IDEALISMO POSTKANTIANO: FICHTE – SCHELLING – HEGEL – SCHOPENHAUER

IDEALISMO POSTKANTIANO

LO SVILUPPO DEL CRITICISMO KANTIANO IN SENSO IDEALISTICO: L’ ELIMINAZIONE DELLA COSA IN SÈ (noumeno) E LA CONCEZIONE DIALETTICA DELLA REALTÀ

L’equilibrio del Kant è rotto dai successori; si diviene unilaterali, si ridiviene dogmatici. Basandosi sul concetto kantiano della creatività dello spirito, il vecchio “motivo” del passaggio dall’idea alla realtà si ripresenta in pieno. I filosofi postkantiani finiscono in un razionalismo assoluto che, per differenziarlo da quello astratto del Settecento e per caratterizzarlo, si può chiamare concreto. Il concetto dell’interdipendenza del pensiero e della realtà porta, poi, questa concretezza a un monismo tale da assumere il carattere d’un radicale immanentismo, verso il quale lo stesso Kant aveva assunto un atteggiamento così contrario.

Il Kant aveva compiuto uno sforzo di risoluzione dei varî motivi filosofici europei, ma era rimasto nel campo prevalentemente critico, evitando, come a suo tempo e sul suo piano di problemi aveva fatto il Descartes, sviluppi sistematici e metafisici unilaterali. Però giustamente sconfessò il Fichte, iniziatore della nuova metafisica, del quale potè conoscere la prima opera.

Tullo l’idealismo postkantiano è fondato su questa nuova metafisica, immanentistica, inspirata a un senso di esaltazione della spirito, rispondente d’altronde al romanticismo e al pragmatismo del tempo. Invano il Kant aveva insistito sul nuovo dualismo di realtà noumenica o in sè (quoad se) e di realtà fenomenica o nostra (quoad nos), come invano il Descartes aveva insistito sul suo dualismo di realtà intelligibile e di realtà fisica. I seguaci si fissano su alcune tesi fondamentali proprie del Kant, principalmente sul principio della creatività dello spirito e su quello, conseguente, dell’interdipendenza del pensiero e della realtà, le sviluppano e ne traggono le più radicali conseguenze, a quel modo che alcuni cartesiani si erano valsi di certe definizioni del Descartes, come di quella circa la sostanza, per arrivare a conclusioni che il Descartes non avrebbe mai fatte sue.
In forza, adunque, del principio, derivato dal Kant, della creatività dello spirito, l’idealismo, oltre a non ammettere nessuna realtà estranea allo spirito, riconosce alla realtà solo carattere spirituale, di vita, di coscienza; la riduce tutta a spirito, che concepisce come attività (non come “essere” o principio sostanziale, ma come “divenire” o farsi). Il concetto kantiano della sintesi a priori viene accolto nel suo significato più radicale ed esclusivo; il “noumeno” vien risolto nella forma delle forme, cioè nell’io cosciente, quale attività produttrice del mondo dell’esperienza, non soltanto nel suo “ordinamento” spaziale e temporale, ma anche nella sua realtà costitutiva.
Questa realtà, pertanto, che sintetizza io e natura, è vita in continuo divenire, non “sostanza” intelligibile o fisica. Non c’è in essa un dualismo a-priori, e nemmeno vale per essa il monismo idealistico di tipo parmenideo, nè vale il monismo naturalistico-teistico di tipo spinoziano. Quelle che nella storia del pensiero e della vita precedenti, specie dall’inizio del Cristianesimo al Rinascimento e da questo al Kant, attraverso le lotte e le conquiste del Seicento e del Settecento, erano parse vittorie, ora, superate, si presentavano per ciò che realmente erano: compromessi.
Il Kant ne aveva fatto giustizia, ma sul punto capitale dell’immanentismo assoluto era anch’egli finito – secondo il perfetto idealismo – in un nuovo compromesso. .
Eliminato anche questo, il trionfo dello spirito è completo. Il dualismo esiste, ma in seno allo spirito, che si pone e si supera e vive perennemente. La realtà è questo “attuarsi” dello spirito: un concreto e assoluto auto-contrapporsi per realizzare i valori proprî d’ogni forma d’attività, secondo una “dialettica” interiore, inesauribile, perchè ha in sè la sorgente della vita. La scena: lo spazio e il tempo. Noi e le cose e lo spazio e il tempo medesimi siamo la “espressione”, apparentemente contingente e finita, ma insieme essenzialmente eterna e assoluta, della vita dello spirito, perchè siamo, in realtà, questa stessa vita spirituale. “Non si deve dire che le cose procedono dallo spirito assoluto, ma che l’assoluto stesso procede nelle cose, ossia che esso avanza e progredisce nelle sue stesse manifestazioni. Se si chiama Dio l’assoluto, bisogna allora dire, secondo il più radicale degli idealisti, lo Hegel, che Dio non è, ma diviene”.
Tenendo presenti queste osservazioni, vediamo brevemente le teorie dei tre celebri idealisti tedeschi postkantiani, specialmente quella di Hegel.

