SARDEGNA COME INFANZIA (Is launeddas) – Elio Vittorini – Andreas Fridolin Weis Bentzon

Sardegna come un’infanzia di Elio Vittorini. Lui, come si sa, è morto. Ma la Sardegna rimane, così come rimangono le parole da lui scritte su quest’isola barbara, mitica, con solitudini grandi, con un paesaggio che sembra di una immobilità tremenda. Un ricordo, giusto come un’infanzia. Ecco allora il perché di questo disco.
Di questo disco della serie Gli uomini le opere i giorni degli un po’ trascurati in rubrica Dischi del Sole. Il titolo è intraducibile. È questo: is launeddas, e si tratta della ricerca su uno strumento musicale sardo condotta da Andreas Fridolin Weis Bentzon, come dire, sul campo. Lì, cioè in Sardegna. (Le launeddas sono uno strumento musicale a fiato policalamo ad ancia battente, originario della Sardegna. È uno strumento di origini antichissime in grado di produrre polifonia, è suonato con la tecnica della respirazione circolare ed è costruito utilizzando diversi tipi di canne).

Andreas Fridolin Weis Bentzon, giovanotto di Copenaghen, dal lungo cognome, e anche lui un ricordo. Una vita breve, dal 1936 al 1971. Era un etnologo. Nel 1957 e nel 1958, quindi ancora nel 1962 passò mesi nell’isola, per capire una civiltà e un costume. E un suono: quello appunto delle launeddas che sono poi degli strumenti a fiato, molto compositi nella loro apparente semplicità e vengono costruiti dal pastori, dai contadini. Dalla gente dal viso largo e gentile, dal saluto pronto e mai servile, che abita la montagna, la campagna, i pascoli della Sardegna. Persone che conoscono il silenzio. Lo sopportano da sempre. Fa parte della loro vita e del loro essere.

Ogni tanto questo silenzio ha bisogno non solo delle parole ma anche del suono. Della magia, della musica. Ecco allora che vengono costruite is launeddas, tre canne da suonarsi contemporaneamente, applicandovi una tecnica del fiato che è tutta sarda. Tutta loro, di quelli dal viso largo e dagli occhi che sorridono.

E poi via. Accanto al fuoco, mentre brucia la pecora, lentamente, mentre il porcellino tagliato a quarti si arrostisce, mentre attorno corre il vino rosso bevuto nei piccoli bicchieri, l’uomo suona per gli amici e i compagni venuti da altri pascoli, da altri paesi, da altre montagne. Si suona per il ballo, si canta e si fanno le serenate, nel grande viaggiare della luna, aspettando il primo sole, in attesa del freddo del giorno nuovo.

Suoni e canti che hanno una tradizione che è difficile datare. impossibile. Così com’è impossibile, che so, dare un’età alla Sardegna, alla sua storia e alla sua poesia. Quindi alla sua lingua. Suoni di parole che hanno sveltezza dolce, tono quieto che ogni tanto diventa stridulo. Musica che sta all’ambiente, al fico d’india, alla capra, alla strada bianca dei pastori.

Una ricerca, quella del ragazzo venuto da Copenaghen, che vuol dire anche amore per una terra e per una civiltà spesso fraintesa, mal capita. Una ricerca interrotta da un morire. Rimane questo disco bellissimo, come documento e come testimonianza. Ci racconta nel suo andare da trentatré giri, la bellezza e la memoria. Ci dice antiche storie e parole, con’u1na musica che solo li può nascere, in quella Sardegna che e mito dell’infanzia, e che ha una sua dimensione di solitudine.

Andreas Fridolin Weis Bentzon

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