DOTTRINE ECONOMICHE – ECONOMISTI DEL ‘500 – ‘600

Breve storia delle dottrine economiche
ECONOMISTI DEL ‘500 – ‘600

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Gli scrittori nel secolo XVI affrontano i problemi economici sotto un profilo eminentemente pratico, elaborando i risultati dell’esperienza mercantile. Ora  l’attenzione di questi autori è rivolta prevalentemente allo studio dei fenomeni monetari e in particolare a due questioni fra loro collegate: il disordine monetario e l’influenza della quantità di circolante sul livello dei prezzi.
Il disordine monetario aveva allora una duplice origine e natura. In primo luogo, l’estendersi dei traffici aveva messo in rapporto le economie dei diversi Stati e Principati europei, ciascuno dei quali “batteva” moneta di metallo e peso diversi. Di qui le complicazioni dei cambi e la necessità di rapportare le monete le une alle altre facendo riferimento a una data unità di misura. E poiché, d’altro canto, sia l’oro che l’argento venivano indifferentemente utilizzati, si rendeva pure necessario stabilire un rapporto fisso fra i due (di sfuggita diciamo subito che il così detto “bimetallismo”, dopo lunghe polemiche, venne definitivamente superato nel XIX secolo, quando la pratica e la teoria provarono che non poteva esistere una duplice unità di misura e che l’oro era il metallo più idoneo a tale fine).
L’altra causa del disordine era dovuta agli arbitri dei governanti che, pur conservando l’originale denominazione della moneta, ne riducevano il peso effettivo (metodo assai simile a quello moderno dell’inflazione) nel corso delle successive emissioni. Tale fatto, intrecciandosi con il fenomeno dell’afflusso di metalli preziosi e dell’aumento dei prezzi verificatosi dopo la scoperta dell’America, creava l’altro problema del rapporto fra prezzi e quantità di moneta in circolazione.
Ricordiamo per quanto riguarda il primo punto GASPARE SCARUFFI (Reggio nell’Emilia, 17 maggio 1519 – Reggio nell’Emilia, 20 settembre 1584), che nel 1582 dette alle stampe un’opera esclusivamente dedicata all’anzidetto problema, intitolata l’Alitinonfo (dal greco: il vero lume) nella quale, determinato convenzionalmente il rapporto fra oro e argento, suggeriva un’unificazione monetaria internazionale quale mezzo per eliminare gli inconvenienti derivanti dalla molteplicità delle zecche nazionali e dalla mancanza di uniformità nella pratica del conio.

Lo Scaruffi inoltre era evidentemente ben conscio del fatto che l’autorità pubblica non può fissare ad arbitrio il valore della moneta; ma gli autori che maggiormente approfondirono il problema furono i francesi JEAN DE MALESTROIT e JEAN BODIN (Angers, 1529 – Laon, 1596), il prima nel suo scritto Les paradoxes sur le fait des monnaies (Paradossi sul fatto delle monete) 1566), il secondo – in polemica con il primo – in Reponses aux paradoxes de monsieur De Malestroit (Risposte ai paradossi del signor Malestroit,1568), nonché in altri scritti, ivi compresa la sua famosa opera politica Republique (1576).
Il Bodin attribuiva il fenomeno dell’aumento dei prezzi verificatosi in Francia ad un’accresciuta affluenza di oro e di argento per effetto:

1 – della corrente di metalli preziosi proveniente dall’America.
2 – della formazione dei monopoli commerciali.
3 – delle grandi spese suntuarie (per il lusso cioè) sostenute dalla Corte.
4 – del concorso di capitali stranieri presso la Banca di Lione che corrispondeva un tasso particolarmente elevato.

In sostanza queste discussioni portavano ad affermare il principio che il valore della moneta è inversamente proporzionale alla quantità della stessa in circolazione, principio che doveva più tardi trasformarsi nella così detta “teoria quantitativa della moneta”. D’altro canto tali discussioni conducevano. pure ad un’altra considerazione: non mutando la quantità di moneta in circolazione, il prezzo delle merci aumenta o diminuisce a seconda che ne aumenta o diminuisce la produzione.

