NAPOLEONE e HEGEL – Il grande professore di diritto

Georg Wilhelm Friedrich Hegel
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Il grande professore di diritto pubblico

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Napoleone Bonaparte ha avuto la sorte, non molto usuale per i protagonisti della storia, di trovate nel più grande filosofo del tempo, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, l’autorevolissimo interprete, a livello ideologico, della sua azione pratica. Fin dai tempi di Francoforte, Napoleone è stato il punto di riferimento costante del filosofo.
Lo Stato borghese, rivoluzionario e napoleonico, nella sua essenza e nella sua evoluzione, resterà, fino alla fine, un modello per Hegel.
Come ha notato il Lukàcs, “il punto di vista di Hegel è che dopo la grande crisi mondiale della Rivoluzione francese è in via di sorgere, col regime napoleonico, una nuova età del mondo; e la sua filosofia si propone di esserne l’espressione teoretica”; Hegel, “concepisce la sua filosofia come la forma teoretica di una figura appena nata della storia universale”.
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Il 13 ottobre 1806, giorno della vittoria di Napoleone a Jena, il filosofo scriverà al Niethammer: “Ho visto l’imperatore – quest’anima del mondo – uscire dalla città per andare in ricognizione; è davvero una sensazione meravigliosa vedere un uomo siffatto, che, concentrato qui su un punto, seduto su un cavallo, si protende sul mondo e lo domina… da giovedì a lunedì progressi così grandi (Hegel si riferisce alla nuova situazione creatasi in Germania con la disfatta delle truppe prussiane a Jena) sono stati possibili solo grazie a quest’uomo straordinario che è impossibile non ammirare”.
Meno di un anno dopo in un’altra lettera al Niethammer, Hegel scriverà (29 agosto 1807):
“I professori tedeschi di diritto pubblico non tralasciano di scrivere una quantità di opere sul concetto di sovranità e sul significato degli atti della Confederazione (del Reno). Ma il più grande professore di diritto pubblico risiede a Parigi”.
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La figura di Napoleone è al centro della prima grande opera di Hegel, la Fenomenologia dello spirito, che la leggenda vuole sia stata completata dai filosofo proprio la notte della battaglia di Jena. Il capitolo centrale di quest’opera fondamentale, che tanta influenza ha avuto sul giovane Marx, è centrato appunto sul superamento del vecchio ordine da parte della Rivoluzione francese e sul superamento-realizzazione della Rivoluzione da parte del nuovo ordine napoleonico. Attraverso il Terrore rivoluzionario, l’uomo, che era scisso dai tempi dell’antichità classica, raggiunge finalmente la Sintesi finale che lo appaga definitivamente.
E’ nel Terrore che nasce lo Stato nel quale l’uomo trova questa soddisfazione”. Questo Stato è l’impero napoleonico, e lo stesso Napoleone è l’uomo integralmente soddisfatto che, nella e per mezzo della sua soddisfazione definitiva, chiude il corso storico dell’umanità.
Napoleone è l’individuo umano nel vero e proprio senso del termine, perché è per mezzo suo, di quest’uomo particolare, che si realizza la “causa comune” veramente universale. A Napoleone manca solo – secondo il filosofo – la piena coscienza di essere il termine ultimo della storia universale.
Hegel, autore della Fenomenologia dello spirito, è questa coscienza di sé di Napoleone. E poiché, come ha notato il Kojeve, “l’Uomo perfetto, pienamente soddisfatto da ciò che è, non può essere che un Uomo che sa quel che è, che è pienamente cosciente di , è l’esistenza di Napoleone in quanto rivelata a tutti nella e per mezzo della Fenomenologia dello spirito che è l’ideale realizzato dell’esistenza umana”.
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Su questo tema del filosofo come coscienza dei grandi uomini storici, Hegel tornerà nel paragrafo 148 dei Lineamenti di filosofia del diritto (che sono del 1821, lo stesso anno della motte di Napoleone) che è un vero e proprio elogio funebre dell’imperatore:
“Al culmine di tutte le azioni, quindi anche di quelle della storia del mondo, stanno gli individui, in quanto soggettività che realizzano il sostanziale. In quanto sono la vita del fatto sostanziale dello Spirito universale, e così immediatamente identici a quello, tale sommità è nascosta ad essi stessi e non ne è oggetto e fine; essi hanno anche l’onore di quello e la riconoscenza non nei loro contemporanei, né nell’opinione pubblica dei posteri; ma, in quanto soggettività formali, hanno soltanto in questa opinione la loro parte, in quanto gloria immortale”.
Che, spogliato del linguaggio speculativo del filosofo, significa che gli animatori della storia, i grandi individui storici sono attori che rappresentano la volontà incosciente del loro popolo. Con la loro attività reale, questi individui sono le incarnazioni di un popolo. Sono loro che effettuano i grandi rivolgimenti storici e i passaggi da un’epoca all’altra della storia universale senza averne, tuttavia, piena coscienza. Solo la filosofia lo sa, ma a posteriori. Perciò i grandi uomini non possono sperate nell’omaggio dei loro contemporanei e nella riconoscenza della posterità volgare. Li si accetta e li si riconosce come persone “famose”, suscitano cioè interesse, ma solo la filosofia può stabilire la loto importanza effettiva per la storia del mondo.
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