MARTIN LUTERO – Vita e opere (TESTO DELLE 95 TESI)

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Martin Lutero nacque il 10 novembre 1483 nella città mineraria di Ei­sleben, nel distretto di Mansfeld. I suoi genitori, Hans e Margarete Luder, erano entrambi originari della Tu­ringia sud-occidentale. Il padre, figlio di un contadino, non aveva alcun diritto di ereditare la fattoria paterna di Mohra, nei dintorni di Salzungen; si era perciò trasferito, insieme alla giovane moglie, prima ad Eisleben e poi a Mansfeld, il capoluogo della contea, per impiegarsi in qualche miniera. Qui egli riuscì ad elevarsi socialmente svolgendo l’attività di piccolo imprenditore ed appaltatore dei lavori di estrazione mineraria; questa attività tuttavia non gli consentì mai di affrancarsi dalla dipendenza finanziaria dei grossi trafficanti e dei conti di Mansfeld che erano i beneficiari di ogni diritto sulle miniere.
Martin passò la sua infanzia in un ambiente fredde e conformista. Alla rigida educazione ricevuta dai genitori subentrò, a partire dal 1488, quella spesso massacrante inculcatagli nella locale scuola di latino. Nel 1497 il padre, che nel frattempo era stato chiamato a ricoprire una carica pubblica come rappresentante della borghesia cittadina, lo mandò a frequentare la scuola di Magdeburgo. Un anno dopo Lutero viene iscritto alla Scuola Triviale di S. Giorgio, ad Eisenach, dove viene preparato ad entrare all’Università mediante lo studio severo delle tre discipline fondamentali che rappresentavano allora la base delle cosiddette “sette arti liberali”: la grammatica, la retorica e la dialettica. Egli approfondì la sua conoscenza del latino e studiò anche musica.
Durante il suo soggiorno a Magdeburgo, Lutero si era guadagnato da vivere dedicandosi ad un’attività allora molto in voga tra gli studenti: quella di andare a cantare, come membro di cori giovanili, sotto le finestre dei ricchi borghesi. Era un mezzo come un altro per chiedere l’elemosina ma a quei tempi, fatto in questa forma, non era giudicato né riprovevole né poco dignitoso. Rappresentò quindi per lui un netto miglioramento rispetto alla sua precedente condizione di “studente errante”, il fatto che ad Eisenach egli venisse messo a pensione presso due famiglie benestanti della borghesia locale, gli Schalbe ed i Cotta. In questo ambiente colto e raffinato egli venne per la prima volta in contatto con un mondo che fino a quel momento gli era rimasto precluso. Ebbe modo soprattutto di assistere a profonde discussioni sui più elevati problemi religiosi condotte in una forma e con argomenti che egli non aveva mai sentito nè a casa nè a scuola. D’altra parte, durante le sue frequenti visite ai parenti rimasti a Mohra, egli ebbe modo di venire a contatto anche con la vita ed i problemi dei contadini. Il fatto di provenire dalla famiglia di un piccolo imprenditore, la molteplicità delle esperienze giovanili ed il periodo scolastico trascorso ad Eisenach, città caratterizzata da una intensa vita sociale di tipo borghese pre-capitalistico, furono elementi decisivi per la formazione della personalità di Lutero. Ed è in questi elementi che vanno ricercate le radici dei suoi successivi legami con le classi possidenti e delle sue ideologie sociali.
Alla fine di aprile del 1501 “Mar­tinus Ludher ex Mansfelt” venne iscritto nei registri dell’Università di Erfurt. In questo ateneo, fondato nel 1392 nella ricca città commerciale e destinato ad essere per tutto il XV secolo uno dei più importanti della Germania, Lutero studiò dapprima le discipline comprese nelle sette arti liberali presso la facoltà artistica, la cui frequenza rappresentava tuttavia soltanto un periodo preparatorio necessario per accedere ad una delle tre “facoltà superiori” che erano quelle di teologia, giurisprudenza e medicina. Sotto la severa guida degli insegnanti Lutero fu costretto ad affrontare nelle aule e nella cella quasi monacale in cui viveva durante il suo internato, un programma di studi molto ampio e meticolosamente organizzato. Nel settembre del 1502 egli riuscì a conseguire il titolo accademico minore, quello di Baccelliere “in artibus”. Tre anni dopo, impiegando quindi un tempo eccezionalmente breve, fu promosso “Maestro” nelle arti liberali.
