I RACCONTI DI CANTERBURY – Geoffrey Chaucer

I RACCONTI DI CANTERBURY

Geoffrey Chaucer

Introduzione

I RACCONTI DI CANTERBURY sono incompiuti e lacunosi: delle numerosissime novelle annunciate nell’introduzione, ce ne sono giunte solo ventiquattro.
E’ dunque verosimile che ciò che manca, manchi perché andato perduto.

Recensione

Sulla riva destra del Tamigi, di fronte alla City, nella vecchia Londra di cinquecento anni fa, c’era un’antica, accogliente osteria: l’Osteria del Tabarro.
Oltre alla gente del porto e del fiume, l’Osteria del Tabarro dava ospitalità alle comitive che, nella stagione primaverile, si recavano in pellegrinaggio da Londra a Canterbury, a rendere omaggio e a far atto di devozione sulla tomba del gran santo Thomas (Tommaso) Beckett (Vescovo di Canterbury [1115-1170] acerrimo nemico del potere monarchico, sostenitore della supremazia della Chiesa, ucciso dai seguaci di re Enrico II).
Erano qualcosa come 33 miglia di strade di campagna: e la gente, approfittando del bel tempo, del dolce paesaggio, delle piacevoli soste che si potevano fare mangiando e bevendo nelle locande, impiegava a percorrerle quattro giorni.
Accadde una sera che padron Bailly, l’oste del Tabarro, vedesse il suo locale invaso da un gran numero di pellegrini: un cavaliere con il suo scudiero, una priora, un monaco, un frate, un mercante, uno studente di Oxford, un “sergente della legge”, un tessitore, un allodiere, un tappezziere, un carpentiere, un marinaio, un “dottor fisico”, una donna, un parroco di borgo, un contadino, un fattore, un mugnaio… e via via, gente simpatica e cordiale d’ogni età e condizione sociale.
Padron Bailly decise allora di mettersi anche lui nel branco, l’indomani, e di andare a Canterbury con loro.
Per render meno monotono il viaggio, allegro compagnone com’era, propose ai suoi compagni di trascorrere il tempo raccontando novelle: due ciascun all’andata, e altrettante al ritorno.
A chi avrebbe raccontato la storia più bella, gli altri dovevano, finito il pellegrinaggio, offrire una lauta cena.
Che cosa questi pellegrini si siano raccontati durante la pia cavalcata – perché, naturalmente, la proposta di padron Bailly fu subito accolta con piacere – anche a noi è dato di conoscere, almeno in parte: ci è dato di saperlo perché tra quei viandanti c’era un poeta che, con le novelle ascoltate dai compagni, scrisse un libro in versi, il primo libro importante, anzi, della letteratura inglese… I RACCONTI DI CANTERBURY.



