NICCOLÒ PAGANINI

NICCOLÒ PAGANINI

Esiste ancor oggi a Genova, in quella parte della città “vecchia” ammassata fra il porto e la Cattedrale di San Lorenzo, una stradicciola angusta, il classico “carrugio”, dal nome suggestivo di Passo di Gatta Mora. Il piano regolatore prevede, in quella zona, un radicale sventramento delle vecchie case per fare posto a nuovi, modernissimi palazzi; ma quando la demolizione arriverà al numero 38 del Passo di Gatta Mora, un’ordinanza municipale interverrà a salvare la casa dove il 28 ottobre 1782 nacque Niccolò Paganini.

L’AMBIENTE FAMILIARE

Anche se abitavano in un quartiere popolare, i Paganini non erano affatto poveri. Possedevano un’altra casetta sulla riva del fiume Polcevera, alla periferia di Genova, e potevano essere considerati dei piccoli borghesi dai gusti un po’ eccentrici. Infatti il padre di Niccolò, pur lavorando in porto come spedizioniere, coltivava la passione della musica, al punto da essere considerato “virtuoso di mandolino”. E la madre, una donna semplice e suggestionabile, si esaltava davanti ai manifesti che annunciavano i concerti, sognando un grande avvenire musicale per i suoi due figli, Niccolò e Carlo.

UNO “STRANO” RAGAZZO

In questa atmosfera vagamente artistica il piccolo Niccolò trascorse i .suoi primi anni di vita. Era di costituzione gracile e di salute delicata, tanto che si temeva non vivesse a lungo. Spesso 1a madre, guardandolo, si domandava con angoscia come avrebbe potuto difenderlo dalla sua eccessiva sensibilità.
Infatti quel ragazzino pallido e smunto, che sembrava perso in un mondo tutto suo, si trasformava completamente ascoltando la musica. Gli accordi dell’organo in chiesa lo emozionavano a tal punto che la pelle gli si ricopriva di sudore e gli occhi gli brillavano come per febbre.

Suo padre gli aveva messo in mano un piccolo violino insegnandogli le prime nozioni musicali, ma ben presto il fanciullo era diventato più bravo di lui. Passava ore e ore chiuso nella sua cameretta ai studiare gli spartiti, un po’ perché costretto dalla ferrea disciplina che gli imponeva il padre e un po’ perché, ogni giorno di più, si appassionava allo studio del violino. Ben presto cominciò a inventare nuove tecniche con le quali riusciva a trarre dallo strumento effetti mai uditi pri.ma. A otto anni scrisse una sonata e ne aveva forse dodici quando dette il suo primo concerto. L’esibizione fu un vero successo: le sue “variazioni” sbalordirono il pubblico, che fu affascinato dal virtuosismo del giovanissimo artista.
Fu allora che cominciò a nascere, attorno alla sua sconcertante personalità e al suo prodigioso talento, un alone di leggenda che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.

PAGANINI E IL DIAVOLO

I biografi, e non .solo loro, si sbizzarrirono in tutti i modi per trovare un motivo soprannaturale alla “diabolica” arte del grande violinista. Paganini stesso favorì la nascita di tali supposizioni: raccontava volentieri, con ricchezza di particolari, la visione che sua madre aveva avuto molti anni prima. Una creatura celeste, forse un angelo o forse un demone, era apparsa in .sogno alla buona donna e le aveva concesso la possibilità di esprimere un desiderio. Lei aveva chiesto che il figlio Niccolò diventasse il più grande violinista di tutti i tempi.
È certo che il musicista accresceva questa sua fama straordinaria divertendosi a sbalordire il pubblico. Per esempio, concludeva ogni concerto facendo saltare tre corde del suo violino e dall’ultima rimasta traeva incredibili virtuosismi che, per la difficoltà di esecuzione, avevano qualcosa che andava sicuramente oltre le capacità umane.
Si era in pieno periodo romantico e ogni artista posava a stravagante e a ribelle: Paganini non aveva bisogno di troppe finzioni per apparire tale. Stravagante lo era per natura, e bizzarro era anche il suo aspetto fisico, che aveva risentito molto delle lunghe ore di studio durante l’infanzia. Alto, dinoccolato, di una magrezza spettrale, aveva un volto pallido nel quale spiccavano un gran naso e due occhi magnetici e beffardi.
Amava suonare nelle notti di tempesta con le finestre spalancate, mentre la pioggia e il vento gli sferzavano il volto. Non ci voleva altro perché i maligni concludessero che lui e Satana “stavano nella più intima relazione, se pure non erano la stessa cosa”.
In realtà Paganini era soltanto un ribelle, che non si curava affatto delle convenzioni umane.

L’ARTISTA

La critica del suo tempo e ciò che narrarono quanti ebbero la fortuna di udirlo suonare ci hanno tramandato la certezza che l’arte di Paganini sia stata diversa da quella di ogni altro violinista.  L’arte violinistica, per merito suo, fu avviata su un nuovo, inesplorato cammino e si staccò completamente dalla tradizione. Egli sapeva imitare col suo violino grida animalesche, voci di vecchie e di streghe, fragori di tempeste e molti altri suoni della natura.
Anche se egli si servì talvolta di trucchi per ottenere certi effetti, possiamo dire che il virtuosismo di Paganini non conosceva limiti: la sua mano, tutt’uno con l’archetto, superava qualsiasi difficoltà; egli doveva sicuramente questa straordinaria abilità alle lunghe ore di esercizio fatte da ragazzo, durante le quali la mano gli si era snodata in modo eccezionale.

