ERASMO DA ROTTERDAM – Elogio alla saggezza

RITRATTO DI ERASMO DA ROTTERDAM (Vedi scheda)

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ERASMO DA ROTTERDAM

Elogio alla saggezza

Vissuto in un periodo tumultuoso il grande umanista fece sua e tramandò alle generazioni successive la lezione degli antichi, una lezione che nella nostra epoca travagliata faremmo bene  a riscoprire e meditare.

Fra gli artefici della nostra civiltà, pochi possono vantare tanti meriti quanti Erasmo da Rotterdam. Il famoso umanista, che 500 anni fa era riconosciuto arbitro della fede della morale d’Europa, ha ancora. molto da dire al nostro secolo confuso. La sua appassionata difesa della libertà dell’uomo, il suo spirito di tolleranza, la sua profonda avversione al pregiudizio e soprattutto l’intento perseguito durante tutta la vita di ricondurre i cristiani alle pure fonti della loro fede: tutto questo fa di Desiderius Erasmus Roterodamus (Erasmo da Rotterdam o Erasmus, 28 ottobre 1466 – 12 luglio 1536) una figura al di sopra del tempo.
Il suo contributo nel campo del sapere è immenso. I suoi scritti – che vanno dall’appassionata condanna della guerra d’aggressione all’erudito commento delle opere dei Padri della Chiesa – sono raccolti in sette poderosi tomi fitti di caratteri di stampa. Studioso dei classici, riscoprì la saggezza degli antichi tramandandola – spesso in forma condensata e divulgativa – alle generazioni future contribuendo così ad inculcare nella mentalità occidentale un profondo rispetto per le glorie immortali del passato, un senso di continuità che ancor oggi pervade tutta la nostra cultura.
Ma questo grande maestro dell’umanità aveva anche una vena leggera. La sua opera piú famosa e piú letta resta. ancor oggi L’elogio della pazzia, che egli scrisse nel 1509 per suo personale divertimento e che riscosse un immediato successo. Anche in questo affascinante libretto il grande umanista ci dà una lezione di saggezza, satireggiando con stile elegante la boriosa ignoranza e la superba stupidità dei potenti di questo mondo.
Erasmo nacque a Rotterdam, forse nel 1466, dalla relazione di un prete erudito con la figlia di un medico di campagna. Giovanetto, entrò nel convento degli agostiniani di Steyn, ma il suo spirito irrequieto lo spingeva verso orizzonti piú vasti. Il fatto di essere olandese gli avrebbe precluso la fama internazionale se non avesse avuto una perfetta conoscenza del latino, che a quel tempo in Europa era la lingua comune a tutte le persone colte. Superando i confini della terra natale, Erasmo si considerava cittadino del mondo.
Ottenuto il permesso di lasciare il convento, si recò all’Università di Parigi, uno dei piú fervidi centri culturali. Erano tempi di profondi mutamenti: l’arte della stampa, appena inventata da Gutenberg, aveva dato un fortissimo impulso alla cultura e l’umanesimo, con il ritorno agli studi classici, aveva appena cominciato a dilagare nelle università dell’Europa settentrionale. A Parigi, il giovane dai capelli color del lino ascoltava affascinato i piú famosi maestri del tempo e si manteneva dando lezioni private. Presto pubblicò dei saggi che gli guadagnarono un posto nel mondo della cultura.

