Alexander Von Humboldt – Il re delle scienze

Alexander Von Humboldt

Il re delle scienze

Alexander von Humboldt (Berlino, 14 settembre 1769 – Berlino, 6 maggio 1859) è stato un naturalista, esploratore, geografo e botanico tedesco.

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Quando in un giorno del maggio del 1859, Alexander von Humboldt entrò nel regno del definitivo ed eterno riposo, egli aveva quasi compiuto i novant’anni.
Aveva percorso l’Asia fino ai confini della Cina ed esplorato il Sud America percorrendo regioni dove non era mai penetrato nessuno.
Aveva lavorato come minatore nelle viscere della terra e aveva scalato nel 1802 il Chimborazo, nel Perù, che con i suoi 5.759 metri d’altezza rappresentava in quel momento la vetta più elevata raggiunta dall’uomo.

Aveva servito come gentiluomo di camera due re, aveva diviso con gli indios d’America il cibo e la capanna, era nato milionario ed era morto povero.
Siamo all’inizio di agosto del 1804.
Parigi aveva già dimenticato la sua grande rivoluzione; il nuovo imperatore Napoleone stava per sottomettere tutta l’Europa.
Due uomini che già varie volte erano stati dati per morti, ritornavano dalle colonie spagnole del centro e del sud America: questi due uomini erano lo scienziato Alexander von Humboldt, appartenente alla nobiltà prussiana, e il botanico Bonpland, un appassionato ammiratore della rivoluzione francese.
La fama che li precedeva era straordinaria come la loro vita.
A Parigi già da un pezzo fiorivano le piante i cui semi erano stati inviati in Europa dai due esploratori e negli erbari della Senna erano già gelosamente custoditi gli esemplari di migliaia di specie che essi avevano spedito da Lima, dal Messico e dall’Avana perchè gli specialisti potessero esaminarle e studiarle.
Quasi la decima parte di queste specie era composta da piante che i botanici europei vedevano per la prima volta.
Per cinque anni i due esploratori avevano navigato per fiumi sconosciuti servendosi delle canoe degli aborigeni, avevano vagato per le foreste vergini e per luoghi dove mai nessun europeo aveva messo piede.
La loro unica meta era quella di scoprire nuovi orizzonti e verso questi essi si dirigevano senza posa.
La possibilità quasi unica di poter effettuare esplorazioni così vaste era dovuta alla felice concomitanza di fattori sia politici che economici.
Col trattato di Toresillas, sottoscritto nel 1494, il Papa aveva riconosciuto la divisione del Nuovo Mondo in due zone d’influenza, l’una dominata dalla Spagna, l’altra dal Portogallo e queste due potenze erano riuscite per tre secoli a conservare gelosamente i loro imperi contro le mire di tutti gli altri Stati.
Le notizie dirette che si avevano su quegli sterminati territori erano per lo più portate da trafficanti e avventurieri ed erano, naturalmente, frammentarie e insufficienti per le esigenze di una scienza che si stava rapidamente avviando verso la sua massima fioritura.
Erano tuttavia sufficienti per far intravedere alla corte spagnola l’esistenza di grandi ricchezze minerarie e quindi la possibilità di rimpinguare di oro e di argento le sue esauste casse; occorreva perciò organizzare una sistematica esplorazione geologica e un razionale sfruttamento delle miniere.
E’ per questo che Alexander von Humboldt, profondo conoscitore della tecnica mineraria e dell’arte di fondere i metalli, ebbe l’occasione di entrare nella Nuova Spagna per esplorarla liberamente.
Sul suo passaporto, firmato dal re di Spagna in persona, stava scritto: « il portatore si reca nelle terre americane e nei possedimenti d’oltremare con l’incarico di studiare la situazione mineraria ».
Accettando questo incarico, Humboldt e il suo accompagnatore coglievano la grande occasione della loro vita.
Sulle rive dei fiumi della foresta vergine, nella solitaria immensità della pampa venezuelana, nei gelidi altopiani delle Ande, in ogni luogo dove ci fosse qualcosa da vedere, i due esploratori lavorarono intensamente senza trascurare nessun ramo della scienza.
Non risparmiarono alcuno sforzo quando si trattava di procurarsi dei dati su fenomeni naturali ancora ignorati o informazioni su popolazioni e paesi ancora sconosciuti.
