GUERRA E PACE – Lev Tolstoj

GUERRA E PACE

Lev Tolstoj

Introduzione

Lev Tolstoj terminò nel 1869 il grandioso lavoro di creazione e scrittura di GUERRA E PACE, il cui germe risaliva al 1856. Lavoro che fu di ripensamenti, rifacimenti, correzioni senza fine. Qual è interesse di fondo di un lettore italiano come me per GUERRA E PACE? Lascio da parte il problema dell’interesse per la dimensione letteraria, che oggi potrebbe apparire in declino, per cui è necessario escogitare letture sempre più nuove e attuali. Proprio per vincere questa nuova “barbarie”. Per un giovane russo dei nostri giorni il discorso è diverso: egli si ritrova immediatamente nel mondo e nei personaggi di GUERRA E PACE, e il punto di riferimento è l’umanità, la ricerca umana dei personaggi, attraverso l’amor di patria, il senso della Russia.

Recensione

Tolstoj, con la descrizione, l’evocazione poetica della lotta contro gli invasori napoleonici ha esaltato questo patriottismo. Se però si fosse limitato a questo, avrebbe scritto un’opera certo non universale, un’opera, per così dire provinciale, come i romanzi romantico-nazionalisti, romantico-patriottici, di uno Zagoskin. Invece egli, pur esaltando il patriottismo autentico dei russi, ne fa un motivo più profondo, più ampio. In realtà, il serenissimo Kutuzov quando combatte, a suo modo, contro Napoleone, non è, nel romanzo, solo un personaggio fantastico di cui il vero Kutuzov storico è il prototipo: è anche il personaggio simbolico, una specie di “divinità russa” autoctona. I soldati-contadini, e i nobili autenticamente russi, come il principe Andrei, o anche Pierre, si ritrovano in lui. Lo “sentono”. L’intuizione di Tolstoj è proprio questa. Non so se esisteranno ancora queste nazioni tra mille anni. Oggi esiste la nazione russa, che si ritrova nella nazione russa di ieri (faccio delle constatazioni). GUERRA E PACE è un romanzo popolare scritto da un nobile (di antica nobiltà) che idealizza una parte di nobiltà, “patriottica”, in quanto è legata al popolo-contadino. Il “legame” è più sentimentale che reale; ma parte di questa nobiltà soffre un autentico travaglio, proprio per trasformare in realtà questo impulso generoso (Pierre, Andrei).
GUERRA E PACE, dunque, appartiene a quel grande filone narrativo che in Italia non è quasi esistito. Dei “romanzi popolari” ha alcuni aspetti, come il motivo della punizione del malvagio (Napoleone, Anatolij Kuragin), ma su un piano estremamente complesso. In questo senso GUERRA E PACE può sempre trovare dei lettori a un livello immediato. Tuttavia la quantità dei problemi, di situazioni, di personaggi (sono oltre 650) fa sì che nel romanzo anche un giovane italiano possa ritrovarsi, purché abbia quel minimo di umiltà (che manca troppo spesso nel nord) di “accettare”, sia pur come ipotesi, inizialmente, il romanzo stesso.
Ho accennato prima al tema patriottico. Tolstoj lo sente rettamente (poi, nella sua produzione successiva, il suo universalismo cristiano, la sua teoria della non resistenza al male con la violenza, e la sua teoria, più generalmente, della non violenza, lo porteranno su posizioni ben diverse, almeno programmaticamente, non più nazionali, ma universali; la sua “rusticità”, per altro, sarà presente e ben viva fino all’ultima pagina delle sue opere). Questo sentimento fa velo a Tolstoj, per esempio, per ciò che si riferisce ai giudizi, non tanto su Napoleone, quanto su ciò che “portava” Napoleone. Ci interessa meno ora l’odio dello scrittore per l’imperatore francese, il gusto con cui descrive la sua meschinità d’animo, la sua vanità; questa caratterizzazione dell’imperatore si poneva in antitesi letteraria con il “personaggio” Napoleone quale fu “divulgato” dalla letteratura romantica (dalla Russia all’Italia potremmo fare un lungo elenco di opere, di poesie specialmente, di esaltazione del “genio” dell’imperatore, al quale la morte e la trasfigurazione letteraria avevano tolto ogni meschinità quotidiana). In realtà Tolstoj compie un’altra deformazione, negativa.