IDEALISMO POSTKANTIANO: IL FICHTE

JOHANN GOTTLIEB FICHTE (Rammenau, 19 maggio 1762 – Berlino, 27 gennaio 1814). Compiuti gli studi, fu precettore a Zurigo e a Varsavia, quindi professore a Jena, a Kbnigsberg, a Berlino. Come il Kant, egli seguì con interesse e favore gli avvenimenti della rivoluzione francese. Nell’inverno 1807-1808 tenne a Berlino i famosi discorsi alla nazione tedesca, per spingere i compatrioti a scuotere il giogo napoleonico.
La guerra del 1813 lasciò a Berlino LO strascico funesto di un’epidemia; la moglie del Fichte, che curava i soldati malati, ne fu colpita e trasmise il morbo al marito, che ne morì nel gennaio 1814. Opere principali: Fondamenti della dottrina della scienza; Sistema di morale, Il destino dell’uomo; Discorsi alla nazione tedesca; Il diritto naturale.

Secondo il Fichte, l’attività infinita dell’io si esplica determinandosi. Determinandosi, l’io pone se stesso concretamente (si attua); ponendo se stesso, si pone conseguentemente dei limiti. Questi limiti segnano un dualismo di io e di non-io. L’attività dell’io che, come attività, non può venir meno a se stessa, cioè acquietarsi e stare nei limiti posti, perchè ciò sarebbe contradditorio, cerca di superarli, procedendo così di attuazione in attuazione, all’infinito, e quanto più contiene di sforzo e di superamento, tanto più ha di realtà e di valore morale.

Questo tendere infinito, in cui conoscenza e azione sono in diretto rapporto, è il dovere, Il cosiddetto mondo reale, che è poi il nostro mondo, è il mezzo per l’attuazione del dovere (Idealismo etico. Idealismo soggettivo).

IDEALISMO POSTKANTIANO: SCHELLING E IL ROMANTICISMO

FRIEDRICH SCHEI.LING (Leonberg, 27 gennaio 1775 – Bad Ragaz, 20 agosto 1854). Studiò a Tubinga teologia, poi filosofia, avendo a condiscepolo Friedrich Hegel. Precettore privato a Lipsia, insegnò a Jena, quindi a Monaco e da ultimo a Berlino, dalla cattedra già tenuta dal Fichte e da Hegel. Fu dapprima seguace del Fichte, poi avversario. Ebbe grande ammirazione per il panteista Spinoza; anche il suo, in fondo, è un panteismo mistico. Morì nel 1854. Opere principali: Sistema dell’idealismo trascendentale; Filosofia e religione; Dialogo di Giordano Brano.

Mentre per il Fichte la natura è semplice rappresentazione e strumento dell’io, soggetto cosciente, per lo Schelling la natura è la condizione originaria, immanente e necessaria della stessa coscienza ed esistenza dell’io. L’io universale è la stessa natura, considerata come coscienza; la natura è il contenuto dell’atto concreto dell’io; la sintesi dell’io e della natura o, per meglio dire, l’atto concreto dell’io è lo spirito.
Logicamente prima di queste distinzioni, non c’è che lo spirito in sè, assoluto, che è identità indifferenziata di tutto (Filosofia dell’identità, Idealismo oggettivo).

L’idealismo romantico tedesco, rappresentato in filosofia specialmente dal Fichte e dallo Schelling, ebbe notevoli esponenti, oltre i ricordati Johann Georg Hamann, Friedrich Heinrich Jacobi e Friedrich Schiller.

