L’IDEALISMO EMPIRICO
IL PROBLEMA DEL RAPPORTO FRA REALTÀ INTELLIGIBILE E REALTÀ FISICA
Si fa da taluni risalire l’inizio dell’empirismo inglese a Francesco Bacone, non certo perchè anche costui fosse inglese e si parli volentieri di caratteristica mentalità empirica degli Inglesi, ma forse perchè si vuol riconoscere in esso quella positività di pensiero, di cui Si fa largo credito a Bacone. Probabilmente si confonde l’empirismo, o quale filosofia fondata sull’esperienza, con lo sperimentalismo baconiano, anch’esso fondato sull’osservazione e l’esperienza, ma che è, come vedremo, un metodo di ricerca scientifica.
In realtà l’empirismo rappresenta, esso pure, uno sviluppo del Rinascimento, come il cartesianesimo, al quale ultimo si riserva comunemente la qualifica di razionalismo, contrapponendolo all’empirismo. Razionalistico fu, in sommo grado, anche l’empirismo inglese e alcune concezioni derivò dallo stesso Descartes. Così pure in quelli, che son ritenuti i continuatori più rappresentativi del Descartes, possiamo trovare evidenti motivi di empirismo. Pertanto la divisione che usa farsi, dopo il Descartes, fra empirismo e razionalismo e che noi pure faremo, non va intesa come netta e assoluta separazione.
Empirismo inglese e razionalismo cartesiano hanno ambedue il medesimo punto di partenza, che è il problema del rapporto fra la realtà intelligibile o spirituale .e la realtà fisica o materiale; problema che è ancor quello del rapporto fra soggetto e oggetto, fra atto del pensiero e validità e natura del contenuto dell’atto.
Se l’espressione “filosofia dell’esperienza” può far ritenere a tutta prima l’empirismo come improntato di realismo gnoseologico ingenuo, un esame un po’ attento lo mostra subito ben diverso. Il soggettivismo, venuto da quella che abbiam visto essere la gran fede nella potenza dello spirito umano, è forse più retaggio dell’empirismo che non del razionalismo.
Senza contare che da un’intima, benchè dagli empiristi inglesi non ben avvertita, esigenza di concretezza, propria dell’empirismo, è derivata subito, per virtù del nostro Vico, quella concezione storicistica della cultura e della vita, che ha, come vedremo, anche altri motivi ed è ben più ampia e integrale dell’empirismo inglese, ma gli è vicina nell’ammissione del processo generativo del conoscere, mentre è opposta al criterio gnoseologico cartesiano, ritenuto astratto.
A ogni modo, empirismo e razionalismo hanno condotto al criticismo kantiano e all’idealismo assoluto che ne seguì; ed è certamente in vista di quest’ultimo risultato che da alcuni storici della filosofia l’uno è oggi chiamato senz’altro idealismo empirico e l’altro anche panlogismo, nome, questo, che era costume riservare all’idealismo hegeliano. Bisogna osservare che l’aggettivo “empirico” distingue quel primo idealismo dall’ultimo, in quanto, appunto, quello si caratterizzava in un fenomenismo naturalistico a fondo pluralistico, tanto nell’ambito dell’essere quanto in quello del conoscere, mentre questo tende verso un fenomenismo spiritualistico a fondamento monistico. Quanto poi al panlogismo, quello razionalistico cartesiano, di cui sono esponenti principali lo Spinoza e il Leibniz, è un panlogismo sostanzialistico, mentre quello idealistico postkantiano, di cui sarà esponente soprattutto Hegel, è un panlogismo, se così può dirsi, a-sostanzialistico. Da qui si vede come la tradizionale tendenza ontologica o, comunque, naturalistica, anche se ridotta all’immanentismo o a un discusso trascendentismo, è ancora presente, sottintesa o palese, in tutto il pensiero fino a Kant, compreso.
È certo un’elaborazione filosofica assai importante quella che va dal Descartes al Kant; però l’avvio e la traccia le sono stati dati dai nostri filosofi del Cinquecento e dal Descartes; sotto più d’un aspetto, si può ritenerla una grande preparazione al Kant. Per usare metafore, anche se un po’ strane, diremo che il Descartes e il Kant segnano, l’uno e l’altro, un termine d’arrivo e insieme di partenza nel cammino filosofico, un “nodo” capitale nello svolgimento del pensiero, E il motivo principale dell’importante elaborazione che va dall’uno all’altro, abbiam visto quale sia il rapporto fra soggetto e oggetto, nel campo gnoseologico, fra realtà intelligibile e realtà fisica, nel campo metafisico. Benchè il problema, che nella trattazione si fa la parte del leone, sia quello della conoscenza, esso, in tutti i filosofi che ora vedremo, è anche e subito problema della realtà: perchè il problema ormai, come già ci occorse di notare, è uno. Il medesimo? Ecco il costante scrupolo; che non da tutti è vinto; poichè non tutti sono lo Spinoza o Davide Hume.
Così avvenne che, con lo scrupolo o senza, ci si mise per vie in parte rinnovate e in parte nuove, si svilupparono a oltranza, con gran forza e acume, concezioni filosofiche diverse, per cui non sempre si evitarono svolgimenti unilaterali; si accentuò nel razionalismo cartesiano l’apriorismo e nell’empirismo inglese il criterio contrario (e sta in questo, più che in altro, anche a motivo dei risultati, la più rimarchevole differenza fra i due indirizzi), silicosis si arrivò, come vedremo, con l’uno al dogmatismo e con l’altro indirizzo allo scetticismo. Per conseguenza, il problema del conoscere, con quello naturalmente dell’essere (il medesimo?) si ripresenterà a Kant, come richiedente una soluzione ex-novo. Il Kant, come il Descartes, farà tesoro anche dell’esperienza precedente.
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