Napoleone Bonaparte
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La critica ha voluto dire che il Napoleone di Tolstoj è, insieme, Napoleone I e Napoleone III, e che, in genere, Tolstoj ha “modernizzato” il suo tema, le sue situazioni. Questa tesi è stata recentemente ridimensionata: Tolstoj cerca di restare fedele al momento storico narrato; il suo Napoleone è il Napoleone I: la deformazione è in parte dovuta al punto di vista dei suoi personaggi russi (Napoleone per loro è il nemico; per Nikolaj Rostov è il nemico numero uno, come per Pierre: non è un personaggio della storia). In parte è dovuta alla concezione della storia di Tolstoj (ampiamente esposta, fra l’altro, nell’EPILOGO del romanzo), per cui i condottieri, coloro che fanno la storia per la loro virtù individuale, non esistono. La storia è frutto della oscura attività delle masse, attività incontrollabile e imprevedibile come quella delle forze naturali. In questo senso vero condottiero è colui che asseconda il moto dei popoli, come Kutuzov, non colui che, come Napoleone, si illude di dirigere, di guidare. Ma c’è forse anche un altro motivo: nella letteratura europea, e russa, dell’Ottocento uno dei temi di fondo è il tema del “napoleonismo”. Di Napoleonici ce ne sono molti. Da Sorel a Raskol’nikov. Ora, il tema del “napoleonismo” è legato al tema della potenza e del potere (demoniaci per Tolstoj), e al tema del denaro (altrettanto demoniaco). In questo senso anche Napoleone (il Napoleone di Tolstoj) è una figura simbolica, l’emblema di un vizio o di un insieme di vizi. La negatività di Napoleone personaggio è poi potenziata dal suo essere occidentale: qui Tolstoj è altrettanto “slavofilo” degli “slavofili”. La Russia è contro Napoleone perché Napoleone è lo straniero, l’eretico (cattolico) venuto dalla corrotta e corruttrice Europa, per soggiogare il popolo ortodosso.

Con questa caratterizzazione e deformazione, Tolstoj parrebbe non vedere altre cose: che la Santa Russia era un paese dove certe idee e certe leggi, portate dalla Rivoluzione Francese e anche da Napoleone (a parte altre considerazioni e a parte la sua vanità personale di essere “imperatore”), dove certe leggi, dicevo, moderne, più giuste, se le sognavano. Dove esisteva ancora la servitù della gleba, e il concetto di “cittadino” era un sogno utopistico di alcuni perseguitati scrittori. Eppure Tolstoj vede, in un certo senso, tutto, e capisce anche che i russi, combattendo contro Napoleone avevano contemporaneamente ragione e torto.


Natascia Rostova
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Avevano ragione, perché Napoleone era effettivamente il nemico del popolo ortodosso, lo straniero (e quindi offendeva un sentimento patriottico, istintivo), era l’invasore, colui che violava la sacra terra, che offendeva la memoria degli avi, e le icone dei santi russi. Non per niente i veri nemici di Napoleone, i veri patrioti sono non tanto i nobili infranciositi, quanto, appunto, il popolo contadino e i nobili che hanno profonde radici nel mondo contadino, nella terra russa.

