ANNA KARENINA – Lev Tolstoj

ANNA KARENINA

In casa Oblonski regnava la confusione. La principessa Dolly se ne stava chiusa nelle sue stanze e da tre giorni si rifiutava di vedere il marito; i bambini, abbandonati a se stessi, scorrazzavano per la casa,, combinando ogni sorta di malestri; l’istitutrice inglese se ne disinteressava e stava cercando un altro posto, in una casa più tranquilla.
Il principe Stefano Oblonski, unica causa di quel disastro, si chiedeva rabbiosamente come aveva potuto essere tanto stupido da permettere che Dolly scoprisse la sua scappatella.

Tuttavia, non riusciva a provare rimorso. Bell’uomo, pieno di vita e ancora giovane, univa alla leggerezza di carattere una enorme vanità e perciò non si riteneva colpevole di non essere più innamorato della moglie e di tradirla. Si era sempre immaginato, chissà perché, che Dolly, tutta presa dai suoi compiti di madre di ben sei figli, avesse ormai rinunciato alla gelosia e fosse disposta a una materna indulgenza. Dolly se l’era presa, invece, e minacciava la separazione. Non sapendo che fare, egli aveva telegrafato a sua sorella Anna Karenina perché venisse da Pietroburgo, dove abitava col marito e il figlio, per aiutarlo a riconciliarsi con sua moglie. Le due cognate erano in rapporti molto affettuosi e certo Anna, così saggia malgrado la sua giovane età, avrebbe saputo ristabilire la pace in casa.

Quella mattina Oblonski si recò al suo ufficio governativo con animo quasi lieto e lavorò fino alle due del pomeriggio con i suoi colleghi del Consiglio. Stava andandosene, quando vide venirgli incontro per le scale Costantino Levin, suo compagno e amico dall’adolescenza. Essi erano molto diversi per gusti e carattere, ma si volevano bene. Levin viveva in campagna e si occupava attivamente delle sue proprietà; era un giovane di profonda intelligenza, onesto e timido, e nell’intimo disprezzava il genere di vita condotto da Stefano Oblonski a Mosca. La leggerezza, e la vanità di Stefano lo irritavano, e talvolta il giovane non riusciva a nascondere la propria disapprovazione.
“Come mai a Mosca?” gli chiese Stefano affettuosamente.
Ma Levin arrossì fino alle orecchie e ignorò la domanda. Non poteva rispondergli: “Sono qui per chiedere la mano di tua cognata Kitty”. Tanto più che era assai incerto sul buon esito della richiesta, che rimandava ormai da due anni. Si sentiva così poco brillante, così rozzo, troppo diverso da quei bei vagheggini di Mosca che stavano intorno a Kitty.
Ma non poteva più vivere in quell’incertezza. Col coraggio della disperazione, appena ebbe saputo da Stefano dove avrebbe potuto trovare Kitty, Levin si diresse al giardino pubblico, dove di solito la principessina si recava a pattinare. Quando la giovinetta lo scorse, gli si avvicinò pattinando con grazia e sorridendogli amichevolmente Costantino Levin, contemplando il bel visino di lei arrossato dal freddo, si sentì trasportare in un mondo incantato.
“Avete intenzione di fermarvi a lungo?” disse Kitty.
“Non lo so… Dipenderà da voi” rispose Levin, con uno scatto coraggioso. Kitty finse di non udire la risposta e guardò altrove.
Quella sera stessa, Levin si recò in casa dei principi Scerbatski, per chiedere la mano della loro figlia minore. Ma la piccola principessa era convinta, da un mese, di essere innamorata del conte Vronski, un brillante e bell’ufficiale che la corteggiava. Ciò le diede il coraggio di rifiutare l’amore timido e appassionato di Costantino Levin, a cui aveva sempre voluto bene.
Molto afflitto per il rifiuto, Levin decise che non si sarebbe mai sposato e ritornò nella sua tenuta, in campagna.

