MORGANTE MAGGIORE

LUIGI PULCI

Luigi Pulci (1432-1484), fiorentino, arguto, mordace, fu benvoluto ed ospitato alla sua Corte da Lorenzo de’ Medici che gli affidò parecchi incarichi politici e l’esortò a seguire la sua inclinazione per le Lettere. La madre del Magnifico, poi, Lucrezia Tornabuoni, lo sollecitò a scrivere il Morgante, il suo capolavoro, opera gioconda e stravagante in cui il poeta trattò la materia dei cantastorie popolari con brio e spregiudicatezza senza mai giungere alla parodia del mondo cavalleresco. Il Pulci lasciò inoltre alcuni sonetti satirici e un poemetto in ottave la Beca da Dicomano ad imitazione della Nencia del Magnifico.

Orlando è sdegnato perché Carlo Magno si fida di Gano di Maganza e non si accorge dei suoi tradimenti: decide quindi di partire dalla corte che anche Rinaldo abbandona: nel suo errare il Paladino incontra il gigante Morgante, lo converte alla religione cristiana, lo costringe a servire i frati di una badia, che prima disturbava, e lo nomina suo scudiero. Da questo momento affrontano insieme, talvolta anche con Rinaldo, le più avvincenti e strane avventure: sciolgono incanti, si battono con mostri, convertono alla Fede i vinti. Ma quando i Saraceni diventano minacciosi verso la Francia, Carlo può contare sulla spada dei suoi prodi che sconfiggono i nemici. Gano, però, medita il tradimento e si mette segretamente d’accordo col re di Spagna, Marsilio, per assalire all’improvviso la retroguardia dell’esercito di Carlo, affidata ad Orlando.
Nella gola di Roncisvalle, per la quale i Paladini devono passare per tornare in Francia, i Mori li attaccano con forze preponderanti: Orlando esita a suonare il corno per richiamare Carlo Magno, ma alla vista di tanti prodi caduti e sentendosi mancare le forze, dà il segnale e l’imperatore accorre in suo aiuto, trovando al suo arrivo, sul luogo della battaglia, Orlando ed i suoi morti col viso rivolto verso il nemico. Carlo Magno, finalmente convinto del tradimento di Gano, lo fa squartare e fa impiccare Marsilio.