Magro e di costituzione delicata, Erasmo era perseguitato da infreddature e altri malanni. Tutte le sue energie sembravano concentrarsi nelle facoltà intellettuali. I ritratti che di lui dipinsero Dürer e Holbein lo raffigurano come uno studioso dal fisico evanescente, con la magrezza del volto accentuata dal naso lungo, dritto e appuntito e gli occhi celesti nascosti da pesanti palpebre. In genere lo si vede rappresentato avvolto in una lunga veste ricadente in morbide pieghe. Dalla sua immagine, comunque, emana sempre un fascino sottile che fa di questo pallido intellettuale un essere di una simpatia unica.
Aveva appena toccato i 30 anni quando un suo allievo inglese lo convinse a recarsi in Inghilterra: l’ambiente liberale dell’epoca Tudor affascinò il giovane di Rotterdam. Con il suo brillante talento, la raffinatezza della sua erudizione, il suo anticonformismo intellettuale, Erasmo a sua volta conquistò tutti quelli che lo conobbero. Insegnò per due anni all’Università di Cambridge e nella cerchia dei suoi intimi furono l’umanista e uomo politico Tommaso Moro e l’arcivescovo di Canterbury William Warham.
L’alto livello culturale che Erasmo trovò in Inghilterra lo indusse ad allargare il suo sapere e a studiare il greco antico, a quel tempo conosciuto solo da un ristrettissimo numero di eruditi. Intraprese quindi una specie di caccia al tesoro alla quale doveva dedicare la maggior parte della sua vita. Perlustrava le soffitte di monasteri semidiroccati riportando alla luce manoscritti che nessuno aveva piú toccato da secoli e si immergeva nella lettura di muffose pergamene il cui testo, in greco o in latino, non era mai stato pubblicato. Raccoglieva le massime degli autori antichi e le rimpolpava con lunghi commenti e digressioni – sulla vita quotidiana, il cibo, gli strumenti di lavoro, la religione – che riportavano il lettore ai tempi antichi di Roma e della Grecia. I suoi Adagi – cioè proverbi – una specie di enciclopedia del pensiero umanistico, divennero una delle opere piú citate in tutto il mondo. Alcune delle massime in essa contenute – come per esempio “a caval donato non si guarda in bocca” o “dire pane al pane e vino al vino” – sono entrate a far parte del linguaggio quotidiano di tutti noi.
Erasmo, che poteva contare soltanto su una modesta pensione procuratagli dall’arcivescovo di Canterbury, dedicava la maggior parte delle sue opere ai capi di Stato, i quali lo contraccambiavano con delle somme di denaro. Ma sebbene la vita gli offrisse la scelta fra il lusso e la povertà, il grande pensatore si rifiutò sempre con ostinazione di barattare la libertà con la sicurezza.
Il suo spirito pungente era temuto da tutti. I suoi feroci strali si appuntavano contro gli studiosi che osassero dissentire da lui. Per punire un nemico spesso lo travestiva da personaggio comico, ma in modo che tutti potessero riconoscerlo, e lo inseriva in uno dei suoi sempre piú numerosi Colloqui famigliari, una raccolta di dialoghi satirici sui costumi del tempo. Con gli amici, invece, era molto cordiale e si divertiva a raccontare aneddoti.
Amava il buon vino di Borgogna e i buoni cibi, ma detestava il pesce, che invece i cattolici erano tenuti a mangiare nei giorni di precetto. Aveva già passato da un pezzo i 40 anni quando ottenne la dispensa papale dal vestire la tonaca, anche se di fatto continuò a essere un prete.
Tuttavia Erasmo era soprattutto e prima di tutto un cristiano. In alcuni grandi pensatori del passato, come per esempio in Cicerone e in Platone, scopri molti punti che precorrevano l’etica cristiana. E riteneva che la fusione delle due principali correnti della cultura occidentale – il pensiero dei classici e lo spirito del Vangelo – fosse uno dei compiti essenziali dello studioso cristiano.

