LA CRITICA DI TOLSTOJ

“La critica di Tolstoj è originale e storicamente importante perchè esprime, con il vigore che è proprio soltanto degli artisti geniali, la trasformazione delle concezioni delle più vaste masse popolari della Russia” (Lenin).

Lev Nikolàevič Tolstoj (Jàsnaja Poljàna, 9 settembre 1828 – Astàpovo, 20 novembre 1910).

Con meraviglia che i primi recensori di Guerra e pace, educati sui romanzi di Walter Scott e Charles Dickens, pullulanti si di personaggi e scene ma al tempo stesso compatti e armonicamente costruiti, rimanessero sbalorditi o quanto meno perplessi dinanzi a un’opera profondamente nuova e innovatrice, dove episodi e figure sembrano fluire e accavallarsi senza posa e senza un’evidente connessione come in una lanterna magica, dove alla rappresentazione puramente “artistica” s’intercalano considerazioni teoriche, che s’infittiscono fino a dar corpo ai capitoli storico-filosofici dell’epilogo. Così, lamentavano con monotona insistenza i recensori, non si sa più dove finisca la ricerca storiografica e dove cominci propriamente il romanzo e viceversa; così, si spezza l’equilibrio artistico, e l’azione romanzesca, con le passioni, le sofferenze, i rapporti dei personaggi,
viene come assorbita dalla descrizione di figure e vicende storiche.

