LA FAMIGLIA DELL’ANTIQUARIO – Carlo Goldoni

LA FAMIGLIA DELL’ANTIQUARIO

Commedia in prosa in tre atti composta da Carlo Goldoni.
Rappresentata al Teatro Sant’Angelo di Venezia nel carnevale del 1750
Venne pubblicata a Venezia nel I752

Personaggi

Il Conte Anselmo Terrazzani, dilettante di antichità
La Contessa Isabella, sua moglie
Il Conte Giacinto, loro figlio
Doralice, sposata al Conte Giacinto, figlia di Pantalone
Pantalone de’ Bisognosi, mercante ricco veneziano
Il Cavaliere del Bosco
Il dottore Anselmi, uomo d’età avanzata, amico della Contessa Isabella
Colombina, cameriera della Contessa Isabella
Brighella, servitore del Conte Anselmo
Arlecchino, amico, e paesano di Brighella
Pancrazio, intendente di antichità
Servitori del Conte Anselmo

ATTO I

Doralice, figlia del ricco mercante Pantalone, grazie alla dote ha salvato le disastrate finanze del conte Anselmo sposandone il figlio, Giacinto. Anselmo ricomincia a scialacquare in anticaglie, pur senza capirci un granché, al punto da venir truffato anche da Arlecchino, travestito da mercante armeno. Doralice e insofferente della suocera – la contessa Isabella, che la disprezza perché borghese e non nobile – e delle ristrettezze a cui è soggetta. Doralice, esasperata, schiaffeggia Colombina, cameriera di Isabella, il che costituisce un casus belli tra suocera e nuora.

ATTO II

Pantalone sollecita Anselmo a riprendere in mano le redini della famiglia, che ha trascurato per dedicarsi alla rovinosa passione antiquaria; lo scontro fra Isabella e Doralice, alimentato dai pettegolezzi fabbricati ad arte da Colombina, lacera i rapporti domestici. Le due donne inoltre intrattengono dei cavalier serventi, costume ritenuto da Pantalone lesivo della moralità familiare.

ATTO III

Pantalone persuade Anselmo di essere stato raggirato, dimostrandogli che Arlecchino, con la complicità del servitore Brighella, lo ha truffato. Poiché Anselmo non può gestire la situazione, Pantalone, d’accordo con Anselmo, si assume direttamente la conduzione economica e morale della famiglia in cui è entrata la figlia, cacciandone i cavalier serventi e Colombina.

COMMENTO

Il teatro di Carlo Goldoni (1707-1793) prende le mosse dal “teatro dell’arte”, nel quale il poeta è assente o emarginato, e personaggi e situazioni, nonché gergo di scena, sono in gran parte prodotto di attori di alta specializzazione professionale, ma anche per questo chiusi entro gli schemi fissi delle loro “maschere”. Ma dal teatro dell’arte, dal quale pure attinge le risorse del mestiere, Goldoni si libera ben presto per tentare l’avventura di testi integralmente scritti, che restino come opera d’arte autonoma. In questo modo nelle sue commedie maggiori è superata la limitatezza delle “commedie di carattere”, quelle, vale a dire, dei personaggi tipo, e i casi si intrecciano su uno sfondo che vuole essere resa globale e fedele della realtà quella della sua Venezia, naturalmente, dove la nuova classe mercantile sta rapidamente scalzando, con la forza del buon senso, di solidi traffici e di concreto denaro, i privilegi del vecchio mondo nobiliare in procinto di affondare nella propria inerzia.

LA FAMIGLIA DELL’ANTIQUARIO

Ad esemplificazione, tra le 120 commedie goldoniane, ho scelto alcune pagine ricavate da La suocera e la nuora, ovvero La famiglia dell’antiquario, rappresentata la prima volta a Venezia nel teatro Sant’Angelo durante il carnevale del 1750. La commedia non appartiene al gruppo ristretto dei massimi capolavori del Goldoni (La bottega del caffè, La locandiera, I rusteghi, Sior Todero Brontolon, Le smanie per la villeggiatura, Le baruffe chiozzotte, Il ventaglio); mi sembra però particolarmente significativa per vari motivi: come opera di transizione, risentendo ancora in parte della “commedia di carattere” e non rinunciando ancora alle maschere (Brighella e Arlecchino), e tuttavia brillando già fin dalla prima scena, di quella mirabile qualità del dialogo goldoniano di creare immediatamente, con poche battute, un personaggio e delineare una situazione completa; per lo sfruttamento oculato delle grandi risorse delle maschere, dei loro lazzi, dei loro giochi scenici; per la netta contrapposizione del mondo antico e nuovo, cioè della società nobiliare e borghese, qui delineata con efficacissimi tratti: che è poi tema fondamentale di questo teatro, come si è detto, e sostanza di quell’impegno morale e civile che al Goldoni é sempre stato riconosciuto e che è ragione non ultima della sua riuscita poetica.

L’intreccio della commedia è piuttosto complesso, ma si può sintetizzare brevemente: il padrone di una nobile casa veneziana, lo sciocco come Anselmo, maniaco di antichità, si fa imbrogliare dal servo Brighella e da Arlecchino e sta dilapidando la dote della nuora Doralice. Da qui l’urto violento e inconciliabile tra la giovane nuora, conscia dei propri diritti e la suocera, infatuata del proprio grado sociale, ma impotente nel dissesto economico che la minaccia. A risolvere la situazione è il padre di Doralice, Pantalone, che salva dalla rovina la casa, ma divenendone amministratore, come a dire padrone. Una parabola evidente, che in Goldoni non diventa esplicita affermazione ideologica, ma sottintende l’evoluzione sociale in atto con non minore efficacia.

Nella prima e seconda scena il conte Anselmo ha uno scambio di battute col servo Brighella; in quella che segue è imbrogliato dal servo e da Arlecchino, travestito da mercante armeno; nell’ultima è rimbrottato da Pantalone, il ricco mercante veneziano, dai principi molto concreti e i piedi ben fissi a terra.

Rimarchevole è infine la mescolanza di toscano e di dialetto veneto, comune in quasi tutto il teatro del Goldoni, chiara esigenza del suo realismo; e la battuta breve, sciolta, straordinariamente articolata, “naturale”, collaudata direttamente nel vivo della realizzazione scenica.

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