All’Università di Erfurt dominava allora una corrente della scolastica basata sul sistema nominalistico elaborato dal francescano inglese William Ockham e dai suoi discepoli. In contrasto con la scolastica tradizionale, i seguaci della scolastica ‘moderna’ di Ockham sostenevano la netta separazione tra Fede e Ragione, benché naturalmente la prima dovesse comunque avere una posizione ed una importanza predominante. Questa teoria, se da una parte favoriva il rifiorire della dogmatica, dall’altra lasciava un margine alla ricerca naturale prima trascurata o addirittura inibita dalla scolastica tradizionale ed autoritaria, in cui solo le verità rivelate avevano un significato anche conoscitivo. Da un punto di vista morale, la nuova scolastica di Ockham portava alla conclusione che l’uomo fosse pienamente responsabile delle sue azioni, libero di volere il bene e di seguire, per propria scelta e volontà, i comandamenti di Dio.
Il baccelliere Martin Lutero, che per la coerenza del ragionamento e per le capacità dialettiche dimostrate nelle dispute veniva soprannominato dai suoi colleghi “il filosofo”, ebbe anche la possibilità di venire a contatto all’Università di Erfurt, con la corrente spirituale più progressiva del suo tempo, l’umanesimo, che, benché alimentato da tendenze ancora eterogenee, stava già diventando l’ideologia delle classi borghesi più avanzate. Tut­tavia, benché egli avesse avuto relazioni personali con degli umanisti diventati poi famosi, l’influenza dell’umanesimo sulla sua evoluzione fu piuttosto insignificante.
Dopo la sua promozione a ‘Maestro’, Lutero, seguendo la volontà del padre, avrebbe dovuto intraprendere gli studi di diritto, tenuti allora in grande considerazione perchè permettevano di raggiungere ragguardevoli posizioni sociali. Ma poco prima di iscriversi alla facoltà di giurisprudenza, nella sua vita si verificò un decisivo cambiamento. Che cosa era successo?
« Voglio diventare un monaco ». Sulla strada di ritorno da una visita fatta a Mansfeld, Lutero fu sorpreso, nei pressi del villaggio di Stotterheim a nord di Erfurt, da un furioso temporale. Un fulmine cadde vicinissimo a lui, ed egli fu scaraventato a terra, mezzo accecato e folle di paura. Vedendo la morte così vicina Lutero invocò la patrona dei minatori facendole un voto: «Salvami, Sant’Anna, mi farò monaco!».
E, nonostante tutti i consigli degli amici che tentavano di dissuaderlo, pochi giorno dopo il ‘Maestro’ non ancora ventiduenne, proferiva i voti.
Lutero non ha mai dato una chiara spiegazione di questa sua decisione. Comunque il suo ingresso nel convento degli Eremiti agostiniani di Erfurt, un ordine mendicante dalla regola particolarmente severa, non fu certamente dovuto ad un’irresistibile vocazione. I suoi scrupoli di coscienza, la sua paura del peccato e la sua conseguente insicurezza erano il risultato di una situazione sociale caratterizzata da una crisi generale, crisi che si rifletteva nei modi più svariati nella coscienza dei singoli. Nell’ambito dell’ordinamento feudale del tardo medio evo si andavano formando i primi elementi del sistema capitalistico di produzione, e ciò avveniva soprattutto nel settore minerario ed in quello della tessitura. Le forme tradizionali di commercio stavano subendo variazioni notevoli e spesso contraddittorie; l’espansione e l’evoluzione delle forze produttive poneva in discussione la struttura tradizionale della società. La conseguente dissoluzione del feudalesimo si ripercuoteva in tutti i settori della vita sociale portando ad un inasprimento della lotta di classe.
Questi complicati processi di ristrutturazione dell’intera società produssero anche una profonda crisi spirituale e ideologica, facendo vacillare nella coscienza degli uomini la fiducia nella validità dei principi tradizionali fino ad allora tacitamente accettati. Anche i problemi di coscienza di Lutero non possono essere considerati come qualcosa di avulso dalla critica situazione sociale del suo tempo. È per questo che nemmeno la fuga del giovane ‘Maestro’ dietro le mura di un severo convento, fuga di cui il fulmine caduto a Stotternheim era stato solo un pretesto, poteva rappresentare una via d’uscita per i suoi problemi personali.
