L’ARISTOTELISMO DI PIETRO POMPONAZZI

L’ARISTOTELISMO DI PIETRO POMPONAZZI

Fin dall’antichità, alla dottrina di Aristotele si erano collegati due indirizzi opposti d’interpretazione. Il primo sviluppava fino alle conseguenze estreme 1’opposizione al dualismo platonico, e tendeva quindi al naturalismo. Il secondo indirizzo invece accentuava – nell’interpretar la natura e l’uomo – l’azione della realtà spirituale trascendente, che sopravviene dal di fuori in seno alla materia. In questa seconda forma, l’aristotelismo era stato accolto dai neoplatonici e, attraverso questi, dagli Arabi: AVERROÈ ne era stato il più grande rappresentante. La prima interpretazione invece, prevalsa tra gli immediati successori dello Stagirita nella scuola Peripatetica, era stata ripresa specialmente da un commentatore greco del II secolo, ALESSANDRO D’AFRODISIA.

Più in particolare, come abbiamo già accennato in altra parte, il contrasto tra le due interpretazioni di Aristotele si affermava, a proposito della natura dell’anima umana.
Nell’una e nell’altra interpretazione si concludeva che l’anima individuale muore col corpo, in quanto incapace di agire e di esistere disgiuntamente dall’organismo corporeo di cui é forma. Ma l’averrmsmo poteva attribuire all’anima una certa forma, d’immortalità, in quanto essa é partecipe, nell’atto dell’intendere, di quel divino “Intelletto attivo” – separato dagli organismi individuali -, che agisce dal di fuori, unico e identico, in tutte le menti, ed é il solo veramente immortale.
E abbiamo anche veduto gli sforzi di SAN TOMMASO per salvare contro l’averroismo la credenza cristiana nell’immortalità dell’anima individuale.

Tommaso d’Aquino ritratto dal Beato Angelico

E fu proprio il problema dell’immortalià dell’anima quello che all’epoca del Rinascimento suscitò in Italia le più aspre dispute nel campo dell’aristotelismo. Nella Università di Padova l’interpretazione averroistica, sin dagli inizi del secolo XIV, era insegnata da maestri famosi, nonostante le condanne ecclesiastiche. Ma al principio del ’40() vi era già conosciuto e studiato il commento greco di Alessandro Magno (1).

Il portavoce più importante dell’interpretazione alessandrina e quindi dell’indirizzo naturalistico fu il mantovano PIETRO POMPONAZZI (1462-1525), professore a Padova prima, a Bologna poi. Per lui l’ideaea averroistica dell’intelletto separato è una mostruosa fantasticheria: l’anima che intende è la stessa anima che sente e ha immagini; non può anzi intendere, ossia avere concetti, senza immagini. E appunto perciò é impossibile che essa, come sosteneva San Tommaso, sopravvivere a corpo. La funzione essenziale dell’intelletto è quella di astrarre dal fantasma sensibile il concetto; e il fantasma sensibile non si può avere senza organi corporei. Cessata dunque, col dissolversi del corpo, la funzione essenziale dell’anima intellettiva, questa perde il suo essere. Tuttavia, il Pomponazzi avverte l’importanza del carattere immateriale e superorganico (ossia della spiritualità) della funzione stessa dell’intendere, già rilevate da San Tommaso: l’intelletto, astraendo dall’immagine sensibile (fantasma corporeo) l’universale incorporeo, oltrepassa in certo modo la sfera delle cose materiali e dà come un sentore d’immortalità: “in confinio immaterialium aliquid immortalitatis adorat”.

Ma allora, insomma, l’anima è mortale e immortale? Il Pomponazzi ritiene il problema insolubile (“problema neutrum”), ma propende a credere l’anima intellettiva qualcosa dl esteso al pari delle anime vegetative e sensitive, e quindi, in sostanza, una potenza della materia corporea, mortale dunque per sua natura.  Ma, ancora, caduta, la speranza dell’immortalità e venuta a mancare l’aspettaziene d’un premio e d’una pena oltremondana, non si toglierebbe qualsiasi fondamento alla vita etica? No, risponde Pomponazzi: riprendendo un antico concetto stoico, egli afferma che la virtù ha il suo premio in se stessa e il vizio ha in se stesso la sua pena. (2)
Dell’inconciliabilità di questa e di altre tesi da lui sostenute con le credenze cristiane il Pomponazzi é ben consapevole: ma ricorre anche lui al principio già antico della “doppia verità”. Ciò che é vero per il filosofo, può essere falso per il credente, e viceversa: sono due punti di vista differenti che possono anche essere simultaneamente accolti da uno stesso individuo. La religione ha una funzione pedagogica e uno scopo pratico, analogo a quello del legislatore: si tratta cioé di vincere la tendenza del volgo al male; e il volgo, nello stato di immaturità spirituale in cui esso si trova, non può fare a meno di eccitazioni estrinseche per rimanere sul cammino del bene. Da ciò la necessità di precetti e credenze dubbie o insostenibili dal punto di vista della ragione.

Mera tattica o sincero convincimento? Forse l’una e l’altro. Comunque, quest’atteggiamento rese possibile – pur di fronte alla sospettosa vigilanza degl’Inquisitori ecclesiastici – condurre indagini e affermare conclusioni che, se non altro, rinvigorivano il senso critico di contro alle posizioni tradizionali, tenevano vivo l’interesse e la discussione intorno ad oggetti, su cui l’inerte acquiescenza al passato e l’indifierenza avrebbero creato un ristagno del pensiero.

