ANTON PAVLOVIC CECHOV – Vita e opere

     
C’è un altro Cechov oltre al Cechov del pessimismo

All’inizio ultimi anni del diciannovesimo secolo una serie di mise in crisi il Teatro russo… e al tempo stesso , ne determinò la nuova e grande fioritura dei primi anni del Novecento.

“LA SVOLTA DEGLI “ANNI OTTANTA”

.Dopo una lunga battaglia sostenuta dalla gente di teatro, e in primo luogo dal commediografo Alexander Ostrovsky (Mosca, 12 aprile 1823 – 14 giugno 1886), nel 1882 finalmente si pose termine al monopolio dei teatri imperiali, e fu possibile aprire nelle grandi città russe delle sale private. Questa modificazione di carattere strutturale ebbe notevoli conseguenze…, prima di tutto, fu dato un grosso colpo al conformismo dei repertori, e la scena russa si aprì alle opere del teatro europeo, in particolare a quello di Henrik Ibsen (Skien, 20 marzo 1828 – Oslo, maggio 1906), di cui ebbe largo successo “Casa di bambola“, rappresentata nel 1883. In secondo luogo, un gusto nuovo cominciò a diffondersi negli allestimenti degli spettacoli, che sui palcoscenici imperiali erano piattamente, volgarmente veristici…, e si cominciò a non tollerare più la recitazione alla vecchia maniera, tutta esteriore, priva di intelligenza, e fondata unicamente sui mezzi fisici degli attori, che anche in Russia, erano, per definirli con un termine del nostro linguaggio teatrale, dei mattatori.
A questo proposito va ricordato che proprio in quel fatidico 1882 suscitò discussioni infinite e polemiche vivaci la tournée moscovita del grande attore italiano Tommaso Salvini (Milano, 1 gennaio 1829 – Firenze, 31 dicembre 1915), in occasione della quale uno studioso e uomo di teatro che di lì a qualche anno avrebbe profondamente rivoluzionato la scena russa, Vladimir Nemirovic-Dancenko (drammaturgo e regista russo, Ozourguety, Georgia 1858 – Mosca 1943), scriveva…
“Esistono due tipi di attori che hanno attualmente uguale successo. Gli uni, creando la parte, si preoccupano più delle situazioni di effetto, gli altri del loro interiore…, i primi riservano le loro forze per i punti salienti… gli altri cercano solo la verità… “.
Egli naturalmente parteggiava per il secondo tipo… e verso di esso cominciava a volgersi anche l’interesse del pubblico, il quale, sempre nel 1882, ebbe modo di veder recitare, oltre che Salvini, anche gli attori di una famosa compagnia tedesca, i “Meininger“, in cui il vecchio stile era appunto decisamente ripudiato. Fervore di ricerche e di studi dunque…, attesa di autori e di opere che fossero adeguate al nuovo clima che si andava formando, bisogno profondo di rinnovare il gusto. E si badi… ciò non avveniva con l’appoggio delle autorità e il consenso della classe dirigente russa…, voglio dire che non coincideva affatto con un periodo di particolare tolleranza e di apertura dello zarismo. Anzi, quest’ultimo era quanto mai ferocemente reazionario, e alle agitazioni e agli scioperi delle masse operaie, rispondeva col knut dei carcerieri, le deportazioni, le fucilazioni. Chiusa nel suo malinconico tramonto era invece la vecchia classe dei proprietari terrieri, incapace di esprimere una sua cultura, negata ad interessi spirituali, che non fossero quelli legati ai ricordi del passato. Era dunque la piccola e media borghesia che favoriva quella rinascita del teatro russo…, in essa non era difficile trovare uomini capaci e intelligenti, realizzatori, e anche pensosi delle sorti presenti e future del loro paese.
Era appunto uno di questi il giovane autore, il cui nome apparve per la prima volta sulle locandine di un teatro russo, nel 1887…, il titolo della commedia era “Ivanov“, il nome dell’autore era Anton Pavlovic Cechov.
Nato a Taganrog, porto del Mar d’Azov in Ucraina, il 17 gennaio 1860 (suo padre faceva il droghiere), si era portato a Mosca per compiere gli studi universitari…, laureatosi nel 1884 in medicina, si era dedicato all’esercizio della sua professione, e soprattutto a scrivere racconti e bozzetti teatrali. Su alcuni di questi sarebbe interessante soffermare la nostra attenzione, poiché molto belli e significativi della sua arte… direi soltanto che in essi giocano, per così dire, lo stesso ruolo, un profondo pessimismo e una comicità amara e sarcastica. I due più artisticamente riusciti sono “Il canto del cigno“, in cui un vecchio attore ormai disfatto confida le sue pene al suggeritore, un povero rudere umano, che all’insaputa di tutti passa le notti nel teatro, non avendo dove andare a dormire…, e “Sulla strada maestra“, in cui un gruppo di persone, straccioni, viandanti, pellegrini, mercanti, viene presentato nella sua disperata umanità.
La commedia passò quasi inosservata. Eppure il suo personaggio principale aveva, nella Russia di allora, migliaia e migliaia di modelli viventi nella campagna… Ivanov è un proprietario terriero in completo dissesto per la sua incapacità, la sua mancanza di concretezza, la sua “inutilità”, che lo fa dissipato e cattivo. …
“Non capisco, non capisco, non capisco! Non resta che tirarsi una palla in fronte !” , egli dice guardando al suo sfacelo.
Due anni dopo, stesso disinteresse della critica per il secondo dramma “Liescij“.
Anche qui è il piccolo, meschino mondo dei proprietari terrieri, che sta al centro della vicenda, i cui personaggi sono ancora dei falliti, degli uomini e delle donne disorientati, vittime del loro fondamentale infantilismo.