Con essi la filosofia si fonde con la poesia, il genio crea l’idea e l’espressione; l’arte è la rivelazione dell’assoluto. Entriamo in un campo prevalentemente estetico. Ricordiamo FRIEDRICH SCHLEGEL, FREDRICH NOVALIS  (pseudonimo di Hardenberg), FRIEDRICH HOLDERLIN. Subirono l’influenza di questo movimento anche il pedagogista FRIEDRICH FROEBEL, il fondatore della filosofia del linguaggio WILHELM HUMBOLDT, e il più grande teologo del protestantesimo moderno e filosofo del sentimento religioso, FRIEDRICH SCHLEIERMACHER. Vi si può ricondurre anche Arthur Schopenhauer, di cui parleremo più avanti.

L’IDEALISMO POSTKANTIANO: HEGEL E LA SCUOLA HEGELIANA

GEORG HEGEL (Stoccarda, 27 agosto 1770 – Berlino, 14 novembre 1831). Fece gli studi a Tubinga; poi fu precettore a Berna e a Francoforte. Fu amico dello Schelling, col quale fondò il Giornale critico di filosofia, ma poi se ne staccò. Tenne cattedra a Jena, quindi a Heidelberg e finalmente a Berlino, con grande successo. Da giovane era stato rivoluzionario, simpatizzante del Rousseau e della rivoluzione francese; poi sostenne il dispotismo. Morì di colera a Berlino nel 1831. Opere principali: Fenomenologia dello Spirito, Logica; Enciclopedia delle scienze filosofiche; Filosofia del Diritto.

Per Hegel il principio della realtà è l’Idea e lo svolgimento della realtà si attua per tre gradi, distinguibili solo logicamente, che sono l’idea pura, la natura, lo spirito. L’idea è la realtà nella sua possibilità logica; la natura è l’idea che, distendendosi in spazio e tempo, diviene altro da sè; lo spirito è l’idea che ritorna su se stessa, pensandosi in modo concreto (tesi, antitesi, sintesi; soggetto, oggetto, sintesi concreta di soggetto e oggetto).

Non c’è nulla, pertanto, di soprannaturale, di trascendente. L’Idea, all’inizio del processo di vita, “logico” e quindi superiore al tempo, che non è se non un aspetto per noi del suo esprimersi, è essere e insieme non-essere. Però non dobbiamo intendere, come potrebbero intendere gli aristotelici e gli scolastici, che essa sia, in potenza, e non sia, in atto. Ciò, oltre a presupporre un sostrato sostanziale, ibrido (perchè, pur essendo il fondamento della potenza, non sarebbe solo potenza, ma già atto, in quanto, comunque, esistente), implicherebbe un veder la realtà dall’esterno e “da dopo”, un veder nella potenza già l’atto (perchè ogni potenza è tale rispetto a quel determinato atto, e viceversa), il che importa la decadenza e della potenza e dell’atto. La concezione aristotelica, così chiarita, appare, quindi, come avente valore di semplice analisi; di modo che svanisce l’illusione tradizionale di conoscere, con essa, la realtà nella sua vita, nel suo farsi originario; in effetto, non la si guardava che “morta”, nel suo farsi spurio, che è essenzialmente un già fatto.

Per questo, prudentemente, Aristotele e gli scolastici attribuivano l’essere in potenza alla materia imperfetta, alla realtà che va perfezionandosi, e l’esssere in atto puro soltanto a Dio perfetto. Ma inutilmente. perchè il dualismo radicale che ne viene, oltre a tutte le altre difficoltà viste e dibattute nella filosofia dai Greci al Kant, presenta sempre la difficoltà di cui sopra, poichè, essendo la materia “potenza” rispetto a Dio (per precisare, nell’indicazione, i due termini estremi della dualità), ne viene, anche qui, un veder nella “potenza” della materia già lo “atto divino” e quindi un non aver più veramente la potenza e un perdere anche il valore dell’atto.

L’unica soluzione possibile e vera, dice l’idealista, è quella di considerare la “potenza”, presa per sè, un’astrazione, l’atto, preso per sè, pure un’astrazione, e risolvere l’una e l’altro in un’unica realtà, che vive concretamente (noi, naturalmente, in essa), cosicché la potenza è sempre in fieri anch’essa, com’è in fieri l’atto: la potenza incalza in se stessa l’atto e l’atto fa sorgere in sè una nuova potenza. L’antico Eraclito, quando diceva che una cosa sola è assoluta, ed è il divenire, aveva intuito e affermato ciò che l’idealismo hegeliano ha ora reso manifesto.

