BLUES E BLUESMAN

Big Bill Broonzy

BLUES E BLUESMAN

Premesso che il blues, componente primaria del corpo della musica folklorica nordamericana, è all’origine di vari generi musicali contemporanei (jazz, rhythm & blues, rock’n’roll, country, pop/rock, disco ecc.), dobbiamo rilevare che nell’ambito del rock la sua influenza è risultata più nettamente definita (soprattutto in Gran Bretagna), in quanto numerosi musicisti, per curiosità filologica o sincera devozione, si sono rivolti direttamente alle fonti originali, attraverso i dischi e le pubblicazioni specializzate o  laddove possibile tramite la conoscenza personale o addirittura la collaborazione artistica.
Oltre alla grande quantità di spunti musicali, all’attrattiva dell’espressività vocale e del virtuosismo strumentale, all’inventiva dei testi, il blues presenta, nel corso della sua lunga storia, un’appassionante sfilata di singolari personalità i cui romanzeschi connotati biografici sono intimamente fusi con l’espressione artistica. Musica popolare sviluppatasi nel secolo della registrazione sonora, il blues è documentato con buona precisione, nella sua evoluzione, dal disco: inevitabilmente, è forte l’emozione di poter ascoltare, a decenni di distanza, il prodotto della creatività di personaggi consegnati alla leggenda. Non stupisce che in tanti musicisti rock si sia creato addirittura un processo d’identificazione nei confronti di geniali artisti da loro tanto lontani secondo coordinate spazio-temporali, ma assai vicini quanto a sensibilità e capacità comunicativa.

Blind Lemon Jefferson

Considerato, insieme a Blind Blake, Charlie Patton e Lonnie Johnson, uno dei padri del blues, Blind Lemon Jefferson fu tra gli inventori del “finger-picking”: già solo per questo, meriterebbe riconoscenza e rispetto da migliaia di chitarristi in tutto il mondo. Creatore dello stile texano, cieco di nascita, Jefferson contribuì alla fissazione e codificazione del blues come genere musicale quando, dopo anni di peregrinazioni quale cantore di strada, venne invitato dalla Paramount a Chicago per effettuare le sue prime registrazioni (1926). Conseguita vasta popolarità, grazie alla ricchezza d’immagini espressa dai testi (Jack Of Diamonds, Matchbox Blues, That Growling Baby Blues ecc.), al canto acuto e sofferto, all’originale tecnica chitarristica, Blind Lemon registrò più di 80 pezzi fino al 1929: ma nell’inverno di quell’anno, in una notte nevosa, si perde per le vie di Chicago e resta ucciso dal freddo, poco più che 30enne. Il suo See That My Grave Is Kepi Clean è diventato uno dei brani più frequentati del folk americano (fino a Bob Dylan), e in omaggio a lui i Jefferson Airplane assunsero tale denominazione.

Veramente leggendario, non fosse per le registrazioni rimaste (1936-37), Robert Johnson fu un geniale innovatore del blues rurale: la sua eredità è stata raccolta da altri “bluesmen” insigni e poi tramandata ai musicisti rock (Eric Clapton lo ebbe a lungo tra le sue principali fonti d’ispirazione). Poco si sa sulla sua vita itinerante: di certo era un uomo tormentato e instabile, gran conquistatore di donne. Nel Texas registrò una trentina di titoli per la ARC: il produttore John Hammond nel 1938 l’andò a cercare per presentarlo nel suo spettacolo “From Spirituals To Swing”, ma apprese che era stato assassinato da un marito geloso (un’altra versione parla di un, avvelenamento da parte di un’amante tradita). La sua musica è d’elevato valore artistico e di sbalorditiva attualità, per la brillante tecnica chitarristica, per l’invenzione melodica e per i testi eccezionali: bastino titoli come Dust My Broom, Sweet Home Chicago, Ramblin’ On My Mind, Crossroads Blues, Hellhound On My Trail, From Four Till Late, Love In Vain, ripresi, tra gli altri, da Cream, Rolling Stones e Blues Brothers.

Anch’egli proveniente dal cuore del Mississippi, di pochi anni più giovane di Robert Johnson, John Lee Hooker avrebbe conosciuto ben altra carriera. Trasferitosi a Detroit, già maestro della chitarra elettrica, nei boogie indiavolati o nei blues lenti e suggestivi, comincia a imporre il suo stile personalissimo a partire dal 1948, diventando poi un protagonista della scena blues di Chicago. Negli anni ’60 si piega alle regole mistificanti della voga del “folk revival”, imbracciando la chitarra acustica: ma questo gli arreca vasta popolarità, tanto che suoi 45 giri (Boom Boom, Dimples, Shake It Baby) riscuotono notevole successo di vendita in Europa. Uno dei principali punti di riferimento per gruppi come Animals, Yardbirds, Spencer Davis Group e Ground-hogs, ha anche registrato con questi ultimi e più tardi con i Canned Heat.