“SMETTETE DI SCRIVERE PER IL TEATRO”

“Eccovi il mio più amichevole consiglio… smettete di scrivere per il teatro”. Sono parole del celebre attore russo Lenski, dopo il clamoroso fiasco del “Gabbiano“, la nuova commedia di Cechov, rappresentata il 29 ottobre 1896. La ragione dell’insuccesso stava nel fatto che lo spettatore, assistendo alla tragica vicenda dello studente Costantino, ragazzo pieno di desideri e ambizioni per il futuro, ma travolto dalle persone che ama (la madre e una fanciulla che preferisce un letterato mestierante) è spinto al suicidio, veniva introdotto in un’atmosfera desolata, in un clima di rassegnazione tutta interiore che la regia e l’allestimento non rendevano assolutamente. Il testo, infatti, esigeva tutta una particolare recitazione e una adatta messinscena, rifuggenti dal verismo pacchiano e dalle esibizioni esteriori degli attori.
Ma non passeranno più di due anni che il “Gabbiano” otterrà un vero trionfo. Perché avrà trovato i suoi fedeli interpreti in Konstantin Stanislavski (attore, regista e teorico teatrale russo – Mosca 1863-1938), e in Nemirovic-Dancenko, che lo misero in scena come uno dei primi spettacoli del nuovissimo Teatro d’Arte, da loro ideato e fondato nel giugno del 1897.
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Anton Pavlovich Cechov all’età di 29 anni
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CECHOV TRIONFA AL “TEATRO D’ARTE”

Dal 1898 al 1904, l’anno della sua morte, Cechov lavorò in stretto contatto con Stanislavski e con Dancenko…, nella stagione 1899-1900 il Teatro d’Arte presentò “Zio Vania” (un rifacimento di “Liescij“)…, in quella successiva “Le tre sorelle” e nel 1903-1904 “Il giardino dei ciliegi“. Per indicare in quale compagnia queste opere si trovassero nel repertorio del Teatro d’Arte, e di quale vera e grande civiltà teatrale questo fosse artefice, dirò che in quel quinquennio furono rappresentati “Piccoli borghesi” e “L’albergo dei poveri” di Maksim Gor’kij (Nižnyj Novgorod, 28 marzo 1868 – Mosca, 14 giugno 1936) , e “La potenza delle tenebre” di Lev Nikolaevic Tolstoj (1828-1910) , oltre a capolavori stranieri, tra cui molti di Ibsen.
Nelle “Tre sorelle” e nel “Giardino dei ciliegi” il ritratto che Cechov aveva tracciato del vecchio mondo della campagna si fa ancora più desolatamente veritiero e penetrante…, lo svanire dei sogni a contatto con la realtà, sogni in impossibili mutamenti, realtà di un quotidiano sfacelo…, velleità di evasione presto rientrate, soffocate…, rassegnato abbandono ad un destino più grande di loro, così ci passano davanti e Iryna, e Olga, e Màscia, le tre sorelle…, e Liubov Andreievna e la sua gente, per cui i colpi d’ascia che abbattono i ciliegi nel vecchio giardino indicano il componimento di ciò che non si era saputo evitare, il crollo e la disperazione della famiglia.