* * *

La mattina seguente, Stefano Oblonski era alla stazione, in attesa di sua sorella Anna Karenina. Sulla scalinata incontrò il conte Vronski, venuto ad attendere la madre, che arrivava da Pietroburgo. Anna aveva viaggiato in compagnia della contessa Vronski, che si affrettò a presentarle il figlio. Il giovane ufficiale trovò Anna affascinante e per qualche minuto non riuscì a toglierle gli occhi di dosso.

Per molte ore, dopo che Anna si era allontanata in compagnia del fratello, Vronski ripensò a quel volto stupendo, illuminato dallo sguardo profondo dei grandi occhi grigi.

Il giorno stesso dell’arrivo di Anna, i due coniugi Oblonski si riconciliarono. La sorella di Stefano era stata un miracolo di dolcezza e di diplomazia e Dolly, come sempre, non aveva saputo resisterle.

La sera precedente alla stia partenza per Pietroburgo, la signora Karenina partecipò a un ballo in una delle case più aristocratiche di Mosca. Quando la principessina Kitty, accompagnata dalla madre, entrò nella grande sala, scorse subito Anna Karenina al centro di un gruppo molto animato, e vide con gioia che anche il conte Vronski era in quel gruppo. Il cuore di Kitty batteva a precipizio: tra poco avrebbe ballato con lui! Forse quella sera stessa egli le avrebbe dichiarato il suo amore…

Per avvicinarsi a Vronski e farsi notare da lui, la principessina andò a salutare la signora Karenina, che le rivolse un affettuoso sorriso di ammirazione: infatti quella sera Kitty era davvero un amore, l’immagine stessa della gioia di vivere.
Anna indossava un abito di velluto nero, che le lasciava scoperte le spalle e le braccia di un meraviglioso color avorio. Sui suoi capelli nerissimi spiccava una ghirlanda di nontiscordardimé, un filo di perle le ornava il collo stupendo. Kitty aveva sempre ammirato la signora Karenina, ma le sembrò di non aver mai compreso, prima di allora, il fascino della sua straordinaria bellezza.
Poco dopo Kitty vide il conte Vronski parlare ad Anna e fissarla con uno strano sguardo, che esprimeva insieme ammirazione e timore: non aveva mai visto un’espressione simile sul viso del giovane. Vide che Anna lo ascoltava con gli occhi scintillanti, il volto luminoso e sorridente. Con l’intuito degli innamorati, Kitty comprese che tra Anna Karenina e il conte Vronski stava accadendo qualcosa di strano e di terribile; forse essi non lo sapevano ancora, ma lei ne era sicura. Ne fu annientata. Non poteva competere col fascino di Anna!

