ELIO VITTORINI

 

Elio Vittorini (Siracusa, 23 luglio 1908 – Milano, 12 febbraio 1966) è stato uno scrittore italiano: a solo 58 anni è scomparso uno degli uomini più rappresentativi, più avanzati, della moderna cultura letteraria italiana.
Tutto è stato detto dell’uomo (la squallida infanzia, la giovinezza poverissima, l’attivo antifascismo che gli fece conoscere il carcere) dello scrittore (che lega il suo nome a non pochi titoli e soprattutto a quello del romanzo Conversazione in Sicilia) dell’animatore di cultura (che iniziò questa attività con quell’antologia Americana fatta sequestrare dalla censura fascista) del suscitatore di giovani energie (dal Politecnico alle collane da lui dirette, al Menabò: e non vorrei ripetere cose già dette.

Tra i fondamenti della letteratura era per lui, oltre la fede nella parola, il piacere di scrivere.
“Riuscire a scrivere, egli ha detto, è certo riuscire ad avere il piacere di scrivere. E’ non avere diffidenze col proprio scrivere. E’ non avere da preoccuparsi di fare i conti e fare il ragioniere con le cose di cui si scrive. E’ potersi abbandonare alla cosa che si ha dentro, e a tutto il suo sole, ma insieme a tutta la sua ombra. Non dico, naturalmente che il segreto di scrivere consista nel procurarsi le condizioni per scrivere con piacere. Si tratta di un problema un po’ più complicato. Si tratta anche di intendersi sulla parola “piacere”.
Per Vittorini, “un libro non è soltanto mio o tuo, nè rappresenta solo il mio contributo alla verità, il mio sforzo di ricerca della verità e la mia capacità di realizzazione letteraria”; un libro, dunque, non appartiene, per Vittorini a chi lo ha scritto;… “… eppure appartiene. A chi appartiene? Alla società alla quale io appartengo; alla generazione alla quale io appartengo. Anche dove sono mio e il mio libro è mio, dove il mio libro è diventato realtà letteraria io appartengo alla mia società e alla mia generazione. Ma dove non sono mio, e il mio libro non è diventato realtà letteraria (e la mia ricerca di verità non è diventata verità letteraria), un libro è come se fosse stato scritto impersonalmente, da tutti coloro che hanno avuto o conosciuto o comunque sfiorato la mia stessa esperienza, vale a dire è è un documento”.
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Di quell’Americana con cui egli aprì un discorso nuovo per il nostro Paese, così scrisse Giaime Pintor:
“Un libro conta sempre per quello che non si propone, per quel margine di imprevisto che contiene in sè come una riserva di energia e di vigore. Così l’antologia di Vittorini, Americana, apparsa in una raccolta di opere di carattere divulgativo e facile a confondersi in una nozione critica comune. Quando si parla di narrativa tedesca o di teatro religioso si allude a un’unità scolastica, a un pretesto di cultura. Ma il libro di cui vogliamo parlare conta per un significato diverso: vale come il messaggio disinvolto di un popolo a chi è lontano dalle sue rive e la risposta orgogliosa dell’America ai problemi del mondo nuovo. Questa è stata almeno la riuscita di Vittorini e su questa riuscita polemica si può iniziare un discorso più vivo di quello che spetterebbe a una semplice antologia di testi.
Americana: la brevità del nome suggella la ricchezza delle intenzioni, evoca la fantasia dei viaggiatori piuttosto che lo studio dei filologi”.
Accennando alla generazione sua contemporanea degli americani che ha fatto dei suoi mezzi di espressione, dei suoi film e dei suoi libri un’arma di guerra totale. Pintor scrive:
“Come in ogni vero rivolgimento letterario, i nomi che contano fra gli scrittori americani d’oggi,
Hemingway, Faulkner, Saroyan sono soprattutto gli inventori di uno stile; ma il loro è uno stile sotto cui è ancora fresca la materia terrestre, che deve la sua pienezza alla presenza di nuovi oggetti: di nuove macchine e di nuove case, di nuove relazioni fra gli uomini. Sentire questo assoluto privilegio, non è ancora esaurire il compito del mitico, ma è la prima condizione per non fraintendere lo sforzo che un popolo e una generazione fanno per esprimersi. E questa consapevolezza si trova nelle note che Vittorini ha anteposto a ogni gruppo di scrittori.
Libere da ogni influsso scolastico, sorrette da una fantasia rigorosa e sicura, esse sono uno dei più notevoli esempi di storia letteraria vissuta da uno scrittore; certo più vicine a esempi classici, come L’Allemagne della Staél o Die romantische Schule di Heine, che al consueto lavoro dei critici di mestiere.
Il fatto che Vittorini abbia scritto queste pagine qualche mese dopo Conversazioni in Sicilia prova quale forza egli sia per la nostra cultura; come il suo nome abbia già varcato i limiti di una viva amicizia per iscriversi in una storia più duratura e profonda”.
L’insegnamento di Vittorini lascia una traccia durevole nella storia del progresso culturale italiano.
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