Conteso dalle più importanti corti d’Europa, si esibì in Austria, in Germania, in Boemia, in Francia e in Inghilterra.
Riscuoteva sempre un successo tale da soffocare le immancabili voci maligne che gl’invidiosi diffondevano contro di lui. Il pubblico lo idolatrava al punto da sborsare somme considerevoli pur di assistere a un suo concerto. La maggior parte dei critici lo riempiva di lodi e grandi musicisti del suo tempo, come Liszt e Rossini, gli manifestarono un’ammirazione incondizionata.
La figura di Paganini esecutore non può andare disgiunta da quella di Paganini compositore, perché in lui l’autore e l’interprete erano legati quasi indissolubilmente. Ci ha lasciato un’ottantina di composizioni.

GLI AMORI

“Non sono bello, ma quando mi ascoltano, le donne cadono tutte ai miei piedi.” Questa affermazione, fatta da Paganini stesso, non deve essere considerata come una vanità del celebre violinista, ma come una patetica confessione. Per tutta la vita questo irriducibile libertino inseguì il sogno di un amore unico, perfetto, duraturo. E forse per questo passò da .un amore all’altro, da una relazione a un’avventura, da una passione a un idillio, sempre deluso e sempre di nuovo attratto. Quando arrivava in una città per un concerto, la sua fama di seduttore lo precedeva assieme a quella di genio. Le donne accorrevano trepidanti alle sue esecuzioni e da lui si aspettavano non solo virtuosismi musicali, ma anche amori intensi come le emozioni che suscitava il suo violino.
Quando Paganini era innamorato, l’esuberanza del suo temperamento lo spingeva a promettere qualsiasi cosa, persino il matrimonio. Ma il fuoco di paglia durava generalmente quanto il soggiorno nella città dove teneva il concerto: gli bastava cambiare luogo per dimenticarsi anche del “grande amore” che vi aveva lasciato.
Una sola volta cercò di prolungare la relazione, e non perché la donna si avvicinasse più delle altre al suo ideale, ma perché aveva saputo dargli qualcosa che nessun’altra gli aveva dato: un figlio.
All’inizio era stata la solita storia: la giovane cantante sconosciuta che si innamora del celebre solista. Paganini dapprima non si mostrò sensibile al fascino della fanciulla. Ma qualche tempo dopo, la senti cantare a Venezia: era un’artista mediocre ma lo seduceva per la sua fresca bellezza. E il destino di Antonia Bianchi fu segnato: insieme viaggiarono in Italia e in Europa e il tempo passò come un turbine fra concerti ed esibizioni. Quando l’amica gli annunciò che attendeva un bambino, Paganini conobbe l’emozione più profonda della sua vita di uomo. Nel luglio del 1825 nacque Achille. La sua venuta non impedì però che, poco dopo, l’artista attraversasse una delle sue tipiche crisi d’insofferenza nei confronti della donna che gli aveva dato un figlio.
L’affetto di Antonia lo opprimeva, la sua gelosia lo infastidiva e lo irritava. La vita in comune divenne impossibile e alla fine si arrivò al distacco definitivo. “Mai, assolutamente mai – scriveva Paganini a un suo caro amico – potrò ancora sentire parlare di lei!” Così naufragava miseramente una unione che avrebbe potuto durare per tutta la vita.
Dopo Antonia vennero altri amori, tutti tempestosi, tutti romantici all’inizio le squallidi alla fine. La salute di Paganini cominciava a declinare e la sofferenza lo rendeva irritabile. L’unica sua consolazione era il piccolo Achille, che aveva legittimato. Il figlio fu lo scopo dei suoi ultimi anni: per lui lavorò e accumulò denaro, fino a farsi la fama di uomo fin troppo accorto in affari.

IL PROFILO AUTENTICO Dl PAGANINI

Come tutti coloro che amano atteggiarsi a cinici senza esserlo, Paganini, sotto la maschera orgogliosa di uomo di mondo e di genio estroso, nascondeva una natura generosa e sensibile. Nel 1832, in una Parigi funestata dal colera, diede ben nove concerti a favore degli ammalati poveri.
Sempre a Parigi, qualche anno più tardi, aiutò un musicista in difficoltà, regalandogli ben 20 mila franchi “in segno di profonda ammirazione”. Quel musicista era un compositore allora sconosciuto: il grande Hector Berlioz, I maligni che volevano far apparire Paganini come un avaro amministratore delle sue sostanze vennero così smentiti.
L’enigmatico e contradditorio Paganini non venne meno alla sua fama neppure di fronte alla morte.  L’uomo che aveva scritto nel proprio testamento: “Proibisco qualunque pompa ai miei funerali… Mi saranno celebrate cento messe dai Padri Cappuccini… Raccomando l’anima mia alla immensa misericordia del Creatore” rifiutò all’ultimo momento i conforti religiosi. Mori a Nizza il 27 maggio 1840; aveva solo 58 anni. La Chiesa proibì per più di trent’anni la sepoltura religiosa, ma infine, nel 1876, le sue spoglie trovarono pace nel cimitero di Parma, città nella quale aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita.

OPERE PRINCIPALI

24 Capricci per violino solista
12 Sonate per violino e chitarra
6 Quartetti per violino. chitarra e violoncello
Concerti per violino e orchestra
“Le streghe” per violino e piano
Variazioni sopra “Il carnevale di Venezia”
“Moto perpetuo” per violino e orchestra.
Di Paganini esistono moltissime composizioni rimaste fino a oggi inedite.

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