“Ho lasciato spesso bruciare l’olio della mia lampada no a mezzanotte” scrisse “per studiare le opere degli autori greci e latini. Non per il vano amore della fama o per un infantile piacere dell’intelletto, ma per adornare il tempio di Dio con lo splendore di quei tesori.”
Sia come cristiano sia come uomo di cultura, Erasmo era persuaso che molte pratiche della Chiesa si allontanassero dalla fede semplice e genuina degli apostoli. Era necessaria una riforma e, con la sua mentalità di umanista, riteneva che dovesse cominciare con una revisione degli stessi testi sacri. L’unica versione della Bibbia allora esistente, la Vulgata in latino, era piena di errori e di punti oscuri. Erasmo, sobbarcandosi l’immane compito di fornire ai teologi il testo greco originale, diede così alle stampe la prima edizione del Nuovo Testamento in greco. Per la prima volta era possibile leggere il Vangelo come l’avevano scritto gli evangelisti!
Uno dei suoi lettori piú attenti fu il contemporaneo Martin Lutero, che cinque anni dopo tradusse il Nuovo Testamento in tedesco basandosi in gran parte sul testo di Erasmo. La Riforma era già in atto e Lutero aveva sempre guardato con ammirazione allo studioso di Rotterdam. E piú pensava a lui piú sperava di conquistarlo al campo ribelle.
I due uomini non si incontrarono mai. Il magro e sensibile Erasmo e il turbolento Lutero avevano due caratteri diametralmente opposti. Tuttavia, nonostante il suo atteggiamento distaccato, la posizione di Erasmo nei riguardi degli errori della Chiesa non era meno critica di quella del Riformatore. “Io insegno in fondo le stesse cose che insegna Lutero” ammise una volta Erasmo “ma senza la sua violenza.” Quando Lutero gli mandò una lettera per sollecitarlo a sostenere il suo “piccolo fratello in Cristo”, Erasmo preferì non impegnarsi. La riforma, secondo lui, doveva avvenire all’interno della Chiesa. “Resto neutrale” rispose a Lutero “per concentrarmi sulla nuova fioritura del sapere.”
L’intellettuale numero uno dell0Europa settentrionale, tuttavia, non poteva continuare per sempre a far da spettatore. All’Università cattolica di Lovanio, in Belgio, dove Erasmo fissò la sua sede per parecchi anni, molti lo definirono un eretico. Re Enrico VIII d’Inghilterra e papa Adriano VI, suo connazionale e vecchio amico, lo sollecitarono a difendere il suo buon nome e a contestare apertamente Lutero. Dopo un lungo esame interiore Erasmo gettò sulla bilancia il suo prestigio e con il famoso trattato De libero arbitrio attaccò la Riforma sul solo terreno che sentiva proprio, quello della ragione. Attaccando la fondamentale dottrina luterana della salvezza mediante la fede, sostenne che, escludendo la nostra libertà di scelta fra il bene e il male, la punizione e la grazia di Dio non avrebbero piú senso. Lutero gli rispose pubblicamente con il violento De servo arbitrio, mentre in privato non nascose quanto gli dispiacesse vedere che Erasmo militava nel campo papista. Ciononostante molti illustri cattolici continuarono a considerare Erasmo un luterano non confesso: alcuni dei suoi libri furono messi al bando e si mormorò che “Erasmo covava l’uovo deposto da Lutero“.
Intanto l’umanista si era trasferito a Basilea, la cittadella della cultura classica, per collaborare con un suo caro amico, l’editore Johann Froben. Nella città svizzera trascorse otto anni sereni attendendo a quello che piú gli piaceva: curare l’edizione di testi antichi e lavorare nell’operosa tipografia. Era ormai un personaggio di grandissimo rilievo, e riceveva lettere e visite da parte di principi, uomini di chiesa, diplomatici e studiosi. Ma la grande bufera che stava spazzando l’Europa raggiunse anche lui. Basilea aderì completamente al protestantesimo ed Erasmo ritenne opportuno allontanarsi. A Friburgo, nella Foresta Nera, che faceva parte dei domini dell’imperatore di Germania, si sentì abbastanza sicuro da acquistare l’unica casa che abbia mai posseduto e continuò a pubblicare e a scrivere le sue opere attorniato da un piccolo gruppo di validi collaboratori. Alla fine, indebolito da una vecchiaia prematura, tornò a Basilea, dove il figlio di Froben gli aveva offerto uno studio in casa sua.
Fino all’ultimo, con volontà e tenacia, difese la propria libertà di pensiero. Nel grande conflitto che aveva scisso la Chiesa, gli uomini dei due campi avversi avevano guardato a lui come all’unico personaggio rimasto al di sopra della mischia. Morì, nel luglio del 1536, in pace con il suo dio e senza un prete al capezzale, fedele a se stesso fino all’ultimo respiro.

RITRATTO DI ERASMO DA ROTTERDAM (1523 circa)
Hans Holbein il Giovane (1497 o 1498–1543)
Olio e tempera su quercia cm 73,6 x 51,4
National Gallery, Londra

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