BERNARDINO TELESIO

BERNARDINO TELESIO

Bernardino Telesio (1) dà forma sistematica a un atteggiamento di pensiero che è in sostanza identico a quello di Leonardo. E che può formularsi così: supposto che non vi sia altra realtà che quella della natura accessibile alla nostra esperienza, quali ne sono i principi costitutivi? E in che modo l’uomo può conoscerli? Ciò che si esige è che questi principii siano immanenti alla natura e universali, cioè presenti e agenti in tutte quante le cose.
Postulare l’esistenza di questi principi ossia l’autonomia della realtà naturale è condizione della scienza di essa, (che è appunto trattazione de rerum natura iuxta propria principia, secondo il titolo dato da Telesio all’opera sua principale).
La natura è materia soggetta all’azione d’una forza che continuamente la trasforma: è massa corporea, che riempie lo spazio, – unica se uniforme in tutto l’universo; massa che per se stessa sarebbe inerte, se non fosse compenetrata e pervasa in tutta la sua estensione da un principio dinamico, che per esplicarsi deve come scindersi in due forze opposte indisgiungibili l’una dall’altra come entrambe sono indivisibili dalla materia: il caldo e il freddo. La lotta tra queste due “nature agenti” assoggetta la materia a un continuo processo di espansione e dilatazione che l’assottiglia e amplifica, e di condensazione e concentrazione che la rimpicciolisce e la restringe.

La vita è il manifestarsi dell’azione del caldo, la quale ha assottigliato la materia fino a renderla “spirito” (ossia alito caldo, estremamente mobile per la sua rarefazione). La differenza tra vita vegetale e vita animale è soltanto nel diverso grado di calore e di finezza propri dello “spirito”. E a tale fattore fisico è riducibile anche la coscienza nel suo fatto più elementare che è la sensazione. Infatti il moto determinato dal calore proprio dello spirito animale può essere modificato dal moto inerente al calore proprio di un oggetto esterno: e in tal cangiamento consiste il sentire.
Questa riducibilità del sentire a un fatto puramente fisico, è confermata dall’estensione della sensibilità a tutta la materia, compresa quella inorganica; dovunque vi è calore (e un certo grado di calore vi è dappertutto nella materia), c’è sensibilità.

E come ogni differenza è eliminata tra inorganico e vivente, tra attività fisiologica e attività psicologica, così pure le facoltà supreme dell’anima umana sono fatte derivare dalle inferiori: l’intelletto è ridotto al senso, anzi a un senso illanguidito, all’apprensione di quel che vi ha di simile nelle cose: il concetto universale è un’immagine oscura e indeterminata (nella sua genericità), la quale tuttavia ci permette di sentire in qualche modo pure le proprietà ignote della cosa percepita, e ciò in base alle somiglianze che essa ha con altri oggetti già appresi integralmente.

Nel naturalismo telesiano rivive la preoccupazione della fisica stoica di superare in una rigida concezione monistica della natura tutte le forme di dualismo persistenti nella fisica aristotelica. Ma attraverso lo sviluppo coerente di tale monismo naturalistico e materialistico appare in Telesio un sentore – sia pur vago – dell’insufficienza finale di esso a dare una esauriente spiegazione della realtà naturale e umana, considerata nella sua totalità. La costituzione di una scienza autonoma della natura esige che si prescinda da qualunque forma di realtà che oltrepassi la natura stessa.
Ma astrarre da questa non vuol dire negarla, supporre che il mondo formi un tutto chiuso, per stabilire fino a che punto la natura si può spiegare con la natura, non significa affermare in definitiva che la natura dipenda solo da sè stesa.
E seguire, nell’uomo, fino all’estremo, lo sviluppo delle universali forze naturali, per scorgere quanto di queste vi sia pur nel suo pensiero e nel suo agire, non significa che l’uomo sia nulla più che un essere naturale, differente dagli altri solo per grado.

E Telesio, dopo aver naturalizzato il pensiero e la volontà umana facendone una funzione dello “spirito caldo”, sente il bisogno di aggiungere che non è questo tutto l’uomo. Nell’uomo vi è anche un’anima soprannaturale, creata da Dio e da lui infusa nello “spirito” di ogni individuo, un’anima per la quale soltanto l’uomo può pensare il soprasensibile e l’eterno e ad esso aspirare. E nella libera attività di essa, infrenartice delle tendenze naturali, è la radice della responsabilità dell’individuo, la fonte di un mondo morale che non si risolve in un semplice giuoco meccanico di forze fisiche, in un mero antagonismo di freddo e di caldo. La scienza, che indaga la natura “iuxta propria principia”, non può per definizione cercare in essa ciò che la trascende: ma la natura stessa presenta un ordinamento delle cose che, rinviandoci a una mente sapientissima, ci invita a superare l’ambito stesso delle scienze naturali, le quali da quest’ordinatore debbono prescindere.

E pertanto, di la dalla ragione scientifica, l’uomo ha bisogno di una fede e di una rivelazione. Il dualismo tra scienza e fede – che nell’aristotelismo padovano si presentava con la teoria della doppia verità – si ripresenta in Telesio, come espressione della unilateralità e parzialità del punto di vista naturalistico, da cui pure la mente umana doveva porsi per indagare un aspetto fino allora trascurato alla realtà (2).

(1) BERNARDINO TELESIO, nato il 1509 a Cosenza. studiò specialmente a Padova. Stabilitosi a Napoli, vi venne meditando dal 1545 in poi la sua opera principale De rerum natura iuxta propria principia, di cui solo nel 1565 doveva pubblicare i primi due libri, e, dopo rifacimenti radicali, nel 1586 anche i sette rimanenti. Influì a trasformare di filologica in scientifica e filosofica quell’Accademia cosentina nella quale si accoglievano tanti dei migliori ingegni dell Italia meridionale, e che dono la sua morte avvenuta nel 1588 da lui fu detta anche Telesiana.

(2) Rappresentante di quello stesso indirizzo aristotelica e naturalistico, che abbiamo studiato in Telesio, fu anche il dalmata FRANCESCO PATRIZI, (1529-1593), autore di Discussiones peripateticae e di una Nova philosophia in cui – conforme a un’ intuizione neoplatonica che ebbe i suoi seguaci anche nel Medio Evo (San Bonaventura, – è attribuita alla luce una funzione analoga a quella che Telesio attribuisce al calore.

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