Hélène è un personaggio negativo, anche perché sradicata: e il suo sradicamento morale è collegato con la perdita, per così dire, della sua rusticità. Eppure i russi hanno torto, specialmente i contadini: non per nulla gli astuti francesi mandano in giro manifestini allettanti, in cui promettono ai contadini-servi quello che i contadini-servi sognano da secoli, la liberazione. Per questo, parecchi gruppi di contadini si mettono con i francesi, o si ribellano ai loro padroni: per esempio i contadini del principe Andrei, per cui si trova in difficoltà la buona e rutta principessa Maria. Tolstoj, sia pure con contenuti diversi, esprime il “senso” del popolo russo, la sua realtà, il suo distacco, anche, dalle astratte posizioni dei nobili decabristi (qualcosa di analogo si verificò poi a proposito di non pochi populisti, con il loro linguaggio incomprensibile e astratto).
Certamente, questo popolo russo assume un valore in parte mistico, è presentato in un’inquadratura di tipo religioso (il popolo russo, in sostanza, è il portatore di Cristo tanto per Tolstoj quanto per Dostoevskij): non per nulla l’estetica di Tolstoj era fondata sull’accettazione immediata dell’arte da parte del popolo, e quindi sul rifiuto dell’arte di élite (come quella del decadentismo); non per nulla, per Tolstoj, il processo di degenerazione dell’arte ha inizio con il Rinascimento, vale a dire con la fine del Medio Evo, cioè con la fine del periodo (idealizzato naturalmente) dell’unità del popolo cristiano. Nel suo fondamentale libro IL ROMANZO STORICO, il Lukàcs tratta egregiamente questo problema della presenza del popolo in Tolstoj…


Andrej Bolkonskij
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“Il suo [di Tolstoj] modo di presentare il mondo “alto” degli stati maggiori, della corte, del paese ecc. rispecchia la differenza e l’odio del semplice contadino o del soldato. Ma Tolstoj descrive tuttavia anche il mondo “alto” e dà quindi all’odio e alla diffidenza del popolo un oggetto concreto e visibile. Solo che questa differenza non è semplicemente esteriore e schematica. Poiché la concreta esistenza dell’oggetto odiato introduce, di per se stessa, una varietà di gradi, una maggiore intensità, una passione nella descrizione dei sentimenti del popolo verso questo mondo “alto”. Ma con questo modo di rappresentazione artistica Tolstoj non ottiene soltanto una maggiore differenziazione, bensì anche un’articolazione di tipo affatto diverso. Essa non rappresenta affatto un problema espressivo puramente artistico, ma, al contrario, nasce proprio dall’arricchirsi e dal concretizzarsi del contenuto storico sociale. Tolstoj descrive con grande maestria il risvegliarsi del sentimento nazionale del popolo durante la campagna del 1812. Prima le masse popolari erano soltanto inconsapevole carne da cannone per i fini di rapina dello varismo. Di conseguenza, per esse, lo scopo e l’esito della guerra erano del tutto indifferenti… Con la ritirata dell’esercito russo verso Mosca, e soprattutto con la caduta e l’incendio della città, cambia la situazione storica oggettiva, e cambiano, con essa, anche i sentimenti del popolo: Tolstoj descrive questa maniera, facendo sempre anche notare come grandi parti della vita popolare, sotto il dominio zarista, non siano toccate, oggettivamente e soggettivamente, dal destino della patria. Ma la svolta ha tuttavia luogo. E Tolstoj le conferisce un’espressione chiara ed efficace mostrando come Kutuzov, sorretto dalla fiducia del popolo, venga nominato comandante in campo contro la volontà dello zar e della corte”.



Quando la guerra di difesa finisce, continua Lukàcs (del resto un po’ schematicamente) Kutuzov “crolla esteriormente ed interiormente”, in quanto la sua missione di difendere la patria “come rappresentante della volontà popolare è finita”. Queste parole di Lukàcs (su molti suoi giudizi a proposito di Tolstoj si può, naturalmente, non essere d’accordo) mi sembra diano una chiara testimonianza dell’indubbia coscienza del “popolo russo”, da parte di Tolstoj al tempo di GUERRA E PACE. In seguito tale coscienza si sarebbe maggiormente definita e specificata, nel senso di una identificazione del popolo russo con il popolo cristiano. Per altro devo ribadire: il popolo russo, difendendo la propria terra dai francesi, respingeva, sì, il nemico ma, nello stesso tempo, ribadiva le proprie secolari catene di servitù. Tuttavia questa contraddizione di fondo non era sentita dal contadino russo (se non in parte, dai contadini più occidentali, venuti per primi a contatto con i francesi, attraverso la Polonia).