Così, giorno per giorno, essi raccoglievano migliaia di nuove conoscenze e ognuna di esse aveva una grande importanza scientifica.
E’ quindi comprensibile che il loro arrivo a Parigi, nel 1804, fosse accolto con grande curiosità ed entusiasmo.
Berthollet, membro autorevole dell’Accademia di Francia, accolse Alexander von Humboldt, che aveva allora solo 35 anni, con le parole:
« Quest’uomo riunisce in sè un’intera Accademia ».
Il suo lavoro fu giustamente esaltato ed apprezzato.
Ben diversa fu invece la reazione di Napoleone: egli non poteva tollerare che il celebre esploratore gli sottraesse una parte di gloria e monopolizzasse l’attenzione del pubblico, per di più dando prova di essere animato da uno spirito democratico-borghese.
Infatti quando lo scienziato gli venne presentato, Napoleone lo liquidò dicendogli:
“Ah, vi occupate di botanica? Lo fa anche mia moglie!”.
Humboldt registrò il disprezzo che si celava nelle parole dell’imperatore e da quel momento evitò accuratamente di frequentare il suo entourage.
A Parigi si legò invece d’amicizia con i migliori intelletti della sua epoca e stese il programma dei suoi viaggi di studio e di lavoro alla fine dei quali, vent’anni dopo, egli pubblicava una monumentale opera in 33 volumi che fu tra le più importanti e apprezzate del suo tempo.
In essa infatti Humboldt gettava le basi della Geografia scientifica, dell’Oceanografia e della Geografia botanica; tutte discipline fondamentali per la conoscenza del globo terracqueo.
Tuttavia ci fu un altro grande contemporaneo che non seppe giustamente apprezzare l’opera di Humboldt: Fredrich Schiller.
Egli rimproverava infatti al grande esploratore di dare molta più importanza alla pratica che alla teoria, di essere una specie di Nestore della scienza moderna, di perdersi dietro argomenti troppo limitati e frammentari ed era quindi scettico che i suoi studi potessero rivestire un carattere veramente universale.
In realtà il merito di Humboldt sta proprio in questo e cioè nell’aver voluto osservare con esattezza la realtà confrontando i risultati raggiunti e cercando di scoprire con la meditazione, appoggiata dall’osservazione diretta, le leggi più profonde della natura.
E’ proprio per questo che il suo lavoro ha avuto un carattere di universalità che, nonostante l’opinione di Schiller, nessuno studio fatto a tavolino gli avrebbe potuto conferire.
Quando Humboldt scala la vetta del Chimborazo, egli non si accontenta di osservare e descrivere il paesaggio e la flora, ma annota diligentemente gli effetti che le grandi altezze hanno sulle reazioni fisiologiche dell’organismo umano ponendo così le basi dell’alpinismo scientifico.
E’ proprio perchè egli esplora che alla fine è in grado di trarre delle conclusioni definitive sui fenomeni sismici e sul segreto delle loro eruzioni e sul come si sono formate le montagne.
Ed è proprio perchè egli studia diligentemente migliaia di piante che alla fine riesce a scoprire non solo la loro struttura e la loro fisiologia, ma anche le loro relazioni con l’ambiente e l’influenza che hanno sul mondo vegetale l’altitudine, il clima e la composizione chimica del terreno.
Questo metodo sperimentale e comparativo è stato seguito da Humboldt in tutti i campi della scienza mentre ogni speculazione pura e astratta viene da qui bandita; egli non perdeva mai d’occhio le conseguenze pratiche delle sue ricerche sia che si trovasse nelle colonie spagnole o a Parigi.
Il suo genio consisteva soprattutto nella capacità di collegare immediatamente ogni analisi particolare con la situazione e gli aspetti storici, naturali e culturali del problema.
Egli era estremamente sensibile nel cogliere non soltanto le correlazioni geografiche, ma anche quelle sociali di una data realtà.
Ne fanno fede i suoi mirabili studi sui popoli aborigeni d’America e sul regime schiavista imperante a Cuba.
“E’ inaudito – si può leggere nel saggio di Humboldt Sulla situazione politica di Cuba – che al giorno d’oggi, nelle Indie Occidentali, i coloni bianchi marchino i loro schiavi col ferro rovente per poterli facilmente rintracciare in caso di fuga. Questo è il trattamento infatti che viene riservato a gente che risparmia agli altri le più pesanti fatiche del lavoro nelle piantagioni”.