“OCCORRE LAVORARE, AIUTARE CON TUTTE LE FORZE CHI CERCA LA VERITÀ

“La vita continua, e nulla è cambiato”…. la conclusione di “Zio Vania” sembra valere per tutto il teatro cechoviano. Sul pessimismo, su quel senso disperato della vita, sul decadimento di tutto ciò che era bello e non poté essere continuato, sul tragico conflitto del sogno con la realtà, hanno insistito i critici e gli interpreti dell’arte di Cechov. I suoi personaggi sono dei vinti…, da questa constatazione, gli esegeti della borghesia hanno tratto la conclusione che per Cechov sia destino degli uomini di essere vinti, che egli, insomma, abbia rappresentato l’eterno momento umano della sconfitta, della rassegnazione, del rimpianto del passato.
Ma un’attenta lettura dei testi non conforta affatto questa tesi. I personaggi di Cechov sono dei vinti…, è vero, ma a nessuno può sfuggire la loro posizione di classe. Essi sono i rappresentanti della vecchia classe agraria russa, inetta e deceduta. Tra di loro ci sono anche figure pure e oneste, per lo meno non corrotte (le tre sorelle, per esempio, a confronto con Ivanov)…, ma il destino della loro classe pesa su di esse, e le travolge.
S’accontenta Cechov di descrivere questo mondo ormai fuori della storia ? Basta ripensare a come, nelle “Tre sorelle“, per fare un esempio, ci sia pur qualcosa che si contrappone al nullismo e all’incapacità di molti personaggi, questo qualcosa è il lavoro, l’attività, il fare.
Cechov tratteggia con simpatia alcuni suoi personaggi attivi, realizzatori (Lvov in Ivanov…, Chrusciov in Liescij…, Lopachin nel “Giardino dei ciliegi)…, e introduce anche dei personaggi cui fa dire parole di speranza e di certezza verso il futuro.
“L’umanità procede, perfezionando le sue forze. Tutto ciò che per essa ora è irraggiungibile, un giorno diverrà accessibile, comprensibile…, solo però occorre lavorare, aiutare con tutte le forze chi cerca la verità… Tutta la Russia è il nostro giardino. Terra grande e incantevole, ci sono in lei tanti, tanti luoghi meravigliosi. Pensate Anja… il il vostro nonno, il vostro bisnonno, tutti i vostri antenati erano signori, possessori di servi, e non vi sembra che da ogni ciliegio del giardino, da ogni foglia, da ogni tronco vi guardino degli esseri umani, non vi sembra di sentire le loro voci ? Oh, è spaventoso… il vostro giardino fa paura. Ecco… è così chiaro, per cominciare a vivere nel presente bisogna prima riscattare il nostro passato, farla finita con esso…
“Così parla Trofimov nel “Giardino dei ciliegi“…, gli fa eco Vierscìnin nelle “Tre sorelle“…
“Fra due, trecento, mille anni comincerà una vita nuova, felice. Noi, certo, non parteciperemo a questa vita, ma noi ora viviamo per essa, lavoriamo, soffriamo per prepararla, la stiamo creando e in questo solo è lo scopo della nostra esistenza”…
In un altro punto delle “Tre sorelle” Cechov fa dire al suo personaggio…
“È venuto il momento…, su noi tutti avanza qualcosa di enorme, si prepara una sana forte tempesta, che arriva, che è già vicina e presto spazzerà via dalla nostra società l’indolenza, l’indifferenza, il pregiudizio contro il lavoro, la putrida noia… tra una ventina d’anni, una trentina d’anni ogni uomo lavorerà. Ognuno!” .
Le citazioni potrebbero continuare. Spirito profondamente democratico, Cechov, che con un realismo profondamente poetico aveva descritto il crollo della vecchia società russa, aveva grande dentro di sé il presentimento di un mondo migliore. Più che il rimpianto impotente per il passato, c’era nel suo teatro il senso dell’imminente sperata tempesta. Della quale, un anno dopo la sua morte, avvenuta nel 2 luglio 1904, si aveva il primo urto urto (il proletariato russo ingaggiava il primo movimento rivoluzionario del XX secolo, conosciuto sotto il nome di Rivoluzione russa del 1905).
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Ritratto di Anton Cechov (1886)
Isaak Iljitsch Lewitan (1860-1900)
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