E infatti Martin Lutero non riuscì a trovare nella vita claustrale quella pace spirituale che egli aveva sperato nonostante la sua stretta osservanza alle severe regole dell’ordine che egli cercava di interpretare in modo ancora più ristretto per aumentare la sua mortificazione e la sua macerazione. Così nel 1506 egli rinunciò ai consueti voti monacali – povertà, castità e obbedienza – e, nel 1507 prese gli ordini sacri nel Duomo di Erfurt; poco dopo disse la sua prima messa nella chiesa del convento dei frati Agostiniani ed iniziò lo studio regolare della teologia che ad Erfurt veniva insegnata dagli Agostiniani nello spirito Ockham.
Nel 1508 Lutero si recò, per incarico del suo Ordine, a Wittenberg nella Sassonia elettorale. In questa città, che allora aveva soltanto 2000 abitanti e che si trovava, come ebbe a dire Lutero, “ai confini della civilizzazione”, era stata fondata nel 1502 per iniziativa del signore della regione, una università, la “Leucorea”, nella quale gli ordini monastici avevano ricevuto l’incarico di tenere gratuitamente alcune cattedre. Lutero assunse, in sostituzione di un confratello che si era dimesso, la cattedra di filosofia morale presso la facoltà d’arte liberale continuando contemporaneamente a studiare presso la locale facoltà di teologia. Il 9 marzo 1509 egli conseguì il baccellierato in scienze bibliche e nell’autunno dello stesso anno tenne una disputa sulle sentenze di Petrus Lombardus, uno dei sistematici della teologia scolastica. Richiamato poco dopo ad Erfurt, fu nell’autunno del 1510 incaricato dai suoi superiori di recarsi a piedi a Roma, insieme ad un altro padre agostiniano per sbrigare alcuni affari dell’Ordine. Durante il suo soggiorno nella città eterna, il monaco agostiniano non si interessò affatto delle vestigia storiche ed archeologiche di Roma, ma ne seguì attentamente la vita religiosa. Si attenne strettamente al comportamento che dovevano tenere i pellegrini, disse le sue preghiere in un gran numero di chiese e di cappelle, visitò le tombe dei martiri e dei papi nelle catacombe, si prosternò di fronte alle reliquie ed alle statue dei santi per raccogliere il maggior numero possibile di indulgenze spirituali e assicurare così a se stesso ed ai suoi familiari la grazia della salvezza eterna. Non ebbe invece alcun contatto con la cultura rinascimentale.
Per quanto egli avesse sentito sia a Roma che durante il viaggio parecchie cose spiacevoli sul comportamento del clero, soprattutto di quello alto, egli se ne tornò ad Erfurt tutto pieno di sacro rispetto per la chiesa cattolica e per la suprema funzione pastorale del papa.
A seguito di un suo litigio con il locale convento degli agostiniani, per ordine del vicario generale Johann von Staupitz Lutero fu definitivamente trasferito, nell’estate del 1511, nel convento di Wittenberg dove, dopo la sua elezione a vice-priore, riprese i suoi studi per conseguire il dottorato in teologia; titolo accademico questo che nel suo caso avrebbe comportato la nomina automatica ad esperto in scienze bibliche presso il vicario generale von Staupitz. Nell’autunno 1512 egli divenne infatti dottore in teologia. L’assunzione al dottorato comportava in quell’epoca delle spese molto forti e Lutero non era in grado di pagare nè i 17 gulden della tassa di laurea nè di sostenere la spesa della costosa e fastosa cerimonia di investitura. Ma, grazie ai buoni uffici del Vi­cario generale degli Agostiniani e per intercessione del suo vecchio compagno di studi Georg Burkhardt di Spalt, detto “Spalatino”, divenuto nel contrattempo membro del Consiglio Elettorale, predicatore di corte e segretario, il Principe Elettore Federico il Saggio fece consegnare 50 gulden tratti dalla sua cassa privata al monaco mendicante per permettergli di conseguire la dignità dottorale. Quale contropartita, Lutero dovette impegnarsi a curare, vita natural durante, il corso di lettura biblica all’università di Wittemberg. Il principe elettore di Sassonia si era così assicurato con modica spesa l’opera di un professore molto dotato e stimato ed aveva quindi fatto un buon affare.