In effetti, se si continuasse a ritenere, con l’estetica di Benedetto Croce, che ogni elemento “logico”, discorsivo, intellettuale è in poesia extrartistico o “spurio” e che l’ufficio della critica consiste essenzialmente nello sceverare il grano della poesia dal loglio della non-poesia, le cosiddette “digressioni” storico-filosofiche di Guerra e pace non porrebbero al lettore alcun problema. Basterebbe ritagliarle dall’opera (e, magari, toglier via con esse quei personaggi “storici” che, come Kutuzov e Napoleone, sarebbero troppo polemicamente simbolici per esser vivi), mettendole in conto del Tolstoj (cattivo) pensatore, per abbandonarsi poi alla contemplazione intuitiva dei valori poetici, o attimi lirico-cosmici, districati ormai dalla “struttura” impoetica in cui erano come imprigionati. È questo, più o meno, il modo di lettura a cui, anche per Guerra e pace, – si è attenuta per decenni la critica idealistica estetizzante e a cui riconduce, ad esempio, un critico marxista jugoslavo, Josip Vidmar, quando scrive: “‘Sia l’Orientamento ideale [di Tolstoj] giusto o sbagliato, materialistico o idealistico, progressista o reazionario, il valore artistico dell’opera resta sempre autonomo rispetto a quest’orientamento, poichè la natura e il significato dell’arte consistono in ciò che Lenin ha chiamato “dare scene incomparabili di vita” dove l’orientamento ideale non assolve alcuna funzione sostanziale”‘. Senonchè, non solo ragioni di ordine teorico-estetico e critico, ma l’esperienza stessa e la vicenda del romanzo moderno inducono, a diffidare di una tale impostazione.
Non è lecito domandarsi, intanto, se con questo modo di lettura non si smarrisca qualcosa dell’arte stessa, della poesia di Tolstoj e se questo qualcosa non sia poi un che di ineliminabile, in quanto contribuisce a fare del mondo poetico tolstoiano ciò che esso è, condizionando dall’interno gli stessi “valori poetici” e quindi anche la loro percezione critica. E non superfluo vedere, inoltre, se a questo “gusto” per la “pura” rappresentazione immediata non sia sottesa un’esperienza in cui confluiscono paradossalmente, da un lato, le istanze della liricità pura e, dall’altro, le esigenze della poetica naturalistica, con il suo sforzo di dare senza residui un oggettivo “squarcio di vita” e di eliminare dal romanzo ogni elemento riflessivo, soggettivo, ecc. Un’esperienza che dimezza e impoverisce il “gusto”, impedendo oltre tutto di cogliere, su un piano più generale, come proprio la grande narrativa russa abbia spianato la strada a una letteratura “di idee”, dove nella struttura stessa della rappresentazione si inseriscono modi e
forme saggistici, di carattere storico, psicologico, religioso, filosofico, ecc.
Non è un caso che Tolstoj, in una specie di poscritto alla sua opera, affermi: “Che cos’è Guerra e pace? Non è un romanzo, meno ancora un poema, meno che mai una cronaca storica. Guerra e pace è ciò che l’autore ha voluto e potuto esprimere nella forma in cui l’ha espresso”. E poco più oltre, dopo aver accennato alla propria noncuranza per le forme convenzionali del genere narrativo, dichiara: “Nel nuovo periodo della letteratura russa non c’è una sola opera d’arte in prosa un po’ fuori della mediocrità che si sia interamente calata nella forma del romanzo, del poema o della novella”.
Ed è pur significativo che in un abbozzo dell’epilogo, in cui giustifica per i lettori il ricorso all’enunciazione dei suoi principi storico-filosofici, Tolstoj dica che forse sarebbe stato meglio non indicare tali principi, ma che comunque, “se non vi fossero stati questi ragionamenti, non vi sarebbero state nemmeno le descrizioni” (cioè le scene incomparabili di vita, ecc.).
Né qui si tratta soltanto di una “esposizione, fervida e lampeggiante d’immagini, della poetica tolstoiana”, come ha scritto Leone Ginzburg, in quanto proprio da questi ragionamenti storico-filosofici si sprigiona l’atmosfera intellettuale e morale che dà unità di tono a tutta l’opera ed essi racchiudono altresì quel nucleo ideale che mette in moto la problematica complessa, ricca cioè di idee concrete e non di nudi schemi, di Guerra e pace, dando organicità e coerenza, infondendo una dilatazione prospettica e simbolica ai personaggi e alle vicende dell’epopea. Appunto perchè a questi ragionamenti fanno capo tutti i nodi ideali dell’opera (dall’ottimismo sociale, come amore per la vita in tutte le sue innumerevoli e inesauribili manifestazioni, alla ricerca di un equilibrio tra necessità e libertà nella storia e nell’esistenza individuale; dalla negazione di ogni efficacia all’intervento storico arbitrario dei “grandi uomini” alla scoperta della funzione storica decisiva del popolo; dalla denuncia del napoleonismo, come incarnazione dell’individualismo e fonte di divisione degli uomini, alla ricerca di una unità positiva nell’azione storica collettiva, alla scoperta che la storia non si pone in antitesi alla vita privata ma da essa scaturisce come risultante del flusso contraddittorio degli innumerevoli atti e destini umani, ecc. ecc.), appunto perché ad essi si riconnettono tutti i problemi strutturali del testo (dalla forma compositiva, che respinge ogni sorta di intreccio e scioglimento e salda organicamente i diversi piani narrativi, all’intima connessione tra personaggi storici e personaggi d’invenzione, tra le singole storie individuali e i conflitti storico-sociali, dalla struttura del personaggio come centro di princìpi e possibilità contraddittorie all’analisi microscopica, alla carica simbolica delle situazioni e figure, ecc., ecc.), appunto perché le idee che circolano in questi ragionamenti  sostanziano di sé il tessuto artistico dell’opera, le cosiddette digressioni risultano indispensabili al costituirsi della poesia e sono pertanto esse stesse poesia.

