GIANNI DOVA – Vita e opere

Gianni Dova (Roma, 8 gennaio 1925 – Pisa, 14 ottobre 1991) è stato un pittore italiano. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera avendo come maestri Carrà, Funi e Carpi.

Firmò nel febbraio del 1946 il Manifesto del Realismo “Oltre Guernica”.
È stato con Crippa e Fontana uno dei protagonisti del Movimento Spaziale Italiano dando inoltre la sua adesione al secondo “Manifesto dello Spazialismo” nel 1948.
Ha esposto nelle principali gallerie pubbliche e private italiane ed estere. Ha partecipato alla Biennale di Venezia negli anni 1952, 1954, 1956 e nel 1966 è stato invitato con una grande sala personale. Ha esposto inoltre al Salon de Mai di Parigi nel 1955, 1957, 1959, 1962,1964,1966 e 1967. Ha partecipato alle più importanti rassegne internazionali e le sue opere si trovano nei più importanti musei e collezioni del mondo.

Con le sue opere ha acquisito significativi e numerosi premi.

 UCCELLI (1958)
Olio su tela cm 130 x 180
Un poeta esiterebbe a dare a un pittore qual è Gianni Dova più ali di quante egli stesso ne apra per i propri voli, considerando che la conferma di questo suo levarsi nei colori, nei segni e nelle forme, è l’idea di uno spazio tenuto al vertice della propria energia, della propria sfida. Uno spazio che dica: sono qui, tela e golfo profondo, attesa impassibile e impazienza d’evento. Ch’io voglia o non voglia, non conta. Che accade, dovrà accadere di sfuggente, di liberatorio, per me che ho al filo il mio stupore, “le mani aperte, portate via”, come diceva Supervielle?
Un pittore esiterebbe a dare a un poeta qual è Dova più “mezzi” per “forzare l’ispirazione”, secondo gli intenti storicizzati da Max Ernst nel suo “far scaturire l’immagine dal procedimento”, come nei famosi “frottages”.
Esiterebbe, considerando che all’origine di ogni procedimento meccanico e oggettivo, proprio dei surrealisti, c’è sempre il soggetto che dovrà precisare, “organizzare” come è stato detto, quei segni casuali e trasferirli dallo stato di provocazione psicologica in pittura e nel quadro.
Per un pittore qual era Dova, ormai dentro la sua storia e dentro la sua ineccepibile antologia, interessano quindi i suoi mezzi di procedimento, il suo intendere i segni premonitori dell’immagine che gli va nascendo, il suo passare per scatto, dalla serie normativa alla rivelazione, dall’esattezza dell’esercizio alla poesia, il cogliere nel segno per la prima volta.
Diciamo subito che è più facile proporsi il metodo che riuscire a tenerlo, a seguirlo nella sua alternanza, in quanto l’acuzie perfettiva del procedere di Dova, insieme col preziosismo segreto e squisito dei significati ch’egli via via realizza dal suggerimento degli elaborati, dalla nettezza evocativa degli spazi, sempre più aggiunge vigore puntuale ai particolari dell’immagine, prima che essa si congiunga al nome che tutta la spieghi e la indirizzi al lancio figurale in piena autonomia di pittura.
La bravura elaborativa di Dova è ormai così partecipe della sua oggettività da stimolare il pittore a intenderla; ma è stato il pittore stesso a darle l’immanente scientismo che ha, in virtù dell’estrema tensione inventiva cui egli sottende da vertice a vertice Ie strette coordinate del suo sistema visionario. Voglio dire che la storia in atto di Dova viaggia nella stessa sostanza fenomenica di uno “stato” raggiunto tra l’espansione dello spazio creante e le immagini sghembe, angolari, che ne fissano l’orientamento.

Sono moti di attrazione continua che, nel mantenere la distanza di ogni singola opera autonoma, lasciano una materia di spazio operoso che ne estremizza la vibratilità, le puntuali germinazioni, per un “vertice” che via via si fa visibile e approfondisce la quiete rivelatrice del creato.