LUTERO DOTTORE IN SACRA SCRITTURA

Benché le lezioni di Lutero dovessero vertere soprattutto sui libri del Nuovo e del Vecchio Testamento delle Sacre Scritture, nel periodo compreso tra il 1513 e il 1516, il suo tema preferito fu costituito dai Salmi e dall’Epistola di Paolo ai Romani. Oltre che occuparsi della sua cattedra e del suo vice-priorato al convento, Lutero doveva anche tenere delle prediche nella chiesa principale di Wittenberg. Nel 1515 egli ebbe dalla direzione dello Ordine un elevato incarico: quello di sovrintendere, nella veste di Vicario distrettuale, alla vita religiosa di 11 conventi agostiniani della Sassonia elettorale. Per espletare tutti questi incarichi egli fu inevitabilmente costretto a riannodare quei legami con il « mondo » ai quali egli credeva di aver a suo tempo definitivamente rinunciato. Lutero si trovò così sempre più frequentemente a dover affrontare la realtà ed i problemi sociali del suo tempo. Non potè non accorgersi per esempio del declino dell’autorità della chiesa; venne a conoscenza di innumerevoli abusi commessi dagli ecclesiastici, udì le proteste sempre più numerose che venivano elevate nei confronti della Santa Sede e delle sue esagerate pretese e dovette prender atto dell’esistenza di un movimento di opposizione che, sia pur nella clandestinità, diventava sempre più ampio ed era diretto ad abbattere le strutture sociali ormai invecchiate. Il monaco istruito e l’uomo d’ordine Martin Lutero non ebbe certo la possibilità di comprendere l’intima dialettica e le vere cause di quel fermento, le cui origini andavano certamente ricercate nella grossa rivoluzione economica allora ancora agli inizi. Da quando egli era entrato in convento il problema più tormentoso era per lui quello della salvezza eterna del singolo e la ricerca di quelle regole che avrebbero potuto liberare l’uomo dal peccato e salvarlo dalla dannazione. Lo studio approfondito della Bibbia e dei Padri della chiesa, la lettura degli scritti di alcuni grandi mistici e l’atteggiamento già piuttosto critico assunto nei confronti degli scritti dei seguaci di Ockham, fecero a poco a poco germogliare nel figlio di borghesi Martin Lutero i semi di un’opposizione teologica ancora inconscia ma già stimolata dai mutamenti sociali allora in corso. Particolarmente importante in questo suo processo di maturazione fu l’influenza di von Staupitz che, nelle sue direttive spirituali all’Ordine, insisteva perchè il Cristo crocefisso fosse visto soprattutto come colui che aveva promesso grazia e misericordia all’umanità peccatrice, sottolineava come soltanto la grazia divina rendesse possibile ai credenti di adempiere ai comandamenti. di Dio e sosteneva che già il fatto di credere nella misericordia divina costituiva la prova di appartenere alla schiera degli eletti.
La svolta decisiva verso una nuova comprensione di Dio e quindi di conseguenza verso una nuova interpretazione del concetto di chiesa, avvenne in un periodo che non è possibile definire con precisione. Lutero trasse dalla prima Epistola di Paolo ai Romani in cui viene trattato il problema della giustizia di Dio che il monaco aveva interpretato e temuto come fosse qualcosa di simile alla giustizia dei giudici teniere – un insegnamento illuminante, che doveva diventare il punto di partenza di ulteriori meditazioni: “L’uomo giusto vivrà della sua fede”. Questa frase contenuta nell’Epistola acquistò per Lutero un significato del tutto nuovo: la giustizia divina non gli apparve più come una giustizia punitiva, ma come un dono concesso ai cristiani credenti e fiduciosi nell’infinita bontà di Dio. Il Vangelo, la lieta novella, implicava quindi, secondo la nuova interpretazione di Lutero, l’obbligo di conquistarsi la grazia di Dio mediante le buone opere e non quello di comperarsela dai preti. Questa interpretazione non era altro che l’espressione teologica della generale aspirazione della borghesia e delle masse popolari per una chiesa più semplice e meno ‘costosa’, per una riduzione dello strapotere del papa e del clero che, negando in modo ricattatorio i sacramenti, aveva il potere di privare i credenti della grazia divina.
Né i padri della chiesa né i loro commentatori e nemmeno la scolastica o i decretali dei papi hanno permesso a Lutero di arrivare a questa per lui fondamentale conclusione – che soltanto la Fede fosse in se stessa pienamente sufficiente ad assicurare la salvezza e la vita spirituale dell’uomo – ma ben sì lo studio approfondito della Bibbia. Da quel momento la Sacra Scrittura divenne e rimase al centro del suo pensiero teologico.