Ma questo è solo un aspetto del problema. Le idee di Tolstoj sulla storia e sulla vita, pur subendo mutamenti anche sostanziali nei vari periodi di attività dello scrittore e richiedendo perciò un esame puntuale in relazione alle singole opere, sono caratterizzate in generale da un confluire di motivi e atteggiamenti di varia natura, in cui assumono talora grande rilievo posizioni apertamente romantiche e utopistiche, misticheggianti e reazionarie (ad esempio, in Guerra e pace il fatalismo deterministico della necessità storica, la relativa negazione dell’azione storica consapevole, ecc.). Di fronte a questa situazione si pone schematicamente la seguente alternativa: o mostrare, secondo i rozzi dettami della sociologia volgare, che Tolstoj è il “cantore della nobiltà” e che la sua arte ha fine con la caduta stessa del mondo borghese, ma rinunciare così anche solo a porsi criticamente il problema di Tolstoj; o mostrare invece, con Plechanov e poi via via, in forme sempre più scaltrite, con Lunačarskij, Lukacs e la critica sovietica nel suo complesso, che in Tolstoj il grande artista progressivo si oppone al debole pensatore reazionario e che in lui (come già in Balzac) si opera il “trionfo del realismo”, cioè il pieno e onesto rispecchiamento dei fatti e rapporti reali della vita, il superamento di ogni pregiudizio utopistico e reazionario, la rottura degli angusti limiti della sua concezione ideale consapevole. “Per il processo creativo artistico – scrive Lukacs – è caratteristico che il risultato può fissarsi e prender forma nell’opera in modo da contraddire i pregiudizi o anche la concezione del mondo dell’artista… La sensibilità dello spirito d’osservazione, la fantasia spontanea, ecc. permettono di creare forme e fanno sorgere situazioni la cui propria logica interna sorpassa i pregiudizi della personalità particolare, entra in conflitto con essi”.

Si può qui apprezzare lo sforzo di reagire al primitivismo della sociologia volgare; ma non si possono nascondere le serie difficoltà in cui s’imbatte per questa via un’estetica ispirata al marxismo: se infatti le idee possono a volte operare positivamente (quando siano progressiste”, “vere”) e devono a volte essere contraddette e superate (quando siano “reazionarie”, “false”) per dar vita a figure e scene poeticamente vive, questo significa che esse non assolvono una funzione attiva, determinante nell’opera d’arte, questo significa che esse, ma con esse a rigore la realtà sociale, la storia, ecc., sono un semplice antecedente, trasceso e dissolto nel mondo dell’immediatezza sensibile, questo significa che «in poesia l’elemento essenziale non va cercato anche nell’ideologia, nella concezione del mondo, ma soltanto nella fedeltà all’immediatezza artistica, nelle “scene incomparabili di vita”, nella fantasia o intuizione (come si è visto, più sopra, a proposito dell’interpretazione idealistica di Guerra e pace).

Ora, se non andiamo errati, il discorso svolto da Lenin nei fondamentali articoli su Tolstoj è orientato in tutt’altra direzione e ci aiuta a intravedere il superamento dell’alternativa indicata prima e la possibile soluzione del problema. Senza dubbio, l’interpretazione di Lenin si oppone, per un verso, al sociologismo volgare, che identifica le tendenze ideali con la “psicologia” della classe da cui uno scrittore proviene per nascita, e, per l’altro verso, alla storiografia letteraria idealistica, che ignora del tutto la natura classista, sovrastrutturale, delle concezioni del mondo. Pertanto, il suo primo obiettivo è di mostrare come l’arte e il pensiero di Tolstoj non siano collegati con le concezioni della nobiltà terriera, ma invece, essenzialmente, con le vedute e le aspirazioni delle masse contadine: “”Per nascita e per educazione Tolstoj apparteneva all’alta nobiltà fondiaria russa: egli ruppe con tutte le opinioni abitudinarie di quest’ambiente sociale… La critica di Tolstoj è originale e storicamente importante perché esprime, con il vigore che è proprio soltanto degli artisti geniali, la trasformazione delle concezioni delle più vaste masse popolari della Russia… La critica tolstoiana si distingue per tale forza di sentimento, per tale passione, capacità di persuasione, freschezza, sincerità e coraggio nel desiderio di “giungere alla radice delle cose”, di scoprire la ragione reale delle sofferenze delle masse, proprio perché riflette effettivamente la svolta prodottasi nelle concezioni di milioni di contadini che sono appena venuti alla libertà dal giogo del servaggio… Tolstoj riflette i loro umori così fedelmente da introdurre nella sua dottrina la loro ingenuità, la loro estraneazione dalla politica, il loro misticismo, il desiderio di evadere dal mondo, la “non resistenza al male”, le impotenti maledizioni contro il capitalismo e il “potere del denaro”. Nella dottrina di Tolstoj si fondono la protesta di milioni di contadini e la loro disperazione””.