Il suo nome era Geoffrey Chaucer.
Tuttavia la storia dell’oste del Tabarro e della sua proposta è naturalmente inventata da lui, così come i racconti dei pellegrini nascono dalla sua fantasia e dalla sua cultura: ma tanta è la vivezza di quei personaggi, tanto realistica la descrizione dei tipi, tanto strettamente legata alla sua epoca la caratterizzazione dell’ambiente, che davvero non facciamo difficoltà a immaginarci la gaia brigata, a pensare che, in quello scorcio di Trecento inglese, le cose, tra Londra e Canterbury avvenissero proprio così tra i devoti di San Tommaso.
Durante quel secolo la borghesia inglese era venuta assumendo sempre maggior peso nella vita del paese: su di lei era appoggiato, nell’eterno conflitto con i baroni feudali, il gran re Edoardo III (1327-1377), durante il cui regno la borghesia conquista l’istituzione della camera dei Comuni, apportando un profondo mutamento nella compagine del Parlamento, fino allora costituito soltanto dalla aristocratica Camera dei Lords.
Mentre la nobiltà inglese si indeboliva sui campi di battaglia di Francia (nel conflitto tra la dinastia inglese e francese che dette origine alla GUERRA DEI CENTO ANNI), mercanti, artigiani, professionisti, diventavano sempre più forti nelle città dell’Isola.
Del loro ceto faceva parte la famiglia di Chaucer; e Chaucer stesso, anche se per buona parte della sua vita fu al servizio della monarchia (e, in particolare, di Giovanni di Gaunt fratello del re) rimase sempre legato alla sua classe.
Valletto di corte, poi funzionario e diplomatico, ebbe come sua aspirazione prima quella di fare il letterato, il poeta: e perciò preferiva farsi assegnare compiti meno connessi con l’attività di cortigiano, come quello di controllore doganale per i dazi sulle lane, le pelli e i vini nel porto di Londra, onde avere più tempo libero.
Dei suoi stretti rapporti, tuttavia, con la corte, la sua produzione letteraria risente grandemente.
L’influsso francese, in questo periodo (sia per contatti precedenti, sia, durante il Trecento, per il fatto che gran parte della nobiltà viveva praticamente sul continente, a contatto coi signori feudali francesi, contro i quali combatteva, ma con cavalleresca cortesia, tanto da diventare, se fatta prigioniera, ospite graditissima) è rilevante.
Chaucer traduce in inglese la massima opera della letteratura cortese e cavalleresca di Francia, il ROMAN DE LA ROSE, compone poemi allegorici e d’occasione (da …LA CASA DELLA FAMA …, al LIBRO DELLA DUCHESSA…, al PARLAMENTO DEGLI UCCELLI…, ALLA leggenda delle buone donne), si diletta, insomma, per far piacere al suo pubblico colto e Nobile, di tutto un mondo libresco tratto fuori dalla letteratura latina e greca.
Nei RACCONTI DI CANERBURY, invece, la sua fonte d’ispirazione cambia: dal mondo dei libri a quello della realtà.
L’introduzione alle novelle – quella che, in un certo senso, ho riassunto all’inizio – è davvero una galleria di tipi tratti dal vero: gente del popolo, ben concreta, sanguigna, ridanciana, intesa sempre ai propri bisogni, ai propri interessi reali e terreni.
In parecchi racconti, è vero, si sente ancora la presenza di quella cultura classica: o nella stessa trama (come il racconto del cavaliere su Polemone e Arcita innamorati della stessa donna, ai tempi di Teseo), o nelle continue reminiscenze, nelle similitudini tratte dai poeti latini e greci.
Ma lo spirito con il quale le vicende vengono narrate è del tutto nuovo: dal miscuglio di motivi classici, medioevali, religiosi e pagani, vien fuori un atteggiamento spregiudicato e critico nei confronti della società del suo tempo.
I racconti in cui ciò si rivela maggiormente sono quelli più salaci, di una sana, grossa comicità: la burla dello studente di Oxford al legnaiolo per godersene la moglie (racconto de mugnaio), il tiro giocato da due studenti a un mugnaio che li voleva truffare sul grano (racconto del fattore), l’allegra, sfacciata autobiografia della donna di Bath che si ebbe quattro mariti, uno per uno morti estenuati dalla sua insanabile lascivia e dalle sue pretese (la quale poi imbastisce una storia atta a dimostrare come i mariti debbano soddisfare i desideri delle mogli!).
Alcune novelle, poi, se la prendono con il clero cattolico: e qui, i pellegrini che vanno alla tomba di San Tommaso non hanno davvero peli sulla lingua!
In ciò che Chaucer fa loro narrare c’è tutta la sua avversione per la corruzione della Chiesa, per i privilegi, i vizi, le superstizioni di cui essa dava prova: avversione che gli è stata ispirata dalla chiara visione di come stessero le cose e, probabilmente, dall’influenza esercitata su di lui dalla predicazione di Wycliff, il grande eretico inglese del Trecento, di cui era stato amico il protettore di Chaucer, Giovanni di Gaunt.
(Giovanni Wycliff, 1320-1383, attaccò bruscamente i dogmi cattolici, l’autorità papale e la ricchezza ecclesiastica, ma non superò mai i limiti posti dalle classi dominanti e non si mutò mai in una vera agitazione politica).