* * *

Il giorno dopo, verso sera, Anna riparti per Pietroburgo. Quel viaggio, dopo qualche ora, le sembrò interminabile: era nervosa e irrequieta, ma attribuiva il suo stato d’animo all’ansia di riabbracciare il suo bambino, di ritrovarsi finalmente a casa. A una stazioncina intermedia scese sul marciapiede, per respirare l’aria gelida della notte.
La neve le turbinava intorno. A un tratto, al lume fioca di un fanale vide avvicinarsi un militare: riconobbe subito il
conte Vronski. Fu colta da una sensazione improvvisa di gioia. Non occorreva che il giovane parlasse: ella sapeva che era lì per trovarsi vicino a lei.
“Perché siete partito?” gli chiese, cercando di nascondere il proprio turbamento.
«Lo sapete” – rispose il conte – Faccio questo viaggio per trovarmi dove voi siete”.
“Basta! Basta!” esclamò Anna, mentre si sforzava invano di assumere un’espressione severa.
Spaventata da ciò che provava, frettolosamente rientrò nel suo scompartimento.
Alla stazione di Pietroburgo l’attendeva Alessio Karenin, suo marito. Di vent’anni più anziano di Anna, aveva l’aspetto austero e freddo, cosi frequente negli alti funzionari pietroburghesi.
Dopo averlo salutato, Anna gli chiese, quasi con affanno, notizie di Sergio, il loro bambino. Le pareva di essere stata a lungo lontana, in un paese pieno di pericoli, e di riportare con sé esperienze incomunicabili. Anna stimava suo marito, ma l’aveva sposato senza amore: l’aveva accettato perché portava un bel nome e occupava un’alta posizione sociale.
L’esuberanza del suo carattere aveva trovato sfogo nel sentimento appassionato, esclusivo, per il suo bimbo, al quale aveva dedicato tutta se stessa. Ma ormai qualcosa di meraviglioso e di terribile era successo: nella sua vita ordinata, regolata dal dovere, era entrato, senza che Anna lo potesse prevedere, un sentimento dal quale era difficile difendersi. In principio Anna cercò di combattere il suo amore per Vronski sforzandosi di ignorare i sentimenti che il giovane ufficiale aveva destato in lei. Riuscì a barare con se stessa, fingendo di credere a una simpatia, a una leggera infatuazione. Vronski, perdutamente innamorato, cercava tutte le occasioni per trovarsi solo con lei e poterle parlare, sia pure per qualche minuto, del suo amore. Frequentando la sua stessa cerchia di amicizie, gli era facile incontrarla in società. Umilmente le chiedeva solo “il diritto di sperare e di soffrire” e Anna non poteva o forse non voleva evitare di ascoltarlo. Cercava di guardarlo severamente, di farlo tacere, ma non vi riusciva.
Karenin non trovò nulla da ridire sull’evidente amicizia che legava Anna al conte Vronski, ma gli sembrò che in società si cominciasse a parlarne un po’ troppo. Non era geloso, tuttavia senti il dovere di mettere in guardia la moglie affinché si astenesse dalle conversazioni un po’ troppo animate con quel giovane ufficiale. Anna rideva delle apprensioni del marito. Forse si sentiva ancora abbastanza sicura di sé o forse l’amore le dava la forza di mentire con tanta sicurezza.
Ma dopo un anno di schermaglie e di inutili inganni, ella giunse al limite delle sue forze e si abbandonò.
Ma quanta vergogna e quante amarezze le costò il suo amore!
“Non possiamo continuare questa vita. – le disse un giorno Vronski – Tu soffri troppo! Devi abbandonare tuo marito; dobbiamo vivere insieme”. Anna pensava al suo bambino e piangeva: non poteva risolversi a lasciarlo. Era sicura che il marito fosse a conoscenza della sua relazione con Vronski, e lo vedeva con disgusto accettare la menzogna, il compromesso; Karenin voleva solo salvare agli occhi della società l’unione formale della famiglia. “Se mi uccidesse – pensava Anna – proverei per lui del rispetto. Ma così no, è intollerabile!”
Dopo un periodo che le sembrò eterno, in cui ella si dibatté senza saper trovare una soluzione alla sua equivoca posizione, un giorno confessò tutto al marito per costringerlo a uscire da quella soffocante atmosfera d’ipocrisia e d’inganno. Era tempo ormai di prendere una decisione: ella attendeva un bimbo di Vronski e non poteva più essere la moglie di Karenin.
La reazione di Karenin alla richiesta della moglie fu quella che Anna si aspettava: egli asserì che mai avrebbe concesso il divorzio e le ingiunse di rispettare il nome dei Karenin, rinunciando a vedere Vronski.
Anna non promise nulla. Tentò di obbedire, ma non vi riuscì: la lontananza dall’amante la rendeva pazza di gelosia e di paura. I due coniugi continuarono a vivere nella stessa casa, a incontrarsi ogni giorno, ma divennero estranei l’uno all’altra.
Dopo qualche mese nacque una bimba, che prese il nome di Karenin, e tutti la credettero figlia sua. Era una situazione assurda, che Anna non poteva assolutamente accettare. Così ella trovò il coraggio di lasciare il marito e il figlio, e andò a vivere a Mosca con Vronski e la bambina.
A Mosca, Anna trovò un buon avvocato difensore nella cognata Dolly, il cui affetto per lei non era diminuito, malgrado i recenti avvenimenti. Chi, invece, aveva delle buone ragioni per non amare Anna, era la principessina Kitty Scerbatski, sorella minore di Dolly. La cocente delusione provata quella sera al ballo, quando si era accorta dell’improvviso amore di Vronski per la signora Karenina, aveva profondamente ferito Kitty: ella non poteva certo provare simpatia per Anna. Ma negli ultimi tempi, qualcosa di meraviglioso era accaduto a Kitty: tornata da un viaggio all’estero, aveva rivisto Costantino Levin. Si erano parlati con affettuosa sincerità, e lei aveva compreso di amarlo, anzi, di averlo sempre amato, anche quando credeva di essere innamorata di Vronski. Levin, riuscito a superare il rancore per il passato rifiuto, le aveva di nuovo chiesto di sposarlo e Kitty aveva risposto di si, col cuore pieno di felicità. Erano entrambi onesti e sinceri, avevano sofferto e uscivano dalla loro esperienza pronti ad affrontare la vita in comune. Il loro, almeno, era un vero matrimonio, fondato sull’amore e sulla reciproca fiducia.