LE PRIME IDEE CRITICHE SULLA CHIESA

Sotto l’influenza di questo nuovo punto di vista, nel periodo 1513-1517 Lutero enuncia le sue prime idee critiche concrete sulla situazione in cui si trovava la chiesa. Così, ad esempio, nel manoscritto di una sua lezione sull’Epistola ai Romani tenuta nel 1516, si può leggere la seguente frase: «La chiesa romana è completamente inquinata e corrotta da un caos indescrivibile di inimmaginabili dissolutezze, frivolezze, gozzoviglie, ambizioni e offese a Dio». In un altro punto egli scrive: «Tu puoi aver commesso ogni sorta di peccati, si, puoi aver commesso degli errori che come dice l’apostolo (Paolo) gridano vendetta al cielo, ciononostante, secondo la chiesa, sei il più santo dei cristiani se proteggi i diritti e le libertà del clero. Se invece non li tieni in nessun conto e non hai a cuore gli interessi della chiesa, allora non sei più un buon figlio nè un buon cristiano».
In quel periodo Lutero muove anche le prime critiche contro il cerimoniale troppo sfarzoso in uso nella chiesa in occasione di particolari festività e contro la venerazione delle reliquie; d’altra parte egli non trascura la occasione di attaccare le teorie di Ockham. Nel 1516 indusse un suo studente, durante una disputa contro le tesi di Ockham, a sostenere che l’uomo era in grado di adempiere ai comandamenti divini perchè in lui c’era questo potere. Nel settembre del 1517 un altro dei suoi studenti, Franz Günther di Nordhausen, che più tardi doveva diventare un compagno di Thomas Münzer, sostenne una disputa presentando 95 tesi contro Aristotele e contro la teologia scolastica.
Martin Lutero ha sviluppato il suo nuovo insegnamento procedendo parallelamente, ai cambiamenti in corso nella società del suo tempo, anche se i legami che egli ha avuto con questo grande movimento sono stati indiretti e non sono definibili in modo rigoroso. Senza averne coscienza, anzi senza sospettarlo nemmeno, Lutero iniziò con queste sue critiche ai fondamenti teologici la formulazione di una ideologia religiosa sulla situazione istituzionale e sulle pretese all’assoluto primato del papato; ideologia religiosa che contribuì potentemente all’abbattimento delle vecchie strutture e che divenne un’arma formidabile per le classi progressiste della società nel periodo di transizione dall’ordinamento tardo­feudale a quello del nascente capitalismo.

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Un ritratto postumo di Lutero come frate agostiniano (1546)
Lucas Cranach il Vecchio (1472 ca. – 1553)

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IL TESTO DELLE 95 TESI 

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1 – Il signore e maestro Gesù Cristo dicendo: “Fate penitenza ecc.” volle che tutta la vita dei fedeli fosse una penitenza.
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2 – Questa parola non può intendersi nel senso di penitenza sacramentale (cioè confessione e soddisfazione, che si celebra per il ministero dei sacerdoti).
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3 – Non intende però solo la penitenza interiore, anzi quella interiore è nulla se non produce esteriormente varie mortificazioni della carne.
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4 – Rimane cioè l’espiazione sin che rimane l’odio di sé (che è la vera penitenza interiore), cioè regno dei cieli.
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5 – Il papa non vuole né può rimettere alcuna pena fuorché quelle che ha imposte per volontà propria o dei canoni.
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6 – Il papa non può rimettere alcuna colpa se non dichiarando e approvando che è stata rimessa da Dio o rimettendo nei casi a lui riservati, fuori dei quali la colpa rimarrebbe certamente.
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7 – Sicuramente Dio non rimette la colpa a nessuno, senza sottometterlo contemporaneamente al sacerdote suo vicario, completamente umiliato.
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8 – I canoni penitenziali sono imposti solo ai vivi, e nulla si deve imporre in base ad essi ai moribondi.
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9 – Lo Spirito Santo dunque, nel papa, ci benefica eccettuando sempre nei suoi decreti i casi di morte e di necessità.
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10 – Agiscono male e con ignoranza quei sacerdoti, i quali riservano penitenze canoniche per il purgatorio ai moribondi.
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11 – Tali zizzanie del mutare una pena canonica in una pena del Purgatorio certo appaiono seminate mentre i vescovi dormivano.
