L’EPOCA NAPOLEONICA

 

L’EPOCA NAPOLEONICA

Per la storia d‘Europa, i primi quindici anni dell’Ottcento si compendiano in un nome: Napoleone Bonaparte, un uomo passato alla leggenda, simbolo delle virtù del condottiero che, da solo, per il suo genio e la forza della propria personalità, decide delle sorti del mondo. In realtà, Napoleone rappresenta la conclusione di un processo storico e politico attraverso il quale la borghesia francese – dopo aver liquidato la parte più avanzata del movimento rivoluzionario, i giacobini – consolida il suo dominio all’interno e tenta di imporre le idee della rivoluzione e la propria egemonia all‘Europa.

In questo processo vanno ricercati i motivi dell’ascesa del grande corso e del potere pressoché assoluto che nella sua breve ma intensa parabola politica egli esercitò sulla Francia e sul continente; un potere, il suo, sostenuto dalla forza delle armi e da un modo nuovo di concepire l’arte della guerra (1). Ma non solo questo fu il fondamento della forza di Napoleone: con le insegne napoleoniche avanzano i principi e gli ideali, che furono alla base del grande sollevamento di popolo del 1789, princìpi politici e giuridici nuovi, che si concretano nella formazione, sotto controllo francese, di Stati accentrati, diretti da una ben organizzata burocrazia e che delineano il tipo di assetto costituzionale fondato sulla separazione dei tre poteri: esecutivo (il Governo); legislativo (il Parlamento), giudiziario (la Magistratura).

La stessa natura dei rapporti tra i cittadini, e tra questi e lo Stato, viene definita in termini originali nel nuovo Codice civile.

E tuttavia il tentativo napoleonico di “creare una Europa supernazionale sotto l’autorità della Francia fallisce. Anzi, il duro dominio francese provoca l’insorgere di un vigoroso sentimento nazionale nei paesi occupati e i popoli si ribellano in nome di quegli stessi ideali che Napoleone ha imposto con le armi. È questo il fatto indubbiamente positivo che l’espansione francese determina, suo malgrado.

Ma un altro dato emerge, di segno opposto e destinato, per il momento, a prevalere: le monarchie europee, Austria, Prussia, Russia e Inghilterra, ripetutamente battute sul piano politico come su quello militare, organizzano la propria rivincita, in nome degli antichi privilegi travolti dalla rivoluzione. L’occasione è data dall’esito disastroso per la “Grande Armée” della campagna di Russia(1812).
Due anni più tardi, il Congresso di Vienna, che riunisce appunto le potenze continentali, Francia compresa (2), affronta il problema di un nuovo equilibrio per l’Europa. Il 9 giugno 1815, dopo una sospensione provocata dal ritorno breve e drammatico di Napoleone sulla scena politica, il Congresso conclude i suoi lavori. Il 18 giugno, la disfatta di Waterloo segna il definitivo declino della stella napoleonica.

L’Italia nel periodo napoleonico

La costituzione di una Repubblica Italiana nel 1802 – trasformata poi in Regno d’Italia (Napoleone ne fu il re e Eugenio Beauharnais, suo figliastro, viceré ) – fu l’avvenimento politico di maggior rilievo di tutta questa fase storica. L’iniziativa era stata di Bonaparte che aveva appositamente convocato a Lione personalità del mondo politico lombardo ed emiliano. Si apriva per il nostro paese un periodo, che durò quanto ressero le sorti di Napoleone, tumultuoso ma sostanzialmente positivo. Per quanto Bonaparte fosse stato il liquidatore delle ultime libertà democratiche scaturite dalla rivoluzione, non aveva potuto sopprimere nelle coscienze il senso della libertà e della democrazia che quell’evento aveva suscitato. Se era vero che queste idee si erano diffuse grazie alle armate napoleoniche era ancor più vero che esse avevano contribuito a far maturare una sempre più sicura coscienza nazionale e la consapevolezza che l‘unità della patria era l’obiettivo per cui ogni Italiano doveva battersi. La Repubblica e lo stesso Regno d’Italia, creati dai Francesi quali strumenti per il loro dominio, si trasformarono in centri di raccolta e di azione politica dei patrioti, degli spiriti liberi.

Se positive, tutto sommato, furono le conseguenze politiche della occupazione francese, non altrettanto, si può dire degli effetti di natura economica che da essa derivarono. Vi furono, è vero, all’attivo – a parte la sistematica rapina di tesori d’arte operata da Napoleone e dai suoi generali – l’introduzione dei nuovi Codici, il miglioramento delle comunicazioni, la costruzione di strade, ecc., ma le voci al passivo furono molte e pesantissime. Nei piani di Napoleone, infatti, l’Italia avrebbe dovuto costituire una sorta di magazzino, di granaio per la Francia: a tale scopo egli adottò una ferrea politica fiscale che impedì lo sviluppo della industria manifatturiera e la sua trasformazione in moderna industria meccanica, col risultato di mantenere la stessa agricoltura in una condizione d’estrema arretratezza. Questi fattori, che peseranno in maniera non lieve negli sviluppi della economia italiana, non valsero però a fermare la spinta all’unificazione, che per l’Italia dei decenni successivi sarà il motivo storico e politico dominante.

(1) la Rivoluzione francese operò anche in campo militare un capovolgimento delle regole sino ad allora seguite. La necessità, per i rivoluzionari, di difendersi dagli attacchi delle coalizioni. straniere e l‘impossibilità di farlo secondo i criteri tattici e strategici tradizionali, portarono a un nuovo ordinamento delle forze armate e a una diversa concezione della condotta della guerra, fondati l’uno e l’altra sul sentimento nazionale e sul patriottismo. In particolare: 1) la “guerra popolare”, col servizio militare nazionale obbligatorio, sostituisce le guerre delle monarchie, combattute prevalentemente da truppe mercenarie; 2) l’impiego di grandi masse di soldati determina per l‘esercito popolare una elevata capacità offensiva e di manovra. La strategia cosiddetta di “logoramento” del nemico, adottata tradizionalmente, perde ogni valore; 3) le operazioni belliche basate sul movimento e su una linea difensiva elastica (tattica dell’ordine sparso) appaiono più efficaci dei massicci attacchi frontali (tattica lineare), suggeriti soprattutto dalla necessità di evitare, tenendo le truppe ammassate, possibili diserzioni; 4) la pratica delle requisizioni, consentendo l’approvvigionamento sul posto delle truppe combattenti, risolve il grosso problema logistico dei magazzini viaggianti, del vettovagliamento, dei carriaggi. Ideatore e realizzatore dei nuovi ordinamenti militari fu il matematico e uomo politico francese Lazare Carnot (1753-1823): Napoleone sviluppò genialmente le sue concezioni-

(2) il 31 marzo 1814 le truppe delle potenze alleate erano entrate in Parigi dove un governo provvisorio con a capo Talleyrand aveva deposto Napoleone confinandolo, un mese più tardi, nell’Isola d’Elba.

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