* * *

In quei giorni, Vronski e Anna si trovavano in una piccola città italiana. Avevano molto viaggiato per l’Europa e vissuto giornate di intensa felicità, nelle quali Anna era riuscita a sopportare, senza troppo soffrire, il distacco dal figlio. Ma ora, pur senza dirselo, avvertivano entrambi ,una incrinatura nella loro felicità. A Vronski, lontano dalle sue abituali occupazioni al reggimento, quella vita di perpetua vacanza era divenuta insopportabile. Quanto ad Anna, da qualche tempo non pensava che a una sola cosa: riabbracciare il suo bambino. Per la bimba avuta da Vronski ella non riusciva a sentire l’appassionata tenerezza che il piccolo Sergio aveva sempre suscitato in lei. Anzi, la presenza della bambina era per Anna un continuo, dolente richiamo all’altra sua creatura. Decisero di rientrare in Russia.

 

Il giorno del compleanno di Sergio, poco dopo il loro arrivo in Russia, Anna, pur sapendo di contraddire alla precisa volontà del marito, non seppe resistere alla tentazione di recarsi a palazzo Karenin. Sebbene un fitto velo le coprisse il viso, il portiere la riconobbe e l’accompagnò rispettosamente alla stanza del piccolo. Anna strinse finalmente il suo bimbo tra le braccia, soffocando le lacrime, quasi incapace di parlare. La loro felicità nel ritrovarsi fu immensa, ma durò soltanto pochi minuti.
Avvertita che Karenin stava salendo le scale, diretto alla camera del figlio, Anna fu costretta a fuggire. Si liberò con dolce violenza dalle braccine del bimbo, che ricadde sul guanciale, singhiozzando disperatamente e supplicandola di non lasciarlo. Poi usci quasi di corsa, accecata dalle lacrime, inseguita da quei singhiozzi infantili.