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12 – Una volta le pene canoniche erano imposte non dopo, ma prima dell’assoluzione, come prova della vera contrizione.
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13 – I morituri soddisfano ogni cosa con la morte, e sono già morti alla legge dei canoni, essendone sollevati per diritto.
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14 – La integrità o carità perfetta del morente, porta necessariamente con sé un gran timore, tanto maggiore quanto essa è minore.
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15 – Questo timore e orrore basta da solo, per tacere d’altro, a costituire la pena del purgatorio, poiché è prossimo all’orrore della disperazione.

16 – L’inferno, il purgatorio ed il cielo sembrano distinguersi tra loro come la disperazione, la quasi disperazione e la sicurezza.
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17 – Sembra necessario che nelle anime del purgatorio di tanto diminuisca l’orrore di quanto aumenti la carità.
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18 – Né appare approvato sulla base della ragione e delle scritture, che queste anime siano fuori della capacità di meritare o dell’accrescimento della carità.
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19 – Né appare provato che esse siano certe e sicure della loro beatitudine, almeno tutte, sebbene noi ne siamo certissimi.

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20 – Dunque il papa con la remissione plenaria di tutte le pene non intende semplicemente di tutte, ma solo di quelle imposte da lui.
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21 – Sbagliano pertanto quei predicatori d’indulgenze, i quali dicono che per le indulgenze papali l’uomo è sciolto e salvato da ogni pena.
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22 – Il papa, anzi, non rimette alle anime in purgatorio nessuna pena che avrebbero dovuto subire in questa vita secondo i canoni.
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23 – Se mai può essere concessa ad alcuno la completa remissione di tutte le pene, è certo che essa può esser data solo ai perfettissimi, cioè a pochissimi.
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24 – È perciò inevitabile che la maggior parte del popolo sia ingannata da tale indiscriminata e pomposa promessa di liberazione dalla pena.
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25 – La stessa potestà che il papa ha in genere sul purgatorio, l’ha ogni vescovo e curato in particolare nella propria diocesi o parrocchia.
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26 – Il papa fa benissimo quando concede alle anime la remissione non per il potere delle chiavi (che non ha) ma a modo di suffragio
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27 – Predicano da uomini, coloro che dicono che subito, come il soldino ha tintinnato nella cassa, l’anima se ne vola via.
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28 – Certo è che al tintinnio della moneta nella cesta possono aumentare la petulanza e l’avarizia: invece il suffragio della chiesa è in potere di Dio solo.
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29 – Chi sa se tutte le anime del purgatorio desiderano essere liberate, a giudicare da un aneddoto che si narra riguardo ai santi Severino e Pasquale?.
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30 – Nessuno è certo della sincerità della propria contrizione, tanto meno del conseguimento della remissione plenaria.
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31 – Tanto è raro il vero penitente, altrettanto è raro chi acquista veramente le indulgenze, cioè rarissimo.
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32 – Saranno dannati in eterno con i loro maestri coloro che credono di essere sicuri della loro salute sulla base delle lettere di indulgenza.
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33 – Specialmente sono da evitare coloro che dicono che tali perdoni del papa sono quel dono inestimabile di Dio mediante il quale l’uomo è riconciliato con Dio.
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34 – Infatti tali grazie ottenute mediante le indulgenze riguardano solo le pene della soddisfazione sacramentale stabilite dall’uomo.
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35 – Non predicano cristianamente quelli che insegnano che non è necessaria la contrizione per chi riscatta le anime o acquista lettere confessionali.
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36 – Qualsiasi cristiano veramente pentito ottiene la remissione plenaria della pena e della colpa che gli è dovuta anche senza lettere di indulgenza.
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37 – Qualunque vero cristiano, sia vivo che morto, ha la parte datagli da Dio a tutti i beni di Cristo e della Chiesa, anche senza lettere di indulgenza.
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38 – Tuttavia la remissione e la partecipazione del papa non deve essere disprezzata in nessun modo perché, come ho detto [v. tesi n°6], è la dichiarazione della remissione divina.
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38 – È straordinariamente difficile anche per i teologi più saggi esaltare davanti al popolo ad un tempo la prodigalità delle indulgenze e la verità della contrizione.
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40 – La vera contrizione cerca ed ama le pene, la larghezza delle indulgenze produce rilassamento e fa odiare le pene o almeno ne dà occasione.