SPAZIALE (1951)
Olio su tela cm 100 x 80
Gioia di fattura che, nel farsi della sospensione dello stacco, è incalzata dalle parole. La fertilità degli occhi è negli occhi, ma per un calcolo che ne attende le conferme. L’osservazione elaborativa e il bersaglio poetico gravitano, come per i veri pittori, nello stesso impatto della materia e della ideazione.
Anche in seno allo “spazialismo”, tra Crippa, Fontana, Peverelli, Scanavino, Gianni Dova offriva alla lettura più ironicamente slogata e verosimile la sua ideazione monumentale, le metamorfosi legate ai più sottili lineamenti, prima di rompere in orbite vuote. In questi quadri, databili tra il ’51 e il ’56-’58, erano da leggere prensilità rattratte, occhi filiformi, visi rincagnati, vulcani slabbrati come ali di farfalle, esiti lunghi di deflagrazioni sottomarine, apocalissi di iridi. Erano già “personaggi”, ma sopraffatti dalla ideazione.
Tuttavia, la pittura, nel suo bagno reagente e memoriale, a non creare nulla, a nulla distruggere, ne trasformava avidamente i relitti, e già creava una realtà di oggetti e di presenze virtuali atti a suggerire le immagini, a provocarle dalla vaghezza dell’allusione nel timbro della precisione segnica e coloristica.
Pur nell’ibrido delle contaminazioni e delle atmosfere balenanti e temporalesche per richiami ancora naturalistici, quella di Dova spaziale, era un’avventura mai lasciata al caso proiettivo e esclamativo, e nemmeno affidata al calcolo della sua vistosità scenica. C’era dentro la qualità prima dell’invenzione poetica, perseguita nei tempi più lunghi e elaborati di un sistema visionario, del quale le singole opere erano da considerare stralci continui, veloci a volte, a volte rallentati in esiti quasi patetici, come nel bellissimo Relitto sulla sabbia del ’51.
Ora, guardo i quadri del ’70, del ’71, sino a oggi, e mi sembra che Dova, ancor più che in pittura, ma dentro la gestualità spaziale della pittura, nella sua gravitazione portante, abbia detto le parole più vive, più alate sul magico mattino degli uomini. Del mistero, delle “assenze” che hanno tutte lasciato un segno da portare oltre, di queste bandiere dell’inconscio che annunciano civiltà scomparse e ancora da venire, la pittura di Dova è un annuncio che ha addosso l’impassibile flagranza dell’evento.
Ormai l’emozione è una meraviglia che gela i suoi gridi.
BRETAGNA (1971)
Olio su tela cm 203 x 127
Ricordo Bretagna del ’71: dai graffiti e dalle ragne trasparenti dei marroni, dei verdi in una prospettiva umida, leonardesca, ai primi piani taglienti, per una geografia che dai turchesi agli smeraldi, ai rossi – tenda vela ala, non so, ma immagine primaria, archetipo – è, oltre il tempo e gli spazi reperibili, il rapido presagio del vedere qualche volta, e con occhi certi, quello che dopo Rimbaud, e con lui, tutti abbiamo creduto di vedere.
Guardo ne I fuochi della foresta il fantasma neromarino occhieggiante, balenante di striature mattinali, contro il cielo di propria luce nell’albero in fiamme.
Guardo a Vita d’acqua in Bretagna, rapinoso evento di ragne folgorate, di luci e nevi emerse, di uccelli, di foglie portate dal vento, in un improvviso mattino della notte o nella tenebra controluce del giorno.
Guardo gli uccelli azzurri, i rami d’ortensia fioriti, gli acquari. In questi triangoli, in queste frecce, in queste alette di colori smaltati e vividi che sembrano presi da Klee, da Licini e persino da Calder, e accentuati da Mirò, vive per segni labili e forti, per graffi e per lisci ridenti, per saldo di sintassi metalliche, la più bella nomenclatura di questa terra che la pittura italiana ci abbia dato oggi.

E che forse gli artifici, le lustre, il divagatorio di questa pittura essenziale che si stringe nelle sue forme per indirizzarle a uno spazio più profondo, non sono anch’essi – assunti nella poetica e nella paziente storia del pittore – gli strumenti per forzare l’ispirazione e per ottenerne la meraviglia? Non è una tecnica, o non è solo una tecnica: è l’ingegnoso assumere nel fine ultimo dell’immagine folgorante e acrobatica, tutte le simulazioni da fermo che ne sono la ginnastica essenziale, il continuo leggere sugli indizi un testo da svelare interamente.

