OPERETTE MORALI – Giacomo Leopardi

OPERETTE MORALI

Giacomo Leopardi

Introduzione

Milano, 1827. Escono I PROMESSI SPOSI di Alessandro Manzoni e le OPERETTE MORALI di Giacomo Leopardi. La coincidenza è, naturalmente, soltanto estrinseca. Essa ci suggerisce, tuttavia, alcune considerazioni. Con il grande romanzo manzoniano, il romanticismo milanese (e italiano) dava il suo frutto più maturo: ormai staccato dalle polemiche, quelle accese discussioni di quel tempo, esso si pone su un piano letterario nuovo, sul quale cresceranno, nel corso del secolo, altri frutti. Esso apre, in sostanza, un periodo nuovo nella nostra storia letteraria (me ne ero già occupato quando ho scritto del Manzoni). Dietro al quale c’è tutta la grande corrente del cattolicesimo liberale, c’è tutto il mondo del moderatismo nazionale.

Recensione

Le OPERETTE MORALI sono il disperato messaggio di uno spirito tutto concluso in sé, isolato e solitario. Esse ebbero dei lettori appassionati, ma non si può certo dire che divennero popolari. I CANTI per la loro stupenda bellezza fatta di semplici cose, di parole comuni e di sentimenti primordiali (l’amore, la rimembranza, il dolore. La morte), con il loro contenuto così poco conformista (e spesso addirittura democratico e patriottico) furono il “libro del capezzale” anche della gente umile ( si ricorda per esempio l’episodio di un barbiere di Reggio Calabria che, scoperto dalla polizia borbonica mentre leggeva un libricino dal titolo I CANTI DEL CONTE GIACOMO LEOPARDI, fu dal pretore condannato alla pena corporale). Per quanto riguarda, invece, le OPERETTE MORALI non ci viene tramandato nessun episodio del genere, anche se, per aver scritto quel libro, il Leopardi si ebbe rimproveri paterni, sospetti e minacce, anche se l’autorità ecclesiastica lo mise all’INDICE DEI LIBRI PROIBITI (decreto del giugno 1850).
Ma vediamo, dunque, che cosa sono queste OPERETTE MORALI.

Si tratta di ventiquattro brevi testi (spesso in forma dialogica), diciannove dei quali scritti nel 1824. L’edizione milanese ne conteneva venti; quella del 1834, fatta a Firenze, ventidue; quella postuma (1845) fu completata dall’amico Ranieri.
Definiti dal Leopardi stesso “poesia in prosa”, questi scritti cercano di tradurre nel linguaggio discorsivo (e quindi atto a teorizzare, a ragionare) tutto il mondo poetico dei CANTI. Ma la teorizzazione, in ultima istanza, non conta: ciò che conta è il potere evocativo, la suggestione poetica che la prosa assume, in quel suo distendersi su un ritmo un po’ arcaico, con quelle sue citazioni classiche, con quei suoi personaggi mitologici, con quelle sue trovate che raramente sanno di artificio, con quell’ironia diffusa, sotterranea, direi, che rende la lettura divertente. Gli uomini sono infelici, la vita è dolore e miseria, il mondo tutto nella sua immensità è ostile al genere umano, che non è che una briciola, un nulla a suo confronto… questo il leitmotiv delle ventiquattro operette: ciascuna delle quali par nata da una fantasia, ossessionata da questa universale tristezza, ma fertile di invenzioni: una fantasia non malata, non corrotta e dispersa nell’irrazionale, ma sveglia, attiva, consapevole.

Nel DIALOGO D’ERCOLE E DI ATLANTE i due mitici personaggi giocano a palla con la Terra:

ERCOLE – Padre Atlante, Giove mi manda e vuole che io ti saluti da sua parte, e in caso che tu fossi stracco di cotesto peso, che io me lo addossi per qualche ora… tanto che tu pigli fiato e ti riposi un poco.

ATLANTE – Ti ringrazio, caro Ercolino, e mi chiamo anche obbligato alla maestà di Giove. Ma il mondo è fatto così leggero, che questo mantello che porto per custodirmi dalla neve, mi pesa più; e se non fosse che la volontà di Giove mi sfora di stare fermo, e tenere questa pallottola sulla schiena, io me la porterei sotto l’ascella o in tasca, o me l’attaccherei ciondoloni a un pelo della barba, e me n’andrei per le mie faccende…

Bandito dal collegio delle muse un premio per la miglior invenzione fatta dagli dei, ottengono un ramoscello di lauro Bacco per la scoperta del vino, Minerva per quella dell’olio, e Vulcano per quella della pentola di rame “detta pentola economica”. Preso da invidia, Prometeo scommette allora con Momo circa la priorità che avrebbe dovuto avere in quella gara la scoperta del genere umano. Stabilito il prezzo della scommessa, Momo e Prometeo scendono in terra, alla ricerca di qualche prova che dimostri l’assunto di Prometeo. Dapprima s’imbattono nei cannibali, e quasi rischiano di esser messi in pentola anche loro; poi assistono al rogo di una vedova in India, e, infine, a Londra, vedono portar fuori da una casa il cadavere di un tale che si era ucciso dopo aver scannato i figlioletti “per tedio della vita”. Così Prometeo perde la posta.