Il lungo operoso travaglio della filosofia ha affinato e, per così dire, spiritualizzato, la concezione eraclitea, che era pur sempre turbata dalla preoccupazione sostanzialistica, naturalistica. E quanto tempo e fatica ci sono voluti, perchè la riflessione filosofica si liberasse del tutto dalla prevenzione della metafisica dell’essere e vedesse, finalmente, la vita dello spirito spiegarsi secondo quella libertà assoluta, autocreatrice, che ne costituisce l’essenza!

Fornito di questo criterio, Hegel cercò di riconoscere e fissare il carattere e il ritmo dello svolgersi di quello spirito o realtà assoluta, che per lui è ragione vivente. Perchè razionale, lo svolgersi è necessitato e determinato da leggi di ragione; ma poichè avviene nel seno della ragione stessa e, in quanto assoluto, non è condizionato da altro, così è anche del tutto libero; nell’assoluto necessità e libertà si risolvono in identità, così come vi si conciliano tutte le opposizioni della nostra realtà, indispensabili, d’altronde, per la vita della realtà stessa. Non era questo il motivo dominante, oltre che di Eraclito, anche del Cusano e del Bruno? Salvo che, come sempre, anche qui l’hegelismo non vede avvenire le risoluzioni e le conciliazioni sopra uno sfondo metafisico: ogni distinzione e determinazione di carattere ontologico è esclusa.

ln forza di quanto precede, ci spieghiamo, ora, il famoso aforisma dello Hegel: Ciò che è razionale è reale, e ciò che è; reale è razionale. Ma badiamo, ancora una volta, di non confondere le parti col tutto, i singoli fenomeni con l’insieme della realtà. Se per Hegel la realtà, che è ragione vivente, e progresso continuo, bisogna dire che “ciò che è assolutamente razionale e, insieme, assolutamente reale, è il progresso nella sua totalità”.

Abbiam già notato, più indietro, che il progresso o svolgimento della realtà si attua secondo un processo triadico di tesi, antitesi e sintesi. Ora possiamo chiarirlo come fondato sul principio del superamento (sintesi) dei contrari (tesi, antitesi), superamento possibile perchè nel rapporto dei contrari, in quanto correlativi, inscindibili e provvisori, giace quella “ragione” d’identità, che loro viene dall’essere, insieme (e quindi nella sintesi), un atto di vita dell’assoluto. Pertanto, nel processo triadico hegeliano, il cui schema fondamentale è rappresentato dai momenti essere, non-essere, divenire, ciascuno dei primi due, preso a sè, è astratto, e solo il terzo è concreto e reale.

Questa, per Hegel, è la logica della realtà, questa è la vita dell’Idea. Vista nella natura, dà luogo alla filosofia della natura. Vista nello spirito umano, dà luogo alla filosofia dello spirito, che è quella che più ci interessa. Qui Hegel è stato visibilmente dominato da preoccupazioni pratiche, come nella filosofia della natura è stato spesso guidato da constatazioni prevalentemente empiriche. Ciò, se non toglie che nel sistema dello Hegel, specie nella Filosofia dello spirito, ci siano molte concezioni profonde e acute, offusca però alquanto la bellezza della serena e alta speculazione filosofica. Inoltre espone il Pensatore a delle incongruenze, come quando insiste più a lungo e più fortemente che la sua stessa filosofia non comporti, sulla risoluzione, a tutto vantaggio del secondo termine, dell’antitesi fra lo spirito soggettivo e individuale, da una parte, e le organizzazioni sociali e giuridiche e la forza materiale, dall’altra, rompendo quell’equilibrio di rapporto, che è richiesto dalla sintesi che ne deve derivare, la quale, nel concetto hegeliano, è appunto quella sintesi spirituale, che celebra il suo trionfo nell’arte, nella religione e nella filosofia: nella quale terza e suprema forma di attività Hegel vorrebbe pur fare consistere, per lo spirito, il conseguimento, in concreto, della pienezza di realtà e, implicitamente, di libertà e di verità.