Lev Tolstoj
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Tolstoj probabilmente sperava in una “restaurazione” della società cristiana da lui idealizzata, nella realizzazione dell’unità tra lo zar e il popolo nel nome della “verità” e della “luce”: è però significativa la delusione di Nikolaj Rostov, che, per molti aspetti, è un personaggio molto significativo. Nikolaj Rostov è un nobile animato in gioventù di sacro amore per lo zar e la patria, combatte, cerca la gloria (in modo meno distaccato e più goffo, ovviamente, del modo austero e amaro del principe Andrei); la delusione di Nikolaj è di tipo diverso dalla delusione di Andrej; la delusione di Andrej è scontata, ha i caratteri dell'”infinito”, che non può essere la delusione di Nikolaj, per la stessa limitatezza della sua anima. Pure Nikolaj Rostov intuisce e capisce molte cose; preferisce solo non parlarne. Preferisce rifugiarsi nell’obbedienza: sappiamo che se il nobile Nikolaj Rostov, sposo di Marija Bolkonskaja, ricevesse l’ordine di arrestare suo cognato Pierre, lo farebbe. Lo farebbe, pur pensando, in fondo al suo cuore, che il ministro Arakceev è quello che è, lo farebbe a un livello immediato, perché come ufficiale, deve ubbidire, e un Rostov non può discutere gli ordini. A un livello più profondo lo farebbe perché da Pierre viene l’inquietudine, l’inquietudine non solo politica, ma esistenziale, che Nikolaj respinge. Il piccolo Nikolen’ka che sogna leggendo Plutarco (allora si usava così), e immagina il padre, il principe Andrej, redivivo, e lo zio Pierre, alla testa degli insorti, sa anche che contro di loro, alla testa delle truppe, si sarebbe trovato proprio l’altro suo zio Nikolaj Rostov.

In GUERRA E PACE i problemi sono vissuti direttamente dai personaggi, ai quali si aggiunge l’autore, e si aggiungono gli scrittori e i teorici citati: si tratta di “punti di vista” diversi, il che dà all’opera una straordinaria mobilità. Poche opere sono così ricche e varie, così profonde, con tanti passaggi ai più diversi livelli (lo studio degli “episodi” e della loro complessità dà risultati di un’incredibile ricchezza “musicale”). C’è un principio unificatore, che è poetico, naturalmente, perché regge l’intera costruzione, ma che ha le sue radici in una convinzione complessa e profonda: il senso della Russia, il senso del popolo russo-cristiano, la speranza di una realtà armoniosa, si fondono con il ricordo idealizzato della famiglia patriarcale nobile (quella autentica, quella dei Bolkonskij, quella dei Rostov, la seconda, vera, famiglia di Pierre, ovviamente, non quella dei Kuragin, i “cattivi” del poema epico, i “maganzesi”, come il principe Basilio ed Hélène).
Questa “memoria” illumina il primo libro, per esempio, con le scene degli adolescenti e dei loro primi amori; illumina, nel secondo libro, la celebre “danza russa” di Natascia Rostova, che è una realizzazione dell’armonia sentita come unità con ilo popolo russo, come superamento autentico e istintivo, da parte della contessina, dell'”educazione straniera”: superamento che la rende vicina allo zio, che la ospita, durante la caccia, e alla governante-amante dello zio, Anissja Fjodorovna. Illumina, nel terzo libro, la battaglia di Borodino.


Battaglia di Borodino
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Dobbiamo, naturalmente, considerare tutto quello che è “Guerra” e “Pace”, cioè GUERRA E PACE in quanto romanzo, in quanto successione organizzata di parole e di pagine, non come un trattato, ma come romanzo: ‘illusione fortissima di realtà nasce dall’arte di Tolstoj, e l’arte di Tolstoj nasce dalla sua interiore sincerità, dal fatto che egli crede in una serie di valori e li vede faticosamente (o spontaneamente, naturalmente) realizzarsi nei suoi personaggi positivi. In questo senso la storia di Pierre è esemplare come “modello” di biografia (in parte di autobiografia) spirituale. Ma tutto questo mondo, vicino a noi per l’umanità profonda che lo pervade (oltre i costumi, la lingua, la storia), risulta per noi vitale e da noi affermato, proprio grazie al magistero artistico, che fa di Tolstoj uno dei punti di culminazione della storia civile dell’umanità.

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