CESARE PAVESE – Vita e opere

CESARE PAVESE

In campo culturale Pavese ha esercitato un peso analogo a quello di Vittorini, seppure suscitando minor clamore e consensi meno aperti, dato il carattere diverso dei due scrittori. Tuttavia i suoi romanzi hanno continuato a essere oggetto di lettura appassionata da parte dei giovani delle generazioni successive.
Pavese nacque a Santo Stefano Belbo (Cuneo) nel 1908; ricevette l’educazione tradizionale della buona borghesia torinese, frequentando scuole serie e severe. Si laureò in lettere, quindi si dedicò al1’insegnamento; tradusse nel frattempo molti romanzi americani, divenendo cosi uno dei più affermati specialisti della letteratura d’oltreoceano. Dopo che fu fondata la Casa editrice Einaudi (1933), fu tra i primi e più assidui collaboratori, insieme ad altri intellettuali. Arrestato per attività antifascista, scontò un anno di confino a Brancaleone Calabro.
Pubblicò la sua prima opera, Lavorare stanca, su “Solaria”, nel 1936.
Dopo questa raccolta di poesie nel 1941 uscì il romanzo Paesi tuoi.
Durante la guerra fu combattuto tra l’ansia di partecipare alla vita politica e l’impossibilità di farlo sia sul piano personale che su quello ideologico. Questo dissidio interiore tra ciò che era e ciò che avrebbe voluto essere si perpetuò anche nel dopoguerra, quando si iscrisse al PCI.
Successivamente isolamento, critiche e attacchi accentuarono il suo disagio personale. Tra i romanzi e i racconti di quegli anni occorre ricordare: Feria d’agosto (1946), Dialoghi con Leucò (1947), Il compagno (1947), Prima che il gallo canti (1949), La bella estate (1949) e La luna e i falò (1950).

Pavese morì suicida a Torino nel 1950.

Tra gli scritti postumi, va menzionato II mestiere di vivere. Diario 1935-1950.

Sono due le tematiche centrali della produzione dello scrittore: il mondo della provincia e l’infanzia. L’ambiente in cui colloca le vicende è il Piemonte, e più precisamente le Langhe e Torino. Mentre le prime sono simbolo della genuinità e dell’autenticità della vita di campagna, il capoluogo piemontese è l’emblema della vita poco sincera e anonima della città. Il personaggio più frequente nelle opere di Pavese è colui che è stato strappato dal paese d’origine, lo sradicato, 1’emigrato trasportato violentemente lontano dai luoghi natii. Prevale così il ricordo nostalgico dell’infanzia, tempo mitico in cui l’uomo forma la sua personalità e da cui rimane profondamente influenzato. L’impossibilità di recuperare quel mondo, anche tornandoci, segna l’individuo; che ormai si sente privato di una collocazione autentica.
Tutti i lavori di Pavese sono percorsi dalla certezza della tragica mancanza di un rapporto cordiale e immediato tra gli uomini, di un legame vero e carico di autenticità. L’esempio più significativo della figura dello sradicato è Anguilla, protagonista de La luna e i falò. Ma in realtà in tutta la sua produzione Pavese narra se stesso e racconta il suo dramma di vivere, lasciando una testimonianza inconfondibile dell’impegno e della volontà di comunicare con gli altri, sia sul piano politico che su quello sentimentale.

Nonostante il suo impegno sociale, Cesare Pavese non riuscì a liberarsi dalla disperazione che lo condusse al suicidio

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