Tre sono i punti sui quali Chaucer attacca il clero: i costumi lascivi e corrotti (si leggano i racconti dell’apparitore e del marinaio); le prediche superstiziose (racconto del famiglio del canonico); lo scandalo delle indulgenze(racconto dell’indulgenziere, che ricopio per intero a fondo pagina***).
In questo vasto affresco della società inglese del Trecento qualcosa manca: manca il mondo contadino.
Quel mondo contadino pieno di fermenti di rivolta, che si sollevò contro la sua miseria nel 1381 (era re Riccardo II), sotto la guida di Vat Tyler, gettando il terrore nelle campagne.
E’ possibile che Chaucer, così attento alla realtà del suo tempo, non avesse preso un esponente di quel mondo, per farlo protagonista di una sua novella?

I RACCONTI DI CANTERBURY sono incompiuti e lacunosi: delle numerosissime novelle annunciate nell’introduzione, ce ne sono giunte solo ventiquattro.
E’ dunque verosimile che ciò che manca, manchi perché andato perduto.

Leggendo, comunque, ciò che dice il “sergente della legge” nel prologo della sua storia…

“O miseria, male odioso, afflitto da sete, freddo, fame; tu ti vergogni in cuor tuo di domandare aiuto, e se anche non lo chiedi, così sei pigiata dal bisogno che esso rivela le tue nascoste ferite.
Il bisogno, tuo malgrado, ti costringe a rubare, ad accattare, o a prendere a credenza”…

…non posso non pensare a quelle turbe affamate di contadini della cui disperata sollevazione egli fu testimone.




***LA PREDICA DEL VENDITORE D’INDULGENZE

“Signori – egli disse – quando predico in Chiesa, cerco di farmi sentire più che posso e la mia parola vibra piena e sonora, come una campana; perché quello che dico lo so tutto a memoria. L’argomento delle mie prediche è, ed è sempre stato uno solo Radix malorum est cupiditas.
Comincio col dire da qual luogo vengo: poi faccio vedere tutte le mie carte e sulla mia patente il sigillo del nostro signore feudale. Lo faccio, per salvarmi le spalle, perché nessuno, qualche prete o qualche chierico, non osi disturbarmi nella sacra funzione di Cristo. Quindi racconto le mie solite storie. Tiro fuori bolle di papi, di cardinali, di patriarchi e di vescovi, pronunciando qualche parola in latino, per drogarne la mia predica ed eccitare alla devozione. Poi metto fuori i miei scatoloni di vetro colmi di stracci e di ossa, che sono reliquie come tutti credono. Poi ho una scapola in ottone che sarebbe stata di una pecora d’un santo ebreo: “Buona gente – dico – fate attenzione alle mie parole. Se quest’osso s’immerga in alcun pozzo, ove una vacca, un vitello, un bue, che si gonfi per aver mangiato qualche verme, o per essere stato morso, prenda acqua da quel pozzo e vi lavi la lingua, la bestia è bell’e guarita. Per di più guarirà subito dal vaiolo, dalla scabbia, e di ogni altra malattia ogni pecora che un sorso beva a quel pozzo. State attenti a quel che dico.
Se chi ha del bestiame, tutte le settimane prima che il gallo faccia chicchiricchi beva, a digiuno, un sorso da quel pozzo, come quel santo ebreo insegnò ai nostri vecchi, in capo all’anno avrà le stalle piene ed i granai zeppi. Finalmente, signori, quell’acqua cura anche la gelosia, perché se pure alcuno cada in furia gelosa, si faccia quest’acqua bevanda, non avrà mai alcun sospetto della moglie, quand’anche conosca il vero delle sue colpe e s’abbia goduto due o tre preti.
E qui è un mezzo guanto, come potete vedere, chi v’infili la mano vedrà la sua messe moltiplicare, e grano ed avena che seminasse, così che offra scudi e solducci”.
Con questa trappola, da che faccio il mercante d’indulgenze mi sono sempre guadagnato cento marchi l’anno. Me ne sto bravamente sul mio pulpito come un chierico, e quando la gente ignorante ha preso posto, faccio la mia predica in quel modo che vi ho detto, e racconto un altro centinaio di frottole. Le mie mani e la lingua vanno allegramente così che è gioia vedere le mie attività. La mia predica non tratta che dell’avarizia e di simili malvagità, per indurre i fedeli ad essere liberali dei loro soldi e appunto verso di me. Poiché il mio scopo non è che far quattrini, e non di correggere peccati anche se le loro anime vadano raminghe in malora”.

Voto

5/5
/ 5
Grazie per aver votato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.