BUCOLICUM CARMEN – Francesco Petrarca

BUCOLICUM CARMEN

Ancor più letterario dell’Africa, é il Bucolicum carmen (poema pastorale), come il Petrarca chiamò la raccolta delle sue dodici egloghe, o dialoghi di pastori. Era un genere destinato a grande fortuna tra i letterati umanisti; nel quale, con nomi di pastori e allusioni alla vita dei pastori, il poeta ritraeva persone ed avvenimenti reali, e talvolta se stesso; come prima fece, in qualche egloga, Virgilio. Per questo travestimento della realtà le egloghe petrarchesche sono oscurissime, e, senza la spiegazione che delle medesime si dà nelle lettere, sarebbero spesso indecifrabili. Tra le più significative sono la seconda, che é un elogio del defunto Roberto di Napoli; la terza, dove si tocca dei due grandi amori del poeta, la donna e la gloria poetica; la quarta sulla capacità poetica degli Italiani superiore a quella dei Francesi; la quinta che si svolge in un’adombrata allusione a Cola di Rienzo, restauratore della grandezza di Roma. Se nel Bucolicum carmen il Petrarca imita Virgilio, imita anche  l’altro maggior poeta dell’epoca augustea, Orazio, nelle Epistolae poeticae (Lettere in versi). Sono ben 67, divise in tre libri. Narrano gli avvenimenti e trattano gli argomenti più vari: con molta urbanità, con molta grazia, talora con vera eloquenza. Appunto perché il poeta non si dà in esse nessun’aria, né si propone di grandeggiare, é riuscito più felice che nelle altre opere di poesia latina. Tra le epistole più celebri é quella che narra uno dei tanti viaggi in Italia del poeta ed esprime il saluto all’Italia dal Monginevra. In una al cardinale Colonna parla della sua dolce vita solitaria a Valchiusa. In un’altra, descrive la cerimonia della sua incoronazione: il giorno indimenticabile della sua vita.

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