E che qui si palesa l’incrinatura del sistema filosofico hegeliano. Anch’esso, in fondo, implica il presupposto d’una realtà virtualmente costituita a priori: d’una realtà che è, sì, potenza e atto insieme, “essere” e “dover essere” uniti, ma che non può esser mai, come l’assoluto richiede, tutta la potenza e tutto l’atto, tutto l’essere e tutto il dover essere: pena la perdita della vita e del divenire. La creduta piena e viva concretezza sfuma, l’incrinatura si allarga e, senza volerlo, ci si trova davanti il solo spirito umano nel suo immanente rapporto con una legge superiore, con una Volontà obiettiva, che trascende l’individuo e lo eleva a membro consapevole d’una società spirituale. Ora, per Volontà obiettiva, che è principio d’una legge superiore, dobbiamo intendere una Volontà trascendente e reale, che siam tenuti a riconoscere e attuare.

Chiudiamo questa breve esposizione e queste considerazioni sul grande sforzo filosofico che il mondo contemporaneo deve a Hegel, col riferire il giudizio datone da uno storico della filosofia, filosofo egli pure, il Fouillée: “Hegel assorbe il fisico e il morale nel razionale; vuole l’unità e ha ragione; ma è nella logica pura che si trova la vera unità? È in questa serie di necessità, in questo ritmo monotono del divenire, in questa vicenda di momenti relativi, che si trova il vero assoluto? Georg Hegel pretende identificare il reale col razionale e crede d’aver tutto giustificato, quando ha creduto di aver tutto spiegato; ma questo universale ottimismo, questo fatalismo storico, questa apoteosi del successo e della vittoria non possono apparirci come l’espressione fedele dell’assoluto e del divino. Se la ragione ci spiega ciò che può essere, la sola esperienza ci mostra ciò che è, e la volontà, essa sola, comanda ciò che deve essere”.

A Hegel tenne dietro una fiorente scuola hegeliana. In primo luogo nel campo della speculazione religiosa e poi in quello delle scienze giuridiche e sociali, lo sviluppo e l’applicazione dell’idealismo dialettico di Hegel produssero due correnti: l’una più temperata e volutamente ortodossa, detta “la destra hegeliana”, rappresentata dal ROSENKRANZ e dallo HERDMANN; l’altra, ben più importante, razionalistica, immanentistica e spregiudicata, detta “la sinistra”, che fu illustrata specialmente da FRIEDRICH STRAUSS (Vita di Gesù), da LUDWIG FEUERBACH (Essenza del cristianesimo), da KARL MARX (Il Capitale), da FRIEDRICH  ENGELS (Manifesto del Partito Comunista)e da FERDINAND LASSALLE, principali rappresentanti, questi tre ultimi, del materialismo storico, come interpretazione e valutazione filosofica (deterministica) della storia.
Si può ricordare qui anche MAX STIRNER (pseudonimo di JOHANN CASPAR SCHMIDT), che dalla dialettica hegeliana e dal soggettivismo romantico ricavò, nel suo libro L’Unico e la sua proprietà, una teoria dell’egoismo teoretico e pratico, precorritrice di quella dell’amoralismo del “superuomo” di FRIEDRICH NIETZSCHE.

IDEALISMO E VOLONTARISMO: SCHOPENHAUER

Una singolare elaborazione della filosofia kantiana, e in cui entrano motivi romantici, idealistici ma irrazionalistici, e perfino di derivazione indiana, è la dottrina di ARTHUR SCHOPENHAUER. Egli nacque a Danzica nel 1788; studiò a Gottinga con lo scettico Schulze e poi a Berlino col Fichte. Insegnò nell’università di Jena e quindi, come libero docente, in quella di Berlino, ma con poca fortuna, oltre che per le sue teorie, anche perchè era il tempo del trionfo di Hegel, della cui filosofia egli fu denigratore violento. Da vecchio, quand’era ormai scontento, lo raggiunse la fama. Morì nel 1860. Opere principali: Su le quattro radici del principio di ragion sufficiente; Il mondo come volontà a come rappresentazione; Parerga et paralipomena.

Lo Schopenhauer distingue, seguendo il Kant, le cose come ci appaiono (il fenomeno, cioè il mondo come rappresentazione) e le cose in sè (il noumeno).
La realtà fenomenica dipende dalle forme a priori del tempo, dello spazio e della causalità. Alla base di essa sta il noumeno, o realtà in sè, che è inconoscibile nella sua intima essenza, ma che si può ritenere quale forza o volontà.