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41 – I perdoni apostolici devono essere predicati con prudenza, perché il popolo non intenda erroneamente che essi sono preferibili a tutte le altre buone opere di carità.
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42 – Bisogna insegnare ai cristiani che non è intenzione del papa equiparare in alcun modo l’acquisto delle indulgenze con le opere di misericordia.
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43 – Si deve insegnare ai cristiani che è meglio dare a un povero o fare un prestito a un bisognoso che non acquistare indulgenze.
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44 – Poiché la carità cresce con le opere di carità e fa l’uomo migliore, mentre con le indulgenze non diventa migliore ma solo più libero dalla pena.
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45 – Occorre insegnare ai cristiani che chi vede un bisognoso e trascurandolo dà per le indulgenze si merita non l’indulgenza del papa ma l’indignazione di Dio.
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46 – Si deve insegnare ai cristiani che se non abbondano i beni superflui, debbono tenere il necessario per la loro casa e non spenderlo per le indulgenze.
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47 – Si deve insegnare ai cristiani che l’acquisto delle indulgenze è libero e non di precetto.
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48 – Si deve insegnare ai cristiani che il papa come ha maggior bisogno così desidera maggiormente per sé, nel concedere le indulgenze, devote orazioni piuttosto che monete sonanti.
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49 – Si deve insegnare ai cristiani che i perdoni del papa sono utili se essi non vi confidano, ma diventano molto nocivi, se per causa loro si perde il timor di Dio.
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50 – Si deve insegnare ai cristiani che se il papa conoscesse le esazioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di S. Pietro andasse in cenere piuttosto che essere edificata sulla pelle, la carne e le ossa delle sue pecorelle.
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51 – Si deve insegnare ai cristiani che il papa, come deve, vorrebbe, anche a costo di vendere – se fosse necessario – la basilica di S. Pietro, dare dei propri soldi a molti di quelli ai quali alcuni predicatori di indulgenze estorcono denaro.
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52 – È vana la fiducia nella salvezza mediante le lettere di indulgenza. anche se un commissario e perfino lo stesso papa impegnasse per esse la propria anima.
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53 – Nemici di Cristo e del papa sono coloro i quali perché si predichino le indulgenze fanno tacere completamente la parola di Dio in tutte le altre chiese.
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54 – Si fa ingiuria alla parola di Dio quando in una stessa predica si dedica un tempo eguale o maggiore all’indulgenza che ad essa.
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55 – È sicuramente desiderio del papa che se si celebra l’indulgenza, che è cosa minima, con una sola campana, una sola processione, una sola cerimonia, il vangelo, che è la cosa più grande, sia predicato con cento campane, cento processioni, cento cerimonie.
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56 – I tesori della Chiesa, dai quali il papa attinge le indulgenze, non sono sufficientemente ricordati né conosciuti presso il popolo cristiano.
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57 – Certo è evidente che non sono beni temporali, che molti predicatori non li profonderebbero tanto facilmente ma piuttosto li raccoglierebbero.
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58 – Né sono i meriti di Cristo e dei santi, perché questi operano sempre, indipendentemente dal papa, la grazia dell’uomo interiore, la croce, la morte e l’inferno dell’uomo esteriore.
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59 – S. Lorenzo chiamò tesoro della Chiesa i poveri, ma egli usava il linguaggio del suo tempo.
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60 – Senza temerarietà diciamo che questo tesoro è costituito dalle chiavi della Chiesa donate per merito di Cristo.
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61 – È chiaro infatti che per la remissione delle pene e dei casi basta la sola potestà del papa.
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62 – Vero tesoro della Chiesa di Cristo è il sacrosanto Vangelo, gloria e grazia di Dio.
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63 – Ma questo tesoro è a ragione odiosissimo perché dei primi fa gli ultimi.
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64 – Ma il tesoro delle indulgenze è a ragione gratissimo perché degli ultimi fa i primi.
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65 – Dunque i tesori evangelici sono reti con le quali un tempo si pescavano uomini ricchi.
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66 – Ora i tesori delle indulgenze sono reti con le quali si pescano le ricchezze degli uomini.
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67 – Le indulgenze che i predicatori proclamano grazie grandissime, si capisce che sono veramente tali quanto al guadagno che promuovono.
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68 – Sono in realtà le minime paragonate alla grazia di Dio e alla pietà della croce.
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69 – I vescovi e i parroci sono tenuti a ricevere con ogni riverenza i commissari dei perdoni apostolici.
