri” di La Bruyère, il famoso letterato:
“Si vedono certi animali selvatici maschi e femmine sparsi per le campagne, neri e lividi, bruciati dal sole, attaccati alla gleba che essi scavano e smuovono con ostinazione invincibile. Essi hanno una specie di voce articolata e quando si levano in piedi mostrano sembianze umane e infatti sono uomini. La notte si ritirano in tane dove vivono di pane nero, di acqua e di radici: essi risparmiano agli altri uomini la pena di seminare, di arare, di raccogliere per vivere e meriterebbero di non mancare di quel pane che hanno seminato”.
Il contributo. comunque. degli scrittori francesi d’economia è nel complesso inferiore a quello dei già ricordati inglesi loro contemporanei.

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