La più alta manifestazione di questa è l’uomo, in cui essa diventa cosciente. Ma la volontà, appunto come tale, è sempre insoddisfatta. Se, per ipotesi, si soddisfacesse completamente, cesserebbe di esistere, e quindi cesserebbe la vita, la realtà stessa. Da qui il dolore continuo, che proviene dall’insoddisfazione (Pessimismo). Rimedio è il mortificare la volontà di vivere, con l’ascetismo e l’astinenza.

Seguace di Schopenhauer si può ritenere lo HARTMANN, che tentò una sintesi del razionalismo hegeliano col volontarismo dello Schopenhauer.

Una forte opposizione all’idealismo è rappresentata dalla filosofia di Johann Friedrich Herbart (Oldenburg, 4 maggio 1776 – Gottinga, 14 agosto 1841) e soprattutto da una nuova ondata di materialismo.

RITORNO AL REALISMO E ALL’ INTELLETTUALISMO

IL MATERIALISMO

FRIEDRICH HERBART (Oldenburg, 4 maggio 1776 – Gottinga, 14 agosto 1841). Studiò con Fichte a Jena: insegnò a Königsberg e a Gottinga. Opere principali: Introduzione alla filosofia; Metafisica generale; Pedagogia generale.

Lo Herbart rappresenta la reazione all’idealismo assoluto dello Schelling e dello Hegel; però anch’egli segue, in parte, le orme del Kant. Ammette l’esistenza di sostanze, molteplici, che chiama reali, di natura spirituale, analoghi alle monadi di Leibniz, ma non chiusi in se stessi, anzi in continuo e reciproco rapporto di azione e reazione, oltre che di aggregazione, mentre non subiscono cambiamenti interiori.

Ritorna, con lo Herbart, il tradizionale presupposto dell’esistenza indipendente e oggettiva della realtà, assunto in modo nuovo. Ritorna, conseguentemente, il riconoscimento del valore dell’osservazione e dell’esperienza, ossia della scienza, che l’idealismo è portato a infirmare. In questo lo Herbart è più vicino al Kant, che non siano i grandi idealisti, che abbiamo passati in rassegna. Filosofare, per lo Herbart, è rivedere e giustificare i concetti, che sono a fondamento delle scienze, e valersi, poi, dei risultati di queste per le conclusioni speculative di metafisica.

Quanto alle conseguenze della filosofia dello Herbart nell’ambito dell’etica, occorre dire che la lotta delle rappresentazioni e dei sentimenti, che, secondo la teoria herbartiana delle relazioni, costituisce la vita dell’uomo, sia teoretica che pratica, implica un meccanicismo psicologico, che difficilmente può sottrarsi al
determinismo anche morale.

FRIEDRICH FRIES  (Barby, 23 agosto 1773 – Jena, 10 agosto 1843) nella sua Nuova critica della ragione volle assegnare alla gnoseologia una base psicologica. Di questo psicologismo fu sostenitore anche EDUARD BENEKE (Berlino, 17 febbraio 1798 – circa 1 marzo 1854). SOREN KIERKEGAARD, Copenaghen, 5 maggio 1813 – Copenaghen, 11 novembre 1855), pure antihegeliano, fece appello all’esperienza, però con tendenze mistiche.

Si affermò nell’Ottocento anche una forte reazione antispeculativa, in nome delle scienze positive e del materialismo, per opera di LUDWIG BÙCHNER (Darmstadt, 29 marzo 1824 – Darmstadt, 1º maggio 1899), di KARL VOGT, dell’olandese JACOB MOLESCHOTT (vissuto in Italia), di ERNST HAECKEL, evoluzionista, di EMIL DUBOIS-REYMOND, fisiologo e agnostico.

Una filosofia realistica e positiva, ma aperta pure alle esigenze spiritualistiche e metafisiche, svolsero in Germania nell’Ottocento HERMANN LOTZE (1817-1881), THEODOR FECHNER (1801-1887) e WILHELM WUNDT (1832-1920). Il Lotze cercò di accordare la concezione meccanica della natura col riconoscimento dell’essenza spirituale di essa. Il Fechner interpretò la realtà come un sistema di enti spirituali formanti una coscienza universale. ll Wundt dallo psicologismo passò alla concezione d’una metafisica volontaristica.

