IMPERIALISMO E CAPITALISMO – Lenin

IMPERIALISMO E CAPITALISMO

La guerra franco-prussiana del 1870 aveva segnato la vittoria del giovane, ma dirompente capitalismo tedesco. I rapporti di forza tra i più grandi paesi capitalistici (Inghilterra, Francia, Germania) erano andati da allora mutando rapidamente e sulla scena della politica europea era entrata, sia pure in sottordine, anche l’Italia.
L’Inghilterra, che aveva avuto durante tutto il secolo una prevalenza quasi assoluta nella produzione industriale, nelle ferrovie, nei trasporti marittimi, nel commercio estero, nella finanza mondiale, si trovava ad affrontare la concorrenza tedesca, attuata anche con forme di dumping, ossia di vendita sotto costo all’estero grazie alla possibilità di mantenere con la protezione prezzi elevati all’interno, e con l’aperto appoggio dello Stato. Tramonta così anche in Inghilterra in questo periodo l’ideologia del libero scambio. Joe Chamberlain chiede la protezione contro il dumping tedesco e Cecil Rodhes una ulteriore espansione coloniale, per creare nuove riserve di mercati e di fonti di materie prime e nuovi sbocchi al capitale britannico, e per sottrarli nello stesso tempo ai paesi
capitalistici concorrenti.
Dal Cairo al Capo è la parola d’ordine che porta, a cavallo tra ottocento e novecento, alla guerra anglo-boera. In questa situazione sorge l’ideologia dell’imperialismo e l’economista inglese Hobson scrive nel 1902 il suo libro Imperialism: a study. La nuova parola si diffonde e penetra anche nel movimento operaio. Ma con quale significato? Vi era e vi è ancora nel linguaggio comune un significato volgare della parola
imperialismo, quale politica di sopraffazione, di espansione e di dominio territoriale. Così si parla allo stesso modo di imperialismo romano nell’antichità, e di singoli imperialismi: spagnolo, britannico e poi francese, russo ecc. Questo modo non scientifico di interpretare la realtà sempre in movimento e sempre nuova serve solo per confondere le idee.
Nel suo libro tuttavia, Hobson, non cade nell’errore di una interpretazione volgare dell’imperialismo e di confondere assieme fenomeni così diversi. Già otto anni prima (1894) aveva scritto un libro in cui parlava della evoluzione del capitalismo della sua epoca. Però l’imperialismo, parola che egli usa per la prima volta in modo scientifico, rimaneva per lui una scelta politica del capitalismo, dovuta sì alla esigenza di nuovi sbocchi, alla accresciuta produzione industriale, ma che poteva essere modificata con una diversa politica di distribuzione del reddito, che aumentasse i redditi dei lavoratori. Anche negli scrittori socialisti che si richiamavano al marxismo le idee non erano allora molto chiare.
È vero che a partire dal 1896 le risoluzioni dei vari congressi della II Internazionale contengono condanne continue del militarismo, delle sopraffazioni del capitalismo, dei pericoli di guerra, e ricordano che tutti questi fenomeni sono conseguenze del capitalismo. Però, sia negli scrittori marxisti, in grado maggiore o minore, sia ancor più nelle risoluzioni della II Internazionale, questi fenomeni sono considerati come conseguenza del capitalismo, ma non conseguenze necessarie, dovute cioè al fatto che il capitalismo per le sue leggi di sviluppo ha subito grandi modificazioni ed è passato dallo stadio della media industria di prevalente concorrenza allo stadio monopolistico. In fondo predomina anche nel movimento operaio la tesi che l’imperialismo sia una politica particolare del capitalismo, e come tale possa essere combattuta e modificata dalla lotta politica della classe operaia e delle masse popolari.
Il crollo della Seconda Internazionale di fronte allo scoppio della prima guerra mondiale ha, tra le molte cause, senza dubbio anche quella della debolezza ideologica, che non aveva permesso la giusta comprensione del fenomeno dell’imperialismo e della natura imperialistica della guerra
mondiale. .
Lenin vede al contrario, fin dall’inizio della prima guerra mondiale, la necessità di dare una chiara interpretazione marxista dell’imperialismo nelle sue origini economiche e ciò per dare la indispensabile arma teorica al movimento operaio, e far comprendere la natura imperialistica della guerra in corso e come essa rappresentasse lo sbocco inevitabile dei contrasti tra i paesi imperialistici per la divisione del mondo in sfere di influenza.
Lenin scrive così, negli anni 1915 e 1916, dopo aver consultato e annotato una vastissima letteratura, come appare dai Quaderni sull’imperialismo pubblicati anche in lingua italiana, la sua opera che intitola L’imperialismo quale fase suprema del capitalismo, e che chiama
“saggio popolare”, proprio perché doveva servire come arma teorica a larghe masse.
Egli dichiara subito qual è lo scopo del suo libro nella prefazione alla prima edizione russa, che appare nell’aprile 1917. Egli intende chiarire “il problema economico fondamentale, senza l’esame del quale sono incomprensibili l’attuale guerra e l’attuale situazione politica: vale a dire il problema dell’essenza economica dell’imperialismo”, e già nella prima pagina del testo dice: “non ci occuperemo, benché lo meritino, dei lati non economici del problema”,