Sono questi i concetti che, meglio di ogni altro in quel periodo, svolse l’inglese Dudley North (Westminster, 16 maggio 1641 – Londra, 31 dicembre 1691) nei suoi Discourses upon trade (Discorsi sul commercio, 1601). Una nazione può esser ricca anche senza oro e argento. La prima e vera fonte della ricchezza è il lavoro creativo dell’uomo che trasforma i doni della natura; anche l’oro e l’argento sono prodotti del lavoro umano, e: il denaro è anch’esso una merce il cui flusso e riflusso viene regolato dalle naturali esigenze del mercato. Le perturbazioni economiche non hanno origine da semplici “disturbi” monetari, ma da tre cause più profonde: eccesso di produzione che non trova collocamento sul mercato, difficoltà nel commercio con l’estero ( ad esempio, a causa di guerre), insufficiente consumo causato dalla miseria della popolazione.
Si viene con ciò delineando la caratteristica fondamentale del pensiero economico: i fenomeni sono determinati da leggi obbiettive che il singolo può solo ostacolare o utilizzare. ma mai modificare. Nulla possono i re e i principi nei confronti del valore della moneta e la sua quantità maggiore o minore in una nazione è regolata da leggi che nessun legislatore può modificare. Si insinua cosi nel pensiero moderno un concetto di grandissima importanza destinato a distruggere gli ultimi residui della concezione medioevale del mondo nel quale la volontà divina e, subordinatamente, quella umana regolano ogni aspetto della vita.

Dovremo presto ritornare sul problema monetario nei secoli XVI e XVII per colmare una lacuna della precedente esposizione. Ho infatti omesso ogni accenno al “mercantilismo” e ai problemi del commercio estero.
Ma ciò che questa volta ci interessava era porre in luce il graduale passaggio dal problema monetario ad altri più vasti che già nell’opera di Dudley North adombrano il problema del valore e della produzione.
Voglio ora approfittare dell’occasione per sottolineare due fatti.
Per qual motivo s’inizia lo studio dei fenomeni economici dalla moneta? Cioè, come mai la storia non ha rispettato il criterio logico di ogni manuale d’economia politica che, doverosamente, principia con la teoria del valore e solo verso la fine giunge ai problemi monetari?
La risposta sta racchiusa nella considerazione che il modo più evidente (anche se il meno facile a chiarire) con il quale si esprimeva all’inizio dell’era moderna la rivoluzione economica e sociale in atto consisteva nel tradursi di ogni cosa, persino dei rapporti sociali, in termini di prezzo. di moneta. Il rapporto fra padrone e dipendente si chiama ora salario, è il prezzo minore o maggiore del lavoro, e non si fregia più delle qualifiche di omaggio, fedeltà ecc. Gli oggetti sono valutati, oltre che per il loro pregio intrinseco, anche e soprattutto per il loro prezzo in denaro. In sostanza quel fenomeno di spersonalizzazione dei rapporti fra uomo e uomo e fra uomo e cose, di cui già abbiamo avuto occasione di parlare all`inizio di queste puntate, non poteva non attirare l’attenzione proprio nel suo aspetto maggiormente appariscente: la moneta. Il religioso vedrà nel denaro il simbolo apocalittico “della bestia trionfante”, segno della corruzione dei tempi, l’umanista vorrà bandirlo per creare un’ideale società comunistica basata sulla saggezza, il “pratico” ricercherà semplicemente invece il modo di ovviare ai mali causati dagli arbitri regi e si domanderà come la poca o tanta moneta influisca sui prezzi, in che cosa consista la vera ricchezza materiale.
E qui cade opportuna un’altra considerazione a proposito della distinzione fra “pratici” e “umanisti”: si tratta d’una differenza che ha un valore relativo, in quanto nella realtà storica le due correnti si intrecciano ora separandosi ora fondendosi in tutto indissolubile. Del resto basti ricordare che anche Niccolò Copernico (Toruń, 19 febbraio 1473 – Frombork, 24 maggio 1543) (come la maggior parte degli uomini colti del suo tempo) ebbe ad occuparsi di economia cui dedicò un ‘piccolo trattato, De monetae cudendae ratione, (Sul modo di batter moneta) redatto probabilmente nel 1526.

Ritratto di Niccolò Copernico, 1580

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