TRIONFI – Francesco Petrarca

I TRIONFI

Francesco Petrarca volle tentare anche in volgare una vasta opera organica, che forse nella sua mente doveva emulare la Divina Commedia: i Trionfi; a cui attese nell’età matura. Sono in capitoli, il cui ordinamento é più probabile che sicuro; in terzine, come la Commedia; e rappresentano, come la Commedia, una visione, anzi una serie di visioni.

Il primo di essi è il Trionfo dell’Amore: in quattro capitoli. Il poeta narra che, di primavera, a Valchiusa, si addormentò, e vide, in sogno, passare Amore sul carro trionfale, con al séguito una infinita schiera di vinti. Un amico indica al poeta chi sono coloro: i personaggi più illustri della storia o della leggenda, e anche i Numi antichi, persino Giove: tutti servi del terribile Iddio. Né mancano i personaggi biblici, e gli eroi e le eroine dei romanzi medioevali, e i poeti antichi, e i trovatori. Anche il poeta entra nel corteo, avendo prima all’amico narrato freddamente ciò che nel Canzoniere esprime con tanta spontaneità: la storia del suo amore. Di tanti personaggi nessuno parla: salvo Massinissa, che narra la sua passione per Sofonisba: argomento che il Petrarca aveva già trattato nell’Africa: e che doveva gareggiare – come può la retorica con la passione – con il racconto dantesco di Francesca da Rimini. Il corteo termina a Cipro, l’isola di Venere.

Il secondo è il Trionfo di una Virtù che, almeno sull’esempio di Laura, e più forte dell’Amore: la Castità; in un capitolo. Protagonista è Laura, antagonista l’Amore, a cui Laura porta via molte illustri donne, greche, romane, ebree, compresa Didone, che si sarebbe uccisa non più per amore di Enea, ma per serbarsi pura al primo estinto marito Sicheo. Il corteo delle caste donne si scioglie a Roma, nel tempio della Pudicizia. Ma pure sulle donne caste domina la Morte.

Il Trionfo della Morte, in due capitoli, é una evocazione, declamatoria, di popoli ed eroi scomparsi, è una pittura, squisita e famosa, dell’estinguersi di Laura: tanto sereno che “Morte bella parea nel suo bel viso”. Senonchè più potente della Morte è la Fama.

Il Trionfo della Fama, in tre capitoli, é, più che gli altri Trionfi, una congerie di nomi: sono capitani e re (tra cui Roberto d’Angiò) e donne illustri e storici e poeti e oratori e filosofi: il maggior dei quali non e più, come per Dante, Aristotele; ma Platone. Il poeta che amò tanto la gloria, e in tanti campi, dovette sentirsi in questo Trionfo ; ma anche sentì la tristezza del Tempo, il cui Trionfo viene a distruggere i nomi che la Fama levò in alto, ed a coprire d’oblio i popoli e le nazioni.

Il Trionfo del Tempo, in un capitolo, è un’alta elegia sulla fugacità dei giorni, e sul trapassare di tutte le cose: ed è animato dagli accenti più commossi e suggestivi e religiosi.

E da esso si trapassa naturalmente all’ultimo dei Trionfi, in un solo capitolo, quello della Divinità: che è un rifugio dell’uomo sbigottito in Dio, è la visione di un mondo, a differenza del nostro, stabile ed eterno. Il ricordo di Laura beata in cielo chiude l’opera.

I Trionfi sono l’espressione di quanto era stato più vivo, ed era ancora, nell’animo del poeta: l’amore, il sentimento della gloria, il terrore della morte, la religiosità; dove di tanto in tanto si hanno ancora mirabili frammenti poetici. Ma la stessa intenzione di comporre quei frammenti in un tutto organico, e l’erudizione inanimata, e la incapacità di far vivere uno solo degli innumerevoli personaggi, rendono i Trionfi troppo inferiori alle Rime: anche se in essi si leggono forse i versi più belli e più celebri del poeta, e vi si ammirano le immagini più vigorose e finite.

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