Questo spirito d’indipevndenza, – formatosi all’ombra dello Stagirita (Aristotele) – non tarderà a volgersi contro lo stesso Aristotele e a favorire metodi e intenti nuovi d’indagine. Cose, non formule verbali; osservazioni del particolare e del concreto, non astratte elucubrazioni su essenze universali o vane sottigliezze condotte con serie di sillogismi in forma; aderenza della logica alle libere movenze del pensiero, svincolato da ogni artificiosità formalistica, e quindi alle  spontanee e calde espressioni dell’anima, quali sono studiate dalla retorica nelle forme viventi del discorso: ecco il programma di tutto un indirizzo di reazione alla logica aristotelica, preparatrice  di Bacone e di Galilei. Questo è come il punto di convergenza di due correnti, nelle quali lo spirito nuovo del Rinascimento si era venuto incanalando: la corrente scientifico-naturalistica, che vede nello studio diretto della natura il modo migliore di esser fedeli ad Aristotele, e combatte l’aristotelismo degli Scolastici e degli averroisti, per cui la fisica aristotelica é l’ultima parola della ragione; e la corrente umanistica che ha disgusto per il latino barbaro e l’ispida terminologia degli aristotelici, esalta la retorica come arte dell’eloquenza, sostituendo all’ammirazione per Aristotele quella per Cicerone e Quintiliano, e tende a instaurare per questa via il valore del concreto pur nella conoscenza della vita dello spirito (3).

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(1) Tra gli averroisti dell’Università di Padova cito NICOLETTO VERNIA, che vi insegnò dad 1471 al 1499; ALESSANDRO ACHILLINI, che vi rimase fino al 1518; AGOSTINO NIFO (1473-1516), che fu l’oppositore più vivace del Pomponazzi col suo De immortalitate animae libellus (1518). – L’umanista, che fece conoscere per primo nel Rinascimento i commenti greci di Aristotele, e cioé non solo quello di Alessandro, ma anche quelli di Temistio (IV secolo) e di Simplicio (VI secolo) o contribuì alla svalutazione del commento arabo, fu il già citato ERMOLAO BARBARO (1454-1493) di Venezia, maestro a Padova. – Caposcuola dell’alessandrismo a Padova e a Bologna fu PIETRO POMPONAZZI, nato a Mantova nel 1462, professore prima a Padova dal 1488 al 1509, poi a Ferrara, e infine a Bologna, 1511 fino alla morte avvenuta nel 1525. Nel 1516 scrisse il De immortalitate animae, che suscitò critiche e opposizioni da parte degli averroisti e dei tomisti. Portavoce di questi ultimi fu il suo discepolo GASPARO CONTARINI (1483-1542), al quale il Pomponazzi rispose con un’Apologia (1518); e portavoce dei primi (pur con attenuazioni dell’averroismo in senso ortodosso) fu il già ricordato AGOSTINO NIFO, al quale il Pomponazzi rispose col suo Defensorium (1519), pieno di sprezzo e d’ironia. Altri scritti del Pomponazzi sono il De incantationibus (1520) e il De fato, libero arbitrio, praedestinatione et Providentia (1520). – Rappresentanti dell’aristotelismo padovano – più o meno abilmente conciliato col cristianesimo – nella seconda metà del secolo XVI e nella prima del XVII sono GIACOMO ZABARELLA (nato il 1532; maestro a Padova dal 1564 al 1589) e CESARE CREMONINI (1552-1631) divenuto famosissimo in tutta Europa.

(2) Una tendenza naturalistica il Pomponazzi afferma anche nell’accentuazione dell’idea (pur essa di origine stoica) dell’universale connessione necessaria (fato) delle cose; e inoltre nella ricerca. delle cause di quei fenomeni fisici che per la loro eccezionalità potrebbero esser considerati come miracolosi. Gli angeli o i demoni, egli dice, sono puri spiriti: come possono agire sopra esseri corporei?
Quei fatti portentosi possono dipendere dallo speciale potere di cui in certi individui è fornita l’anima umana: potere puramente naturale, s’intende. Essendo infatti l’uomo il compendio di tutto l’universo, egli può concentrare in sé le occulte virtù di questa o quell’erba, di questo o quel minerale, di questo o quell’astro, e produrre gli effetti portentosi che sono propri di tali virtù. È significativa questa specie di trascrizione – in termini schiettamente naturalistici – dell’idea dell’uomo come microcosmo, che nei neoplatonici era stata svolta in senso metafisico e soprannaturalistico.

(3) Tra i più notevoli rappresentanti dell’antiaristotelismo cito MARIO NIZOLI detto il NIZOLIO (1498-1576), professore per qualche tempo a Parma, autore d’un Antibarbarus philosophicus (1553) e d’un Thesaurus ciceronianus; lo spagnolo LUDOVICO VIVES (1492-1540), che, col suo trattato De disciplinis (1531), precorre in qualche modo il rinnovamento baconiano del metodo, e nel suo De anima et vita (1539) raccomanda lo studio concreto dei fatti dell’anima al posto delle astratte speculazioni sull’essenza dell’anima; e più particolarmente il francese PIETRO RAMO (1515-1572), che, con la sua tesi dal titolo significativo Quaecumque ab Aristotele dicta sunt, commenticia [finzioni] sunt (del 1536) e con le sue Animadversiones in dialecticam Aristotelis (1543 ) fa carica a fondo contro l’aristotelismo e più particolarmente contro il formalismo della logica aristotelica; in luogo della quale esige una specie di studio del pensiero in quelle caratteristiche espressioni di esso che sono le opere di grande eloquenza. I moi scritti gli suscitarono contro l’avversione e l’odio di tutto il professorame aristotelico; attorno a lui si sollevò una vera tempesta; lotte accanite tra ramisti e antiramisti durarono a lungo specie in Germania. Convertitosi al calvinismo nel 1562, egli fu ucciso nella strage della notte di San Bartolomeo (1572).

 

undefinedAristotele nella Scuola di Atene di Raffaello

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