Sonny Boy Williamson

Ancora dal Mississippi giunge a Chicago, negli anni ’40, McKinley Morganfield, pressoché coetaneo di Hooker e Johnson, ma più vicino al tradizionale stile chitarristico “bottleneck”. Nella grande città lo aiutano musicisti esperti come Big Bill Broonzy e John Lee “Sonny Boy” Williamson: il canto potente ed emotivo e la trasposizione sulla chitarra elettrica delle sue esecuzioni “rurali” lo fanno emergere prepotentemente; nasce il mito di Muddy Waters. Assistito dai migliori strumentisti locali, infila una serie di successi (Rolling Stone, Baby Please Don’t Go, I’m Ready), limitati all’udienza nero-americana, fino agli anni ’60, quando l’ascesa dei Rolling Stones (che hanno preso il nome dal suo pezzo) e di altri gruppi inglesi che ripropongono il suo repertorio lo introduce al pubblico bianco.
Sebbene abbia fatto a questo molte concessioni (suonando con musicisti rock su disco e dal vivo, assoggettandosi alle sonorità in voga), la sua statura artistica resta elevatissima: Muddy Waters è l’ultimo grande protagonista della scuola blues di Chicago. Tanto più, dopo la scomparsa dei suoi più eminenti colleghi: Howlin’ Wolf, Sonny Boy Williamson e Elmore James.

Charlie Patton

Chester Burnett, del Mississippi, appresa l’arte del blues da Charlie Patton e Tommy Johnson, acquista il soprannome di Howlin’ Wolf per la potenza vocale e per i caratteristici “ululati”: soprattutto cantante, si fa conoscere a Memphis, dove lavora come disc-jockey radiofonico, alla guida di un gruppo (comprendente Ike Turner) che offre un blues elettrico rude e primitivo (Smokestack Lightning, I Asked For Water). Negli anni ’50, a Chicago, rinnova stili e repertorio per realizzare una serie di capolavori: Spoonful, The Red Booster, Goin’ Down Slow; prima della morte (1976) ha collaborato con famosi musicisti rock.

Il vero nome di quest’ultimo, nato nel 1901, era Rice Miller: armonicista tra i più brillanti della storia del blues, aveva suonato negli anni ’30 e ’40 con Robert Johnson, Howlin’ Wolf (suo fratellastro), Robert Nighthawk, diventando nel dopoguerra disc-jockey nell’Arkansas, conduttore del celeberrimo programma radiofonico “King Biscuit Time”. Virtuoso del suo strumento, cantante sarcastico, autore dotato, s’impone a Chicago negli anni ’50, ormai conosciuto con il soprannome di Sonny Boy Williamson, rubato ad altro eccezionale armonicista (John Lee Williamson, scomparso nel ’48): Don’t Start Me To Talking, Nine Below Zero, Help Me, sono tra i suoi “classici”; nel ’63 soggiorna in Europa, registrando tra gli altri con Yardbirds e Animals. Muore nel 1965.

Tanto per cambiare, del Mississippi era anche Elmore James, uno dei più imitati chitarristi blues, che si fece le ossa suonando con Sonny Boy Williamson (Rice Miller) e Robert Jr. Lockwood, dal quale apprese la tecnica di Robert Johnson, che poi trasferì sulla chitarra elettrica creando uno stile “bottleneck” furioso e scattante (in contrasto con quello dolce di Muddy Waters e Robert Nighthawk). Per il suo repertorio, pure attinse a Johnson (Dust My Broom, Ramblin’ On My Mind, Crossroads) e a composizioni altrui (It Hurts Me Too, Everyday I Have The Blues), aggiungendovene peraltro di sue molto riuscite.
Molto noto negli anni ’50, viene stroncato da un attacco cardiaco nel ’63, quando il suo nome comincia a diffondersi negli ambienti rock, soprattutto in Inghilterra dove influenza un’intera generazione di chitarristi.

B.B. King

Il più popolare “bluesman” presso il pubblico nero-americano è B.B. King, il quale, per mantenere tale posizione, ha dovuto inserirsi nelle aree più seguite e più redditizie del “soul” e del “funk”. Anch’egli nato nel Mississippi, cugino di Bukka White, diventa un fenomeno locale a Memphis, Tennessee, nel dopoguerra: affermato presentatore radiofonico, “Blues Boy” (da qui le iniziali B.B.) s’impone anche come interprete, cantante compassato e soprattutto chitarrista elettrico nella corrente raffinata, impostata su un fluido solismo, di Lonnie Johnson e T-Bone Walker. A partire dal 1949, quando inizia a pubblicare dischi, s’impone a livello divistico attraverso gli USA; negli anni ’60 conosce un periodo di declino allorché il pubblico nero-americano si rivolge al “soul” mentre le schiere crescenti di appassionati bianchi gli preferiscono gli esponenti degli stili tradizionali del Delta o della scuola di Chicago: reagisce (1969) con la micidiale blues-ballad The Thrill Is Gone, un grande successo internazionale. Negli ultimi anni, la sua produzione ha troppo accentuato gli ammiccamenti al consumismo, ma la sua notorietà e in aumento.

T-Bone Walker

I “bluesmen” di cui ho parlato sono probabilmente quelli che hanno ottenuto maggior seguito presso i musicisti rock, condizionandone i gusti e le tendenze. Ma vanno considerati soltanto la punta emergente d’una straordinaria corrente musicale che il successo del rock, suo discendente, ha portato all’attenzione d’un numero sempre più vasto d’appassionati: vi sono decine e decine d’altri chitarristi, pianisti, armonicisti, cantanti ed autori le cui registrazioni vengono costantemente ristampate da etichette specializzate sparse per il mondo. Oltre che su disco, il blues continua a vivere attraverso l’attività “live” di tanti suoi non dimenticati protagonisti che trasmettono a nuovi cultori il suo fascino.

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