 * * *

Poiché l’alta società di Pietroburgo le aveva voltato le spalle, Anna non poteva accompagnare Vronski in nessuno posto: tutte le porte si erano chiuse in faccia all’adultera.
Lasciarono allora Pietroburgo e andarono a vivere in campagna dove Vronski si dedicò con ardore alla costruzione di un nuovo ospedale per i contadini e alla direzione dei lavori nella sua vasta tenuta. Anna lasciò trascorrere l’estate e l’autunno senza fare nulla per rendere regolare la sua posizione. Sapeva che il maggior cruccio di Vronski era quello di non poterla sposare e dare alla loro bambina il suo nome, ma il divorzio significava rinunciare a Sergio per sempre e questo pensiero era un tormento per Anna.
Ma infine il timore di perdere l’amante, di cui era diventata gelosissima, la indusse a scrivere al marito, per chiedergli di acconsentire al divorzio. In attesa della risposta, ella seguì Vronski a Mosca. Anche qui, come già a Pietroburgo, fu costretta a vivere quasi da reclusa: riceveva solo qualche amico del conte Vronski. Poiché era spesso sola,  leggeva molto, ma si sentiva insopportabilmente infelice.
Vronski, che era ricevuto ovunque ed era ancora considerato un brillante partito, si assentava per molte ore: sentiva un gran bisogno di libertà e di indipendenza. Anna diventava sempre più gelosa, piangeva davanti a lui e lo accusava di freddezza e di egoismo. Ora litigavano spesso e il giovane, pur sentendosi ancora legato a lei, diventava ogni giorno più insofferente.
Un giorno, dopo una scenata assai penosa, Vronski se ne andò irritatissimo e si recò in campagna, da sua madre. Anna fu sopraffatta da una angoscia mortale: temeva di aver perduto l’amore di lui e sapeva di non poterne accettare la pietà.  Decise di raggiungerlo dalla contessa Vronski, per dirgli che l’avrebbe lasciato libero, che sarebbe scomparsa dalla sua vita per sempre.

Scese alla stazione di Obiralovka e si mise a camminare sul marciapiede come una sonnambula: non capiva più nulla, non sapeva più perché si trovava lì e che cosa si era prefissa di fare.
Un convoglio merci si stava avvicinando. In un lampo Anna comprese perché era giunta fin lì: doveva morire. Il convoglio si avvicinava lentamente. Anna si fece il segno della croce, fissando le ruote della seconda vettura, che erano quasi alla sua altezza… e vi si gettò sotto.
“Signore, perdonatemi tutto!”: furono le sue ultime parole.

VALORE DELL’OPERA

Anna Karenina fu pubblicato a puntate sul “Messaggero Russo”, tra il 1875 e il 1877. La vicenda di Anna e Vronski destò immediatamente nel pubblico una curiosità quasi morbosa, che distolse l’attenzione dai fini morali che l’autore si proponeva. Più tardi, il libro fu definito il romanzo della vita di famiglia e se ne ammirò la costruzione perfetta, tessuta su tre temi principali, che si fondono insieme. Ogni tema è la storia di un matrimonio, studiato nello ambiente in cui essa si svolge e nelle reazioni dei protagonisti.
Nelle tre famiglie (i Karenin, gli Oblonski, i Levin), legate fra loro da stretti vincoli di parentela, Tolstoj ha voluto rappresentare l’aristocrazia russa del suo tempo.

Il romanzo è come un grande quadro, pieno di vita e di colore, in cui ogni personaggio ha una sua precisa funzione artistica e morale. Tipi e caratteri sono disegnati con arte straordinaria; ogni particolare d’ambiente è minuziosamente descritto, con un vivissime senso della realtà.
La vera protagonista del romanzo è Anna, creatura coraggiosa e appassionata, colpevole e nello stesso tempo riscattata dal tormento di avere abbandonato il suo bimbo e di aver mancato a un giuramento di fedeltà, tradendo l’uomo che aveva liberamente accettato per marito. La sua prima colpa, dovuta soprattutto alle consuetudini della società in cui vive, è di avere sposato Karenin senza amarlo.

Non si può non provare una grande compassione per. questa infelice creatura. Tuttavia Tolstoj non la assolve; anzi, la punisce crudelmente con una morte tragica. La storia dolorosa di Anna mostra chiaramente che non si può conquistare la propria felicità attraverso l’infelicità altrui, e che è inutile illudersi di poter affrontare l’isolamento morale e il rimorso senza. gravissime conseguenze.
Forse è per questi importanti valori morali che qualcuno ha detto di Anna Karenina: “Non è soltanto una grande opera d’arte: è anche una buona azione”.

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