FORMA SUBACQUEA (1952)
Olio su tela cm 145 x 115
Il biondo e lungo Gianni Dova ha avuto tanto piacere di dipingere, come gli ha ben riconosciuto José Pierre, da dipingere il suo stesso piacere di dipingere.
Che l’immaginazione, lieta di aprirsi alla confidenza più aperta, redenta dal suo ottimismo, sia la gioia istintiva, animata, di questa pittura è un fatto: ma è un fatto anche la libertà che se ne riscatta, pessimistica quanto mai nel confronto, nel dibattito delle inibizioni e delle censure che l’uomo si dà da sé, rinunciando anche ai propri occhi, al vedere oltre il vedere. Ma Dova ha continuato a aprire le gabbie, le araldiche più o meno rostrate; la sua pittura è spiegata e totale. Direi che il suo gesto è oltre di lui, e non più illusorio, ma ostinatamente liberatorio.
Viva mobilità per un pronto desiderio di invettiva cosmica, semmai, di azzardo ironico: un vero e proprio trasferimento dell’essere nei richiami, nei cenni, nelle augurali promesse del pericolo: certo, amore dentro le cose amorose, ammirate, vaganti: è anche un credere agli inganni, se volete, ma per allegra disperazione. È un ritrovamento di “barbarie”.
Come in tutti i grandi racconti di immaginazione, la metamorfosi parte dalle orme dei mostri, dai lasciti delle grandi scritture che non hanno avuto ancora un senso, segni forse di una scienza che ci precede, dalle combustioni degli eventi immemori, le cui ceneri, le sabbie spoglie, sono giunte sino a noi. Perché la pittura di Dova dal fiore crea le radici, dalle luci tese e spiegate la tenebra mai buia, ma gremita di presagi per le sue sorgive e ambigue trasparenze. C’è una forza d’urto che è, nel vigore della levata, la sicurezza figurale e timbrica di ogni immagine. L’evento coloristico si porta dentro la sua luce, tanto più rapida quanto più anela di finire in quiete, ai limiti di un silenzio che goccia solo le stille ultime.

Alla fine, un quadro di Dova si ascolta, per queste desinenze agghiaccianti.

 PRIMAVERA (1969)
Olio su tela cm 147 x 116
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Mostre principali

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Nel 1962 partecipa alla selezione del premio Guggenheim a New York
Nel 1962 espone con una sala alla Biennale di Venezia
Nel 1966 espone con una sala personale alla Biennale di Venezia
Nel 1971 una grande retrospettiva a Colonia
Nel 1972 presenta una grande mostra personale a Palazzo Reale di Milano.
Nel 1972 Mostra personale presso il Museo Gallierà, Parigi
Nel 1974 Mostra personale presso la Galerie Reichenbach, Parigi
Nel 1978 Mostra personale presso il Palais des Beaux-Arts, Bruxelles
Nel 1979 Mostra personale presso il Louisiana Museum of Modern Art, Danimarca
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Il dieci luglio del 1964, Gianni Dova si recò nel borgo affrescato di Arcumeggia, Casalzuigno (Va) dove affrescò un’opera di notevoli dimensioni (m 2,00 x 2,00) dal titolo “Corrida“. L’affresco è tuttora visibile in Piazza Minoia. Nel 2014 l’opera è stata sottoposta a restauro conservativo, su mandato degli Enti istituzionali preposti alla salvaguardia della “Galleria all’aperto dell’affresco di Arcumeggia.”
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Opere nei musei

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Casa Boschi di Stefano di Milano
Casa Museo Remo Brindisi di Comacchio con le opere: Linea sinuosa (1947), Vaso (1953), Il rabdomante (1959), Piatto con pesceComposizione astratta (1970), Figure stilizzate (1977), Piatto circolare (1982), e Figura Femminile.
Galleria d’Arte Moderna Aroldo Bonzagni di Cento
Galleria Civica d’Arte Moderna di Copparo con l’opera: Testa (1965).
Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma
Magi’900 – Museo delle Generazioni Italiane del ‘900 G. Bargellini di Pieve di Cento
MAGA museo d’arte moderna e contemporanea di Gallarate con l’opera: Cascata nello stagno.
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
MAON – Museo D’arte dell’Otto e Novecento di Rende
Museo d’arte di Avellino con l’opera: Uccello di Bretagna (1990).
MIM-Museum in Motion di San Pietro in Cerro con l’opera: Pesce.
Museo Civico di Foggia con l’opera: Uccello di Bretagna.
Museo del Novecento di Milano con l’opera: Bocca (1954).
Pinacoteca Leonida ed Albertina Repaci di Palmi con l’opera: Arciere
Museo Cantonale d’Arte, di Lugano con l’opera: Senza Titolo, 1941.
APPARIZIONE N° 2 (1959)
Olio su tela cm 130  x 163

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Altre note su Gianni Dova:

Archivio Gianni Dova

AITART: L’ARCHIVIO GIANNI DOVA SI RACCONTA