IDEOLOGISMO, SPIRITUALISMO, ECLETTISMO FRANCESI

Il sensismo, proprio dell’illuminismo francese del Settecento e che aveva avuto un chiaro sistematore in Condillac, fu in onore anche durante la rivoluzione francese e, benchè avversato da seguaci di altre teorie, si mantenne vivo pure nei primi tempi dell’Ottocento, col nome d’ideologia. I due più notevoli rappresentanti ne furono il CABANIS (1757-1808) e il DESTUTT DE TRACY (1754-1836). Il LAROMIGUIÈRE (1756-1837), come il contemporaneo italiano Pasquale Galluppi, cercò di conciliare il sensismo con lo spiritualismo, il quale sosteneva l’attività spontanea dello spirito e andava allora prevalendo.

Lo spiritualismo si presentò in alcuni pensatori, come JOSEPH DE MAISTRE (1753-1821), LOUIS DE BONALD (1754-1840) e ROBERT DE LAMENNAIS (1782-1854), informato a preoccupazioni sociali e religiose, mentre si svolse più libero nella filosofia di MAINE DE BIRAN (1766-1824) che, prima di passare a una fase religioso-mistica, sostenne con vigore il principio dell’attività autonoma e consapevole dello spirito.

Maggiore influenza esercitò il parigino VICTOR COUSIN (1792-1867) il quale, nutrito di ampi studi storici, che lo portarono a tradurre Platone a curare la pubblicazione delle opere di parecchi grandi filosofi e a scrivere molto di storia della filosofia, professò nell’insegnarnento e negli scritti una filosofia eclettica, nella quale si notano influssi di psicologismo, di razionalismo e, più che tutto, di spiritualismo.

UTILITARISMO INGLESE

Un’interessante ripercussione dell’idealismo romantico si ebbe nel mondo culturale inglese con CARLYLE e COLERIDGE, ai quali si può accomunare l’americano EMERSON. Tale idealismo si presenterà più vivace alla fine dell’Ottocento. D’apprimà invece si imposero filosofie più positive, come l’utilitarismo, di cui fu principale rappresentante il Bentham.

JEREMY BENTHAM nacque a Londra nel 1748. Fu giurista e filosofo. Si recò spesso in Francia; ne sostenne la rivoluzione, tanto che dall’Assemblea legislativa fu proclamato cittadino francese. Fu però nemico di tutti gli abusi, come lo era di tutti i pregiudizi.
Secondo il Bentham, il criterio di ogni estimazione pratica è il principio dell’utilità. Formula: Il massimo benessere per il più gran numero di uomini. La ricerca del piacere e la fuga dal dolore sono i soli motivi efficaci delle determinazioni umane e perciò il vero compito della vita. Nei suoi scritti, come L’introduzione ai principi di morale e di legislazione e La deontologia o teoria dei doveri, il Bentham raccomanda un saggio calcolo per la scelta dei piaceri, di cui si devono considerare l’intensità, la durata, la certezza, la purezza da conseguenze dolorose, la capacità di produrre altri piaceri, l’estensibilità ad altre persone.

Si può trovare una spiegazione del criterio del Bentham nel fatto che egli, come avvocato e giurista, era abituato a vedere di preferenza nelle azioni umane il lato sociale e le conseguenze relative all’interesse generale ed esteriore. Il Bentham, morì nel 1832.

Le idee morali e politiche del Bentham vennero sostenute anche da JOHN STUART MILL di Londra, (1806-1873), empirista e associazionista in gnoseologia e, come mentalità generale, aderente al movimento positivistico che caratterizzò la 6seconda metà del secolo. Delle sue opere notiamo: Sistema di logica [induttiva]; L’utilitarismo; Del governo rappresentativo. Notevole è pure la sua Autobiografia.

Inspirandosi alla scuola scozzese del Reid, delle opere del quale curò la pubblicazione, e al criticismo del Kant, lo scozzese WLLIAM HAMILTON di Glasgow (1788-1856) sostenne che la realtà assoluta e infinita, poichè incondizionata, non si può conoscere (Agnosticismo); per lui pertanto vale il principio della relatività della conoscenza: pensare è condizionare, condizionamento dell’oggetto al soggetto conoscente e degli oggetti fra loro. L’assoluto appartiene alla fede.
Sviluppò queste conseguenze HARRY MANSELL (1820-1871). Da ricordare dello Hamilton le Letture di metafisica e di logica.

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IMMANUEL KANT ILLUMINISTA

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IDEALISMO POSTKANTIANO: FICHTE – SCHELLING – HEGELS – SCHOPENHAUER

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