* * *

Ed ecco, bellissimo, il COPERNICO, il dialogo tra il grande scienziato e il Sole. Nella prima scena, L’Ora prima del giorno va dal Sole ad avvisarlo che è giunto il momento di mettersi in moto attorno alla Terra. Ma il Sole è stanco e chiede che si rintracci qualche filosofo o astronomo capace di convincere la Terra a camminare con lei Viene scelto Copernico, che l’Ora ultima porta al cospetto del Sole. Il colloquio è divertentissimo: tra le altre obbiezioni che Copernico fa c’è quella dell’ostilità della Terra e dei suoi abitanti a scendere dal loro trono, a non essere più considerati i primi dell’universo. Ma il Sole insiste: al che…

COPERNICO – Ci resterebbe una certa difficoltà solamente.
SOLE – Via, qual è?
COPERNICO – Che io non vorrei, per questo fatto, essere abbruciato vivo come la fenice… perché accendendo questo, io sono sicuro di non avere a risciuscitare dalle mie ceneri come fa quell’uccello, e di non veder mai più, da quell’ora innanzi, la faccia della signoria vostra…
SOLE – Senti, Copernico: sai che un tempo, quando voi altri filosofi non eravate appena nati, dico al tempo che la poesia teneva il campo, io sono stato profeta. Voglio che adesso tu mi lasci profetare per l’ultima volta, e che per la memoria di quella mia virtù antica, tu mi presti fede. Ti dico io dunque che orse, dopo te, ad alcuni i quali approveranno quello che tu avrai fatto potrà essere che tocchi qualche scottatura o altra simile [*ironico cenno alle persecuzioni subite da Galileo]; ma che tu per conto di questa impresa, quel ch’io posso conoscere, non patirai nulla. E se tu vuoi essere più sicuro, prendi questo partito: il libro che tu scriverai a questo proposito, dedicarlo al Papa. In questo modo, ti prometto che nè anche hai da perdere il canonicato.

* * *

Scorro in fretta, ora, altre “operette”…

DIALOGO DI UN FISICO E DI UN METAFISICO, alla infelicità.

DIALOGO DI TORQUATO TASSO E DEL SUO GENIO FAMILIARE sulla funzione dei sogni (“Tra sognare e fantasticare andrai consumando la vita; non con un’altra utilità che di consumarla”)

IL PARINI OVVERO DELLA GLORIA

DIALOGO DI UN VENDITORE D’ALMANACCHI E DI UN PASSEGGERE

Lo sconsolato DIALOGO DI TRISTANO E DI UN AMICO che, come il DIALOGO DI TIMANDRO E DI ELEANDRO presenta l’autore stesso, ragionante sotto il nome di uno dei due interlocutori (Tristano, nel primo; Oleandro, nel secondo).

A nome delle ragioni del sentimento, il Leopardi presenta qui la poesia – che, come abbiamo già visto, egli concepisce come infanzia del mondo – come fonte di illusioni e di opinioni false,, ma tale da “generare atti e pensieri nobili, forti, magnanimi, virtuosi e utili al bene comune”. Cogliamo qui dunque il nodo centrale del pensiero leopardiano e della sua poesia: il “freddo vero” ci mostra una natura cattiva, un destino di infelicità e di sofferenze per gli uomini (e qui sbuca fuori la polemica anti-illuministica, quando se la prende con coloro che esaltano con ingenuo entusiasmo il progresso), ai quali unico conforto possono essere le belle illusioni, il canto di un poeta, le leggende del passato, gli “errori degli antichi”.
In tutto ciò, come si vede, non hanno posto né dogmi religiosi né credenze legate ai culti di Chiesa; né d’altra parte si trovano i motivi di quella fiducia democratica nella perfettibilità degli uomini, nella necessità del progresso, che animava il movimento liberale
Per la prima ragione, il Leopardi fu sempre malvisto dalle gerarchie cattoliche e la lettura delle sue OPERETTE MORALI fu proibita ai fedeli. Per la seconda, forse, se pur se ne sia esaltata la figura del poeta del dolore, non si olle e non si potè farlo proprio e immetterlo nella tradizione letteraria liberale-democratica. Benedetto Croce non fu, tanto per fare un esempio, affatto benevolo nei suoi confronti.

Non si tratta ovviamente di una esposizione sistematica delle idee del Leopardi, ma piuttosto di una enunciazione di temi, dell’approfondimento di problemi che le sue meditazioni suggerivano, affidati a uno stile completamente libero da pesantezze retoriche. Lo stimolo maggiore al compimento dell’opera derivò probabilmente dalla convinzione maturatasi in Leopardi che “vero poeta è colui che medita filosoficamente l’anima, la natura, il mondo”.


Cristoforo Colombo, dal Dialogo di Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez


OPERETTE MORALI

Storia del genere umano
Dialogo d’Ercole e di Atlante
Dialogo della Moda e della Morte
Proposta di premi fatta dall’Accademia dei Sillografi
Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo
Dialogo di Malambruno e di Farfarello
Dialogo della Natura e di un’Anima
Dialogo della Terra e della Luna
La scommessa di Prometeo
Dialogo di un fisico e di un metafisico
Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare
Dialogo della Natura e di un Islandese
Il Parini ovvero della gloria
Dialogo di Federico Ruysch e delle mummie
Detti memorabili di Filippo Ottonieri
Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez
Elogio degli uccelli
Cantico del gallo silvestre
Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco
Dialogo di Timandro e di Eleandro
Il Copernico
Dialogo di Plotino e di Porfirio
Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere
Dialogo di Tristano e di un amico

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