IL CANZONIERE – Francesco Petrarca

IL CANZONIERE

IL PETRARCA VOLGARE
IL POETA DELL’AMORE

 

Francesco Petrarca fu poeta, disse spontaneamente l’anima sua e mostrò insieme la squisitezza della sua arte nei versi volgari, d’amore i più, che gli vennero sparsamente dalla penna, principalmente negli anni della giovinezza.
Vero è che egli molto apprezzò le sue opere latine, e che affettò un grande disprezzo per le rime volgari; ma non é questa la prima volta che i poeti scambiano per più belle le opere che loro costarono più fatica. Richieste da qualche illustre amico, il Petrarca raccolse tardi le sue rime, che egli chiamò Rerum vulgarium fragmenta (frammenti in volgare) e che si conservano, in parte autografe, in un prezioso manoscritto della Biblioteca Apostolica Vaticana.
Aggiunse alcuni sonetti introduttivi, nel primo dei quali deplora le sue passioni giovanili; conservò approssimativamente alle rime il loro ordine cronologico, le ritoccò, le raffinò. Il Canzoniere  (come gli editori chiamarono poi le sue rime) del Petrarca è il più copioso del Trecento: ed é, dopo la Divina Commedia, la maggior opera di poesia che abbia quel secolo.

Come l’amore dei poeti del Dolce stil nuovo, anche quello del Petrarca è per una creatura che passa tra gli uomini illuminata da una luce di cielo. È amore non corrisposto, o corrisposto più di lusinghe che di affetto. È l’amore aspirazione e desiderio. Ma Laura non é più un angelo, come Beatrice; é una donna; l’amore per lei non é più soltanto beatitudine celeste, come è l’amore per Beatrice; ma un continuo travaglio interiore e sentimento malinconico. E se il poeta tante volte dichiara che nella contemplazione delle bellezze di Laura egli s’innalza alle bellezze divine, pure è spesso sorpreso dal pensiero che egli era fatto per altro che per consumarsi in quella passione ; ed ha sbigottimenti e rimorsi, dai quali si rifugia, con fervida religiosità, in ciò. Il Canzoniere è l’espressione ingenua di tutti quei movimenti profondi e vari, di tutti quegli stati d’animo, talora indefiniti e indefinibili, che accompagnano la passione fondamentale dell’amore: gioie e rapimenti brevi (come nel sonetto Stiamo, Amor, a veder la gloria nostra), ricordi e rimpianti (come nella canzone Chiare, fresche e dolci acque), soliloqui e meditazioni (come in quella Di pensiero in pensier di monte in monte), lamenti sconsolati (come nell’altra Nella stagion che il sol rapido inchina), disperazioni (come nel sonetto in morte di Laura Oimé il bel viso, oimé il soave sguardo): e gridi supplichevoli a Dio: come in vari sonetti, e nella canzone Vergine bella, che chiude il Canzoniere, ed è tutta una confessione che l’uomo fa della sua miseria, della sua incapacità di sollevarsi dalla terra.

La poesia del Petrarca é più di sentimento che di immagini; ripete, variandoli e approfondendoli sempre più, non molti motivi; richiede lettori disposti alla meditazione, e non comuni.
L’espressione nel Canzoniere é squisita, come é profondo il sentimento. La consuetudine dei classici porta nelle rime del Petrarca un senso di nobiltà formale, che la poesia lirica italiana conserverà poi per più secoli. Nessun vocabolo o costrutto plebeo, o irregolare, o che risenta troppo del dialetto materno: nessuna parola che non sia ancor viva e fresca oggi. Cospicua é la dolcezza dei suoni, la musicalità dei ritmi; ora tenui e leggeri ora; e più spesso, solenni e gravi; musicalità che esprime essa stessa ciò che la parola non sempre può dire. Vero è che nel Canzoniere non sono infrequenti certe artificiosità (come i giuochi sulle parola Laura, e le antitesi, troppo volute, e le protratte allegorie); le quali sono da considerate come un’eco della poesia dei Trovatori, e si spiegano nel poeta che cantò in Provenza, e per una provenzale. Purtroppo gli innumerevoli imitatori del Petrarca si fermarono -come accade a tutti gli imitatori – su queste esteriorità: e le riprodussero sino al fastidio; e petrarchista significò poeta falso e artificioso. Ma il Petrarca é troppo più alto dei suoi imitatori; e i maggiori critici moderni, a cominciare da Ugo Foscolo, hanno ben saputo distinguerlo da essi.