IL BARBIERE DI SIVIGLIA – Cesare Sterbini

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

Cesare Sterbini

Cesare Sterbini (Roma, 29 ottobre 1783 – Roma, 19 gennaio 1831) è stato un librettista e letterato italiano. Antenato di Francesco Uncini. Classicista, poliglotta e, per diletto, anche poeta e musicista fu un ufficiale dell’amministrazione pontificia. È ricordato soprattutto per aver scritto due libretti musicati da Gioacchino Rossini: Torvaldo e Dorliska (1815) e Barbiere di Siviglia (1816).

Nella sua stagione più gloriosa dell’Ottocento, do ad esempio alcune scene tratte da uno dei libretti migliori, che ebbe la fortuna di essere musicato da Gioacchino Rossini: quello del Barbiere di Siviglia che il librettista Cesare Sterbini ricavò nel 1816, in versi, dall’agile prosa di uno dei più grandi capolavori del teatro comico francese del Settecento: Il barbiere di Siviglia di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais.

Lo Sterbini non tradusse il testo originale francese: il suo è un vero e proprio rifacimento, adeguato alle esigenze della musica. Condensò in due i quattro atti dell’originale, soppresse alcuni personaggi, aggiunse “arie” e “cavatine” (cioè passi poetici in versi brevi e molto cadenzati) non tradendo tuttavia lo spirito dell’originale che fu interamente trasferito nel libretto con grande felicità espressiva, talvolta persino più intensa ed efficace.

La trama è molto semplice: il conte d’Almaviva si è innamorato a Madrid di una fanciulla orfana che ha visto nei giardini del Prado. La fanciulla, Rosina, ha un tutore. Bartolo, che la vuole sposare e per sottrarla alla corte del conte l’ha portata con sé a Siviglia. Il conte si trasferisce anch’egli a Siviglia dove. travestito da Lindoro, tenta di raggiungere Rosina e strapparla al vecchio tutore. Lo aiuta nell’impresa Figaro, poeta, barbiere, e, all’occasione, pronto per denaro a qualunque impresa. Superata una serie di buffi incidenti, il vecchio tutore è beffato e Rosina
sposa il conte.

Nella trama non c’è apparentemente molto di originale: Bartolo non è diverso dai vecchi innamorati della commedia antica, Figaro somiglia al servo astuto del teatro latino e rinascimentale; i casi non sono diversi dai tanti portati sulla scena nel passato. Ma lo spirito è nuovo; nella commedia del Beaumarchais, Figaro è pronto, sì, a servire, ma con una autonomia, una grinta, che poco ci manca non ne facciano un rivoluzionario (la commedia è del 1775). Nel libretto dello Sterbini. Figaro è meno sentenzioso e rivoluzionario, ma certamente altrettanto vivo e dominatore dei casi, autentico “factotum” della vicenda.
Nelle scene che presento, il conte d’Almaviva, travestito, ha appena finito di cantare sotto le finestre di Rosina una “albada” (canzone dell’alba) o “mattinata” (“Ecco ridente in cielo spunta la bella aurora ”, ecc.); quand’ecco sopravvenire Figaro, una sua vecchia conoscenza di Madrid, che canta la sua “cavatina”, uno dei pezzi più geniali del melodramma buffo ottocentesco.

.