E più avanti:
“A questa parte della mia opera, dedicata alla vergognosa situazione di Cuba, dò un’importanza maggiore che ai miei pur difficili lavori sull’orientamento astronomico”.
Ed è qui nel prendere partito a favore dei popolo ridotti in schiavitù e crudelmente sfruttati dai colonizzatori, nel descrivere le possibilità agricole ed industriali di quei paesi sottosviluppati, che si proietta la grande figura di Humboldt fino a trascendere il suo tempo.
Con questi suoi scritti e con i contatti personali stretti a Parigi con Simon Bolivar, l’uomo che pochi anni dopo doveva entrare nella storia come il fondatore degli Stati indipendenti dell’America Latina, Humboldt influì indubbiamente sul movimento di liberazione che andava maturando in tutto il continente.
Lo stesso Bolivar pronunciò più tardi parole significative che confermavano questo fatto:
“Alexander voti Humboldt è il vero scopritore dell’America del Sud; il Nuovo Mondo deve molta più riconoscenza a lui che a tutti i Conquistadores messi insieme”.
Così, per una delle frequenti ironie della storia, la spedizione di Humboldt nel Sud-America Patrocinata e finanziata dal re di Spagna, contribuì in definitiva alla distruzione dell’impero coloniale spagnolo.
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Humboldt e Aime Bonpland ai piedi del vulcano Chimborazo
Friedrich Georg Weitsch (1758–1828)
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L’opera di Humboldt non finisce però qui; ci sarebbe ancora molto da dire sul periodo di intensa creatività che egli ebbe a Berlino.
Nel 1822 lo scienziato si trovava ormai ridotto in estrema povertà.
90.000 talleri dell’eredità materna (corrispondenti a circa 150 milioni di lire attuali) erano completamente sfumati nel suo lavoro di ricerca, nei suoi viaggi scientifici e nella pubblicazione della sua monumentale opera.
Egli sacrificò tutto quanto possedeva, la sua fortuna e la sua indipendenza, sull’altare della scienza.
Ridotto in miseria fu costretto ad accettare la carica di gentiluomo di camera del re: si decise a questo passo soprattutto per avere una base materiale concreta per sviluppare ulteriormente i suoi piani scientifici che erano tutt’altro che modesti.
Alexander von Humboldt considerò sempre che il fondamentale dovere degli scienziati fosse quello di servire l’umanità e di divulgare tra il popolo in modo comprensibile i risultati della ricerca scientifica.
Animato da questo spirito, nel 1827-28 tenne una serie di conferenze divulgative all’Università di Berlino, fondata da poco da suo fratello Guglielmo, sulla sua visione scientifica del mondo.
Lo scienziato autodidatta seppe comunicare il suo sapere in forma tanto comprensibile e convincente anche quando esponeva gli argomenti più complessi, che le sue conferenze divennero in breve tempo talmente popolari da attirare un pubblico sempre più numeroso, un pubblico che non trovava più posto nella grande sala dell’università prussiana; fatto questo che fino a quell’epoca non si era mai verificato.
Humboldt fu perciò invitato a replicare il suo ciclo di conferenze nella più grande sala allora disponibile a Berlino, che si trovava all’Accademia di canto dell’attuale teatro Massimo Gorki.
Come conseguenza di questo enorme successo, maturò in Humboldt un progetto a proposito del quale egli scrisse all’amico Varnhagen von Ense:
“Mi è venuta l’idea assurda di esporre in una grande opera tutto ciò che noi sappiamo del mondo materiale, dei fenomeni celesti, della vita sulla terra… Ogni grande idea, da qualunque parte essa provenga, dovrebbe poter trovare in quest’opera il posto che le compete”.
In quel momento Humboldt aveva bisogno di ricorrere a tutta la sua forza d’animo per realizzare questo progetto.
Il re era certamente molto lusingato ed onorato di avere tra i suoi gentiluomini di camera uno scienziato così illustre, però non era troppo propenso a finanziare un’opera di questo impegno.
Humboldt cercava di ottenere con tutte le sue forze quanto gli stava a cuore, ma il re si limitava a farsi esporre gli argomenti, a farsi leggere qualche relazione dei suoi viaggi e a fargli perdere un sacco di tempo in inutili conversazioni.