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70 – Ma più sono tenuti a vigilare con gli occhi e le orecchie che essi non predichino, invece del mandato avuto dal papa, le loro fantasie.
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71 – Chi parla contro la verità dei perdoni apostolici sia anatema e maledetto.
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72 – Chi invece si oppone alla cupidigia e alla licenza del parlare del predicatore di indulgenze, sia benedetto.
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73 – Come il papa giustamente fulmina coloro che operano qualsiasi macchinazione a danno della vendita delle indulgenze.
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74 – Così molto più gravemente intende fulminare quelli che col pretesto delle indulgenze operano a danno della santa carità e verità.
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75 – Ritenere che le indulgenze papali siano tanto potenti da poter assolvere un uomo, anche se questi, per un caso impossibile, avesse violato la madre di Dio, è essere pazzi.
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76 – Al contrario diciamo che i perdoni papali non possono cancellare neppure il minimo peccato veniale, quanto alla colpa.
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77 – Dire che neanche S. Pietro se pure fosse papa, potrebbe dare grazie maggiori, è bestemmia contro S. Pietro e il papa.
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78 – Diciamo invece che questo e qualsiasi papa ne ha di maggiori, cioè l’evangelo, le virtù, i doni di guarigione, ecc. secondo I Corinti 12 [1COR, 12].
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79 – Dire che la croce eretta solennemente con le armi papali equivale la croce di Cristo, è blasfemo.
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80 – I vescovi i parroci e i teologi che consentono che tali discorsi siano tenuti al popolo ne renderanno conto.
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81 – Questa scandalosa predicazione delle indulgenze fa sì che non sia facile neppure ad uomini dotti difendere la riverenza dovuta al papa dalle calunnie e dalle sottili obiezioni dei laici.
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82 – Per esempio: perché il papa non vuota il purgatorio a motivo della santissima carità e della somma necessità delle anime, che è la ragione più giusta di tutte, quando libera un numero infinite di anime in forza del funestissimo denaro dato per la costruzione della basilica, che è una ragione debolissima?
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83 – Parimenti: perché continuano le esequie e gli anniversari dei defunti e invece il papa non restituisce ma anzi permette di ricevere lasciti istituiti per loro, mentre è già un’ingiustizia pregare per dei redenti?
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84 – Parimenti: che è questa nuova di Dio e del papa, per cui si concede ad un uomo empio e peccatore di redimere in forza del danaro un’anima pia e amica di Dio e tuttavia non la si redime per gratuita carità in base alla necessità di tale anima pia e diletta?
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85 – Ancora: perché canoni penitenziali per sé stessi e per il disuso già da tempo morti e abrogati, tuttavia a motivo della concessione delle indulgenze sono riscattati ancora col denaro come se avessero ancora vigore?
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86 – Ancora: perché il papa le cui ricchezze oggi sono più opulente di quelle degli opulentissimi Crassi, non costruisce una sola basilica di S. Pietro con i propri soldi invece che con quelli dei poveri fedeli?
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87 – Ancora: cosa rimette o partecipa il papa a coloro che con la contrizione perfetta hanno diritto alla piena remissione e partecipazione?
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88 – Ancora: quale maggior bene si recherebbe alla Chiesa, se il papa, come fa ogni tanto, così cento volte ogni giorno attribuisse queste remissioni e partecipazioni a ciascun fedele?
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89 – Dato che il papa con le indulgenze cerca la salvezza delle anime piuttosto che il danaro perché sospende le lettere e le indulgenze già concesse, quando sono ancora efficaci?
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90 – Soffocare queste sottili argomentazioni dei laici con la sola autorità e non scioglierle con opportune ragioni significa esporre la chiesa e il papa alle beffe dei nemici e rendere infelici i cristiani.
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91 – Se dunque le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e l’intenzione del papa, tutte quelle difficoltà sarebbero facilmente dissipate, anzi non esisterebbero.
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92 – Addio dunque a tutti quei profeti, i quali dicono al popolo cristiano “Pace. pace”, mentre non v’è pace.
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93 – Valenti tutti quei profeti, i quali dicono al popolo cristiano «Croce, croce», mentre non v’è croce.
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94 – Bisogna esortare i cristiani perché si sforzino di seguire il loro capo Cristo attraverso le pene, le mortificazioni e gli inferni.
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95 – E così confidino di entrare in cielo piuttosto attraverso molte tribolazioni che per la sicurezza della pace.
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