La scoperta di questo nesso è alla radice dell’interpretazione leniniana e la percorre tutta: Lenin dice che la concezione tolstoiana del mondo è intimamente contraddittoria, che queste contraddizioni sono stridenti, che in lui la “ragione” si associa con i “pregiudizi”, e chiarisce bene la natura e la portata di questo intimo contrasto. “”Tolstoj – egli scrive -, è originale perché l’insieme delle sue vedute, prese come un tutto, esprime le peculiarità della nostra rivoluzione, in quanto rivoluzione borghese contadina, le sue contraddizioni sono il riflesso delle condizioni in sommo grado complesse e contraddittorie, degli influssi sociali, delle tradizioni storiche, che determinarono la psicologia delle diverse classi e dei diversi strati della società russa nell’epoca posteriore alla riforma (cioè all’emancipazione dei contadini del 1861) ma anteriore alla rivoluzione”.

Come si vede, le contraddizioni caratterizzano tutta l’opera (artistica e pubblicistica), di Tolstoj nel suo complesso, e quindi, da un lato, non è possibile contrapporre il filosofo all’artista, l’utopista reazionario (e i suoi ” ragionamenti”) alle “scene incomparabili di vita”. Ma, dall’altro lato, proprio perché  l’insieme delle vedute di Tolstoj esprime le peculiarità della rivoluzione russa, cioè le contraddizioni reali, storiche, della rivoluzione borghese contadina, è ancor meno possibile dissociate in lui la “ragione” dai “pregiudizi” o, peggio, identificare la poesia, i risultati artistici, con i presunti aspetti “progressisti” della sua concezione e la non-poesia con quelli “reazionari. Così, per Lenin, la verità artistica conseguita da Tolstoj non sta in antitesi, ma in intima connessione con l’ideologia utopistico-reazionaria dello scrittore, la quale non è, beninteso, l’arido schema ideologico rintracciabile in tanti suoi seguaci e imitatori, ma un insieme assai articolato e complesso di idee concrete, storicamente determinate, di idee politiche, religiose, morali, ecc. (In tal senso, il metodo critico non può consistere nel respingere o nell’accettare astrattamente il mondo ideale dell’opera d’arte, ma deve consistere nell’accettare storicamente con quale profondità e complessità e relativa coerenza queste idee – “vere” o “false” che siano – prendano corpo in un discorso semanticamente organico, cioè poetico, e i difetti artistici sono da ricercare, ad esempio, là dove queste idee restano nudi schemi, incapaci di dare unità e coerenza alla materia fantastica, tendendo perciò al concettismo). Si può allora affermare che il carattere “progressista” della grande narrativa tolstoiana non è da individuare in alcuni lati della visione del mondo di Tolstoj, ma soltanto nel contenuto di verità, storicamente relativa, che essa riesce a darci, anche in virtù di quelle idee, con i suoi mezzi specifici, artistici, e che Tolstoj è un grande artista non a dispetto delle sue simpatie ideologiche e nemmeno perchè nel corso della creazione poetica critichi e superi i propri “pregiudizi”, ma solo perché è pur sempre un grande pensatore, anche se scopre ed esprime la sua verità in modi che non è lecito scambiare con quelli di un filosofo o, di uno storico.

Lev Tolstoj in un dipinto di Michail Vasil’evič Nesterov

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