CAPO HORN

CAPO HORN

IL PUNTO PIÙ PERICOLOSO DEL MONDO

Su tutti viaggi di circumnavigazione della Terra incombe minacciosamente un terribile ostacolo naturale, il punto più pericoloso del pianeta: Capo Horn, la desolata estremità meridionale del continente americano.
Un tempo era l’unico passaggio aperto fra l’Atlantico e il Pacifico, ed era – lo è tuttora – il tratto di mare più flagellato dal maltempo di tutto l’emisfero australe. I venti che soffiano attraverso le immense distese dell’Atlantico Meridionale, per migliaia di miglia, vengono deviati dalla barriera montuosa delle Ande verso lo stretto passaggio fra Capo Horn e le Shetland meridionali. Le onde sospinte dalle incessanti raffiche dei venti occidentali e rinforzate da una costante corrente verso est, si scagliano furiose nell’angusto passaggio.
Per gli yacht e per i piccoli velieri, queste acque rimangono tra le più pericolose del mondo. Alcuni celebri navigatori le hanno sfidate con successo: Slocum Chichester, Rose, Blyth, Knox-Johnston, Fogar. Ma tutti questi coraggiosi hanno spontaneamente riconosciuto di aver avuto fortuna e di non aver incontrato lo Horn nelle sue condizioni peggiori. Per quanto ben costruito e ben manovrato possa essere uno yacht, c’è sempre un momento in cui i marosi sono semplicemente troppo grossi perché una piccola imbarcazione possa farcela a superarli.

Crescente violenza

Nel gennaio 1957, Miles Smeeton, sua moglie Beryl e il loro amico John Guzzwell salparono dall’Australia su un panfilo a due alberi, il Tzu Hang, lungo 15 metri, per doppiare lo Horn “nel modo più facile”, cioè da ovest a est. Fu un’avventura che per poco non costò loro la vita. Dopo sette settimane di rapida navigazione, aiutata da forti venti spiranti da ovest, si stavano avvicinando al Capo. Il giorno di San Valentino, il mare apparve bianco di schiuma per la forza dei marosi. Il vento si fece così violento, che dovettero ammainare tutte le vele. Ciononostante, il Tzu Hang continuò a correre coi suoi alberi nudi.
Il barometro, intanto, cominciava a salire, annunciando un miglioramento del tempo, ma il vento raddoppiò di intensità. I marosi cominciarono a crescere e ad aumentare di violenza, finche uno, di gran lunga più alto degli altri, investì il Tzu Hang a poppa, lo rigirò su se stesso, tranciò netti entrambi gli alberi all’altezza del ponte, trascinò via il tetto della cabina che si riempì quasi completamente di acqua, e scagliò Beryl Smeeton in mare, nonostante fosse legata con una cima.
Beryl riuscì a tornare a nuoto sullo yacht semiaffondato, e insieme agli altri riuscì a vuotare l’acqua con dei secchi, e a turare la falla con delle assi prese da una cuccetta e dalla porta della dispensa, oltre che con le vele di scorta. Poi, mentre il tempo migliorava, improvvisarono un albero e puntarono verso la costa cilena. Dopo 2.500 km raggiunsero Talcahuano, dove poterono far riparare i danni provocati dalla tempesta.
In dicembre, Miles e Beryl Smeeton erano in condizioni di salpare. Il giorno di Natale erano di nuovo in rotta per Capo Horn. Ma di nuovo il barometro s`abbassò, il vento e il mare ripresero a infuriare, lo yacht fu assalito da un’altra mostruosa ondata, che lo rigirò di traverso. Come la prima volta, gli alberi furono abbattuti e i ripari della cabina strappati. Eppure, anche questa volta gli Smeeton sopravvissero. Come la prima volta, vuotarono l’acqua, alzarono una vela d’emergenza e si diressero, in cerca di riparo, a Valparaíso, a 1.800 km di distanza.

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Fonte video: YouTube – Capo Horn – Pasquale Perfetto 

L’audacia di un navigatore solitario

Navigare fra turbini di vento così violenti e in mezzo a ondate simili a montagne è quasi impossibile con una piccola imbarcazione. Tuttavia un francese, Marcel Bardiaux, doppiò da solo Capo Horn, da est verso ovest, in un minuscolo battello lungo nove metri, che si era costruito da solo.
Il viaggio fu compiuto durante l’inverno.
Il 7 maggio 1952, Bardiaux si avvicinò allo Horn attraverso lo stretto Le Maire, fra l’isola Staten e la costa della Terra del Fuoco. La temperatura era a 14 °C e si avvicinava una tempesta. Il navigatore solitario era distrutto dalla fatica e decise di concedersi un po’ di riposo. L’unico ancoraggio possibile era una piccola baia sulla costa del continente. Il mare era grosso e la baia spazzata da violente correnti: il solo riparo era un piccolo specchio d’acqua in fondo a uno stretto canale cosparso di pericolosi scogli.
Il buio era totale, e la marea spingeva la barca ormai quasi senza controllo, contro quegli scogli affioranti. Tutto quello che Bardiaux poté fare, fu di gettare tre ancore e di fissare una cima allo scoglio più vicino.

Le Vele irrigidite dal gelo

Quando la burrasca si calmò, Bardiaux spinse la barca su un banco di sabbia, e poté così dormire. Per la prima volta dopo tre giorni. Dopo 10 ore di sonno era di nuovo in condizioni di partire, ma dopo le abbondanti nevicate della notte, le vele erano irrigidite dal gelo, e dovette inzupparle d’acqua di mare per renderle manovrabili.
Poi, senza alcun preavviso, venti fortissimi, della forza di un uragano, si abbatterono sull’imbarcazione e quando Bardiaux scese in cabina a cercare un’ancora galleggiante, due terribili marosi travolsero la barca.
Vele, cabina, tutto finì fracassato o spazzato via. La barca si riempì, e Bardiaux rimase inzuppato fino alle ossa: un guaio terribile, con una temperatura molto al di sotto dello zero.
Ma prima di cambiarsi, il francese fece penzolare la sua fune da ormeggio a poppa, come un’ancora improvvisata, e dovette svuotare l’acqua con un secchio e issare le vele di scorta. Gli ci vollero però altre 10 ore prima di riuscire ad ancorarsi bene. E ormai risentiva dei danni causati dal gelo e dalla lunga esposizione alle estenuanti intemperie.

Una pioggia ghiacciata

Dopo una sosta di due giorni, il francese ritornò all’attacco di Capo Horn, accecato da una pioggia ghiacciata e dalla grandine. Bordeggiò per 48 ore contro un vento e un mare flagellati dalla neve. Ad un certo punto, le condizioni divennero così proibitive, che dovette far bollire dell’acqua, una pentola dopo l’altra, per sgelare le vele. Poi, alle ore 12,30 del 12 maggio, Bardiaux si guardò indietro e vide, attraverso gli occhi semichiusi dal gelo e dalla stanchezza, un promontorio fra la neve che turbinava. Era una enorme massa scura, zebrata da valanghe di neve che precipitavano lungo gole strette e profonde.
Bardiaux si rese conto che stava guardando, dietro di sé, il terribile Capo Horn. Aveva finalmente superato il terribile ostacolo.