Lo scopo della sua lotta politica e ideologica era infatti quello di combattere la tesi che l’imperialismo fosse una politica del capitalismo, come, specie dopo il loro tradimento, sostenevano teorici come Kautsky e compagni, contro i quali Lenin scrive numerosi articoli; e di dimostrare che l’Imperialismo è uno stadio o fase del capitalismo, il suo stadio più elevato e ultimo.
Per questo il titolo è già chiaro e polemico: L’Imperialismo quale ultimo stadio o fase del capitalismo.
Lenin introduce cioè il concetto importante di fase. È importante questo concetto perchè dimostra che l’imperialismo è un momento necessario, che nasce in base alle leggi proprie dello sviluppo capitalistico, che Marx aveva scoperto, e che quindi è sempre capitalismo, non qualche cosa di nuovo, ma è un capitalismo particolare: il capitalismo dei monopoli.
Tener presente questo concetto di fase. è ancor più importante oggi, perché la ideologia borghese cerca di dimostrare che non si è più nel capitalismo; ma in un regime economico particolare e ciò per mistificare la realtà, confondere le idee.
Vi è una corrente teorica, infatti, la quale sostiene che noi viviamo oggi in una specie di “capitalismo popolare o democratico” e questa tesi, sostenuta teoricamente da socialdemocratici, specie dallo Strachey il cui libro Capitalismo contemporaneo è stato tradotto anche in italiano, ha avuto fortuna attorno al 1960 ma la sua influenza è successivamente andata riducendosi. Essa sostiene che lo sviluppo democratico ha cambiato la natura del capitalismo e delle sue leggi economiche e di sviluppo e che il controllo popolare dello “Stato democratico” può permettere un controllo dei monopoli ed uno sviluppo economico nell’interesse delle masse.
Riappare ancora la scissione tra politica ed economia.
Vi è oggi, molto più importante e di moda, la tesi della “tecnostruttura” sostenuta in particolare dal Galbraith, da ultimo nel suo libro, apparso anche in italiano, Il nuovo Stato industriale. Qui si sostiene che non si è più nel capitalismo, perché le grandi società sono amministrate dai tecnici e non dai capitalisti.
Sono amministrate cioè, secondo lui, in modo da raggiungere il massimo di espansione economica, nell’interesse di tutti. Si dice ancora che il “mercato” conta sempre di meno, perché la tecnica produttiva moderna esige che si pianifichino per un periodo abbastanza lungo produzione e consumo. Di conseguenza non sono più operanti le vecchie leggi economiche del capitalismo: siamo in un nuovo sistema, né capitalista, né socialista, che si può definire di “tecnostruttura”.
Anche con questa tesi si cerca di mistificare la realtà, cogliendo qualche fenomeno che trova riscontro in essa, ma generalizzandolo, al fine di negare la interpretazione marxista.
Le masse si accorgono nella loro esperienza quotidiana di lotta che si vive sempre nel capitalismo, che opera sempre la legge del profitto e dello sfruttamento e che si deve lottare sempre contro il capitale, privato o di Stato che sia, e tale coscienza si va accrescendo con le grandiose lotte unitarie che rappresentano la caratteristica degli ultimi tempi. Ma non è sufficiente. Occorre rendersi conto anche teoricamente di questa realtà: per questo Lenin è sempre vivo, e vivo è il suo concetto di imperialismo quale fase del capitalismo, rispondente alle leggi proprie dello sviluppo capitalistico. Per far un esempio che mi pare chiaro, anche la vita dell’uomo passa attraverso varie fasi, l’infanzia, la gioventù, la maturità, la vecchiaia. In ognuna di queste fasi vi sono modificazioni nell’organismo umano, che tutte assieme caratterizzano la fase particolare. Ma le leggi biologiche fondamentali continuano sempre ad operare, anche nella vecchiaia, che, riportandoci al capitalismo, può paragonarsi all’imperialismo.
Vi erano stati nel capitalismo grandi mutamenti già ai tempi in cui Lenin scriveva e tutti assieme hanno caratterizzato la fase che Lenin chiamò imperialismo. Altri e grandiosi mutamenti sono intervenuti negli ultimi cento anni, dall’epoca in cui Lenin scrisse. Di questi mutamenti occorre tener conto e il pensiero marxista ne tiene conto, tanto che ha caratterizzato il periodo che si è aperto con la prima guerra mondiale, come periodo della “crisi generale del capitalismo”, in cui vi è una perenne instabilità economica e politica.
Sorge e si sviluppa il sistema socialista, crolla per la lotta di liberazione nazionale la vecchia organizzazione colonialistica, si susseguono crisi di ogni genere. Ma siamo sempre nell’imperialismo, cioè in una fase del capitalismo e vigono e operano sempre le leggi economiche fondamentali del sistema capitalistico. Questo non deve mai essere dimenticato: combattere e abbattere l’imperialismo significa combattere e abbattere il capitalismo.
Oggi, dopo oltre cento anni dallo scritto di Lenin, masse sempre più numerose prendono coscienza della realtà in cui vivono e lottano contro l’imperialismo e i suoi continui misfatti. Ma per questo occorre meglio conoscere il significato leninista di imperialismo, ricordare le caratteristiche con cui Lenin ha definito l’imperialismo, che sono:

1) la concentrazione e centralizzazione crescente del capitale, fenomeno già presente in modo rilevante quando scriveva Lenin, ma che ha continuato a svilupparsi e in modo sempre più rapido negli ultimi anni (basta ricordare in Italia le recenti colossali fusioni);

2) l’aspetto sempre più finanziario che assume il capitale, con la creazione di complessi che dominano finanziariamente settori produttivi e di servizi sempre più vasti. Anche il concetto leninista di capitale finanziario, altra caratteristica dell’imperialismo, si è cioè ulteriormente sviluppato;

3) così, importanza ancora maggiore, ha assunto l’esportazione di capitali, la internazionalizzazione del capitale. Tuttavia le nuove forme non modificano la sostanza del concetto sviluppato già da Lenin;

4) più stretto si è fatto il rapporto tra oligarchia finanziaria e Stato, anche se il mutarsi dei rapporti di forza tra classe dirigente capitalistica e classe operaia nella società, grazie alla lotta delle masse e all’esistenza del sistema socialista, influisce sulla struttura dello Stato e apre nuove possibilità di sviluppo democratico;

5) non è cessato il fenomeno della divisione del mondo in sfere di influenza, anche se l’imperialismo statunitense è oggi predominante; non è cessata la legge dello sviluppo diseguale del capitalismo e quindi il continuo mutarsi dei rapporti di forza tra i capitalismi, base economica dei contrasti tra i paesi imperialistici e degli squilibri economici internazionali. Non è cessato, anche se ha assunto nuovi aspetti, lo sfruttamento dei paesi imperialistici sui paesi sottosviluppati, anche se questi ultimi sono formalmente indipendenti e questo sfruttamento viene mantenuto sotto la guida dell’imperialismo statunitense, non solo con armi economiche, ma con misfatti Vergognosi, aggressioni, come nel Vietnam, intrighi e colpi di Stato come in America Latina, in Africa, in Asia.

Non ha modificato questa situazione l’unico fenomeno veramente nuovo, che era sul nascere ai tempi di Lenin e a cui Lenin ha accennato in scritti successivi al suo libro sull’imperialismo e cioè il capitalismo monopolistico di Stato.
Anche questo fenomeno, reso necessario nell’ulteriore sviluppo del capitalismo, per evitare crisi economiche disastrose e assicurare la riproduzione economica, deve, nelle intenzioni della classe dirigente capitalistica, garantire il saggio di profitto desiderato. Questo è il suo scopo e per questo vengono usati tutti gli strumenti di politica economica, di controllo di salari. di sussidi, di premi di produzione, e infine lo strumento più importante, la manovra monetaria, che attraverso la lenta inflazione riduca i salari reali e accresca i profitti.
Siamo sempre nel capitalismo e nella sua fase dell’imperialismo e il lettore che sia un combattente contro l’imperialismo deve sentire il dovere anche di approfondire la sua conoscenza teorica, leggendo il saggio di Lenin e gli scritti più recenti, tra i quali mi permetto di suggerire  Economia Politica di Antonio Pesenti (Verona, 5 ottobre 1910 – Roma, 14 febbraio 1973), che nell’ultima parte tratta ampiamente dell’imperialismo attuale.

Se si volesse dare la più concisa definizione possibile dell’imperialismo si dovrebbe dire che l’imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo. Tale definizione conterrebbe l’essenziale, giacché da un lato il capitale finanziario è il capitale bancario delle poche più grandi banche monopolistiche, fuso col capitale delle unioni monopolistiche industriali, e dall’altro lato la ripartizione del mondo significa passaggio dalla politica coloniale, estendentesi senza ostacoli ai territori non ancora dominati da nessuna potenza capitalistica, alla politica coloniale del possesso monopolistico della superficie terrestre definitivamente ripartita.
Lenin

I cinque principali contrassegni dell’imperialismo sono:
1. la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare I monopoli con funzione decisiva nella vita economica;
2. la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo “capitale finanziario”, dl un’oligarchia finanziaria;
3. la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci;
4. il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti che si ripartiscono il mondo;
5. la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.
L’imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo, in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l’esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell’intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici.
Lenin

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