A Humboldt non restò altro da fare che attingere a piene mani dal materiale di studio da lui raccolto durante i numerosi viaggi e di lavorare ogni notte alla stesura del manoscritto.

Pagina degli appunti di Humboldt durante il suo viaggio nel Sud America
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Riuscì così, in due anni di tenace lavoro notturno, a terminare la sua opera grandiosa a cui diede il titolo di “Cosmos – tentativo di una descrizione scientifica del mondo”.
Si trattava di una documentazione completa dei risultati a cui erano pervenute le scienze naturali e, nello stesso tempo, di un’opera di divulgazione scientifica intesa nel miglior senso della parola.
Con la pubblicazione del “Cosmos” e con le conferenze del 1827-28 incominciò in Germania l’era della divulgazione scientifica, dell’università popolare e dell’istruzione scientifica unificata.
Ad Alexander von Humboldt va quindi il merito di esser stato il primo scienziato che abbia trasmesso al popolo le sue conoscenze scientifiche e di aver tratto da esse un orientamento generale sconosciuto fino a quel momento, data l’unilateralità e la visione ristretta delle cose che dominava nella cultura ufficiale del tempo.
Con questa visione generale e legata alla realtà delle cose egli anticipava un’esigenza che ai nostri giorni appare fondamentale per fondare un’istruzione che sia capace di assicurare lo sviluppo armonico di tutti gli uomini.
Non si può a questo punto trascurare un’ultima e non meno importante conseguenza dell’opera di Humboldt.
Il “re di tutte le scienze” (così era infatti soprannominato dai contemporanei), era perfettamente cosciente che un uomo solo non avrebbe mai potuto riassumere in sè tutte le conoscenze dello scibile e che, se anche ciò fosse avvenuto, non avrebbe mai potuto raggiungere un’elevata specializzazione in tutte le materie.
Perciò, per non correre il pericolo che la scienza, monopolizzata da un solo scienziato, sia pure eccezionalmente dotato, cadesse nella superficialità, Humboldt si preoccupò di creare dei collettivi di lavoro composti da studiosi specializzati nei singoli rami del sapere.
Così, per esempio, durante i suoi viaggi nel Sud-America e negli altri paesi egli creò una rete di 52 osservatori meteorologici distribuiti in tutto il mondo.
Grazie alla sua esperienza ed alla sua enorme capacità di lavoro egli riuscì a indirizzare il lavoro di numerose schiere di specialisti passando da un campo all’altro dello scibile e percorrendo un cammino che è possibile ripercorrere soltanto con un grande sforzo scientifico.
Alexander von Humboldt fu un grande scienziato e un grande umanista.
Il suo nome è conosciuto in tutto il mondo.
Nel Sud-America si incontra frequentemente la sua statua, mentre dalla California all’Asia Centrale molte montagne portano il suo nome e così pure parecchie baie del Pacifico e città ed una delle più importanti correnti marine.
Vie, piazze, università e biblioteche gli sono dedicate.
Egli fu il primo a proporre lo scavo del canale di Panama; contribuì a far accettare a un’opinione pubblica ostile la dagherrotipia e la fotografia, inventò le maschere respiratorie e le lampade di sicurezza per il lavoro in miniera.
Fin dall’inizio questo spirito veramente universale incontrò nemici e detrattori, i quali sostenevano che, in tutta la sua attività, Humboldt non aveva scoperto in fondo nulla di veramente nuovo, nè una legge a cui legare il suo nome come avevano fatto Newton o Darwin.
E infatti questo è vero.
Ed è questa la ragione per cui l’opera di Humboldt non è presente alla nostra mente ed attuale come quella del fondatore della meccanica celeste o dello scopritore dell’evoluzione della specie.
Bisogna però anche ammettere che la grandezza di Humboldt non va ricercata in una sua singola opera o impresa, ma nell’intero complesso della sua vita e delle sue realizzazioni.
Egli non ci ha dato una singola grande scoperta, ha però offerto la possibilità alle generazioni che lo hanno seguito di comprendere scientificamente il mondo in cui viviamo.
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L’ultimo ritratto di Alexander von Humboldt di Julius Schrader (1859). Sullo sfondo il Chimborazo
(Vedi qui file originale)
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Alexander von Humboldt e Aimé Bonpland sull’Orinoco (1950